Sempre più
spesso sulla riviste compaiono articoli che da diversi punti di vista
analizzano e lamentano una certa crisi delle varie arti marziali, ma a mio
avviso c’è un motivo interno che quasi nessuno ha trattato, che è all’origine
di questo processo di disaffezione. Motivo che riguarda principalmente le
metodiche didattiche e di allenamento che non si sono evolute di pari passo con
le esigenze del praticante che sorgono durante le diverse tappe evolutive della
pratica marziale. Nella maggioranza dei casi oscillano tra metodiche falsamente
tradizionaliste rimaste ancorate a una era pionieristica in cui non si andava
tanto per il sottile a metodiche presuntuosamente moderniste dove il gesto
marziale è diventato gesto atletico chiuso nella ristretta dimensione della
performance sportiva.
Tradizione e
ritorno al futuro
Tradizionalmente
in tutte le arti marziali gli aspetti mentali, fisico-tecnici ed energetici
della pratica hanno sempre costituito un tutt’uno, solo in tempi recenti, a
partire dalla seconda metà del secolo scorso in concomitanza con la loro
diffusione in Occidente, si è assistito a una progressiva scissione che ha
visto gli aspetti fisico-tecnici diventare sempre più importanti relegando
sullo sfondo, fino a farli quasi completamente sparire, quelli mentali ed
energetici. Questa trasformazione dello spirito originario ha lentamente fatto
perdere alla pratica la dimensione di techne (arte) insita nel gesto marziale
per diventare tecnicismo fisico-atletico. Di questa scissione nessuna delle
arti marziali è stata immune, neanche quelle che si richiamano al più puro
spirito tradizionale.
La situazione
oggigiorno è sotto gli occhi di tutti, anche se molti si ostinano a non vedere
che il Re è nudo e scambiano per tecniche mentali banali schematismi
psicofisici di attacco-difesa, di azione-reazione, e pensano di costruire una
mente forte con massacranti allenamenti fisici e continue ripetizioni di forme
o di combinazioni tecniche. Ogni stagione ha i suoi frutti recita un vecchio
adagio contadino, e certamente durante la fanciullezza marziale questi metodi
possono essere utili, ma quando si raggiunge la maturità bisogna cambiare modo
di allenarsi, altrimenti si rischia che le arti marziali diventino vecchie
senza riuscire a diventare adulte.
Un praticante
maturo non può sudare e ansimare come un bue al traino nel vano tentativo di
stare al passo con un atleta giovane, ma non può neanche sedersi sul suo
passato e pretendere un rispetto formale dovuto agli anni, ma deve
guadagnarselo giorno dopo giorno nel confronto diretto, pena quel senso di
frustrazione misto ad invidia per la maggiore capacità aerobica, maggiore
resistenza e miglior recupero fisico tipici della gioventù, che pian piano ti
fa passare la voglia di praticare.
Sarebbe ora, per
ovviare a simili situazioni di disagio, di fare un ritorno al futuro andando a
recuperare tutti quei valori e metodi tradizionali di tecniche di lavoro
interno Nei gong - uchi ko) che differenziano le arti marziali dagli sport da
combattimento, che possono permettere al praticante maturo una crescita
marziale continua e al giovane praticante di investire nel proprio futuro ed
evitare così di ritrovarsi con il passare degli anni, passata la stagione
agonistica, nella stessa identica situazione di demotivazione e frustrazione.
Per valori e
metodi tradizionali non sono da intendersi solo abilità psicofisiche
(coordinazione neuromotoria, agilità, destrezza) e qualità quali costanza,
volontà, spirito forte, certamente utili e comuni a tutti gli sport, ma
qualcosa di molto più profondo dove il gesto tecnico, recuperando la sua
dimensione di techne (arte del fare), oltre ad agire profondamente sia sul
corpo sia sulla mente ricostruendone l’unità intrinseca, entri nella profondità
della coscienza trasformando un semplice esecutore di tecniche in un artista
marziale maturo: forte ma non duro, calmo ma non pavido, sicuro ma non
arrogante.
L’efficacia di
un gesto tecnico non si può e non si deve esaurire nello spazio di un mattino
agonistico, ma protrarsi per tutta la vita nella gioia di una pratica non solo
rispettosa del corpo, ma che addirittura trasforma il corpo in veicolo
espressivo del proprio modo di essere e di vivere. Alcuni maestri del passato
hanno lasciato a tale proposito testimonianze di rara bellezza molto utili per
guidarci nel percorso, ma che purtroppo il moderno praticante, mancando di un
riscontro nella pratica quotidiana che costruisca la giusta predisposizione
mentale e atteggiamento corporeo, sottovaluta scambiando le suggestive immagini
che evocano per poesia.
Questa
difficoltà di trasformare gli insegnamenti dei maestri in esperienza vissuta,
relegandoli in un’asettica dimensione intellettuale e letteraria, è dovuto alla
mancanza di opportuni allenamenti, di cui tutte le arti marziali disponevano ma
che sono stati persi per strada nel loro viaggio verso l’Occidente, che aprano
a una dimensione diversa della pratica. Dimensione diversa non teorica e
astratta, ma reale, viva e concreta, sperimentata e vissuta nella pratica
quotidiana di cui ho tracciato le linee e i principi guida in innumerevoli
articoli e in cinque libri editi dalla Caliel, e gli allenamenti pratici in una
serie di 6 dvd editi dalla aliel e Nei dan school.
Allenamenti dove
corpo mente ed energia si intersecano in costruttivi giochi di ruolo, dove il
corpo funge da teatro-laboratorio in cui si possono vivere ed esperire
situazioni oltre la mente ordinaria, oltre la dimensione fisica in cui si entra
in contatto, attraverso la tecnica corporea, con la parte più antica di noi
stessi, la parte che agisce e pensa come gli antichi spadaccini del Giappone
medievale e i saggi taoisti della tradizione cinese.
Dalla tecnica
all’arte del corpo
Bisogna
recuperare un rapporto collaborativo tra cuore e cervello, tra istinti e
ragione. Il mio maestro Guo Ming Xu dice che a un certo livello della pratica
bisogna lasciare da parte la tecnica e lasciare agire il cuore. Questo vuol
dire che la maturazione e la crescita come artista marziale a un certo punto
del cammino richiedono di lasciare sullo sfondo gli aspetti fisico-atletici e
mettere in primo piano quelli mentali ed energetici. Lasciare sullo sfondo gli
aspetti fisico-atletici non vuol dire diventare deboli, ma al contrario
diventare diversamente abili. Abili nel riscoprire all’interno di sé stessi
fonti alternative di energia, di potenzialità e forze nascoste nella struttura
interna del corpo che non immaginavamo neanche di possedere, in grado di
sostituire la forza fisica che inesorabilmente con il passare degli anni cala.
Abilità diverse
che si trovano in quella terra di confine, dove il pensiero si fonda con
l’azione, dove i muscoli impregnandosi d’intenzioni ed energie sottili (qi/ki)
sprigionano senza tensioni forza e potenza, dove il tuo addome (Dantian o
Tanden) diventa il centro della tua volontà creatrice da dove scaturisce la
vera forza che muove il corpo, e non una massa dura e insensibile che
fortifichi con centinaia di addominali alla fine di ogni allenamento. Dove la
tua colonna vertebrale diventa la dorsale in cui scorre la tua energia vitale e
non un pezzo meccanico tra gambe e braccia che blocca e irrigidisce la
struttura e rende il tronco un blocco duro e inerte in cui il potere del
respiro si perde in un ansimare rumoroso e l’emissione dell’energia (Fa Jin o
Kime) diventa l’urlo di un corpo sacrificato sull’altare di una effimera
efficacia.
Potere del
respiro che, opportunamente allenato, attiva la mente e trasforma il tuo addome
in un sistema pneumatico che aziona e dirige braccia e gambe in maniera potente
senza danneggiare gomiti e ginocchia, senza stressare i muscoli, senza
provocare dolorose discopatie alla schiena e rovinare le articolazioni delle
anche (vedi di F. Daniele “Le Tre Vie del Tao” Caliel Edit. Ritmo e armonia del
meccanismo respiratorio).
Si può essere
forti e potenti anche oltre le cinquanta primavere se si fa un lavoro di
consapevolezza che permette alla mente di unirsi al corpo attraverso la
mediazione dell’energia interna. Unione che non solo rallenta il naturale
decadimento fisico, ma può addirittura invertirlo, fino a recuperare vigore e
forze che consideravamo persi con l’avanzare degli anni.
Purtroppo tutto
questo, duole dirlo, è quanto di più disatteso ci sia, per rendersene conto
basta entrare in una qualsiasi palestra, e non solo in una palestra qualsiasi,
ma anche dove insegna uno dei tanti maestri che hanno contribuito alla
diffusione e sviluppo delle arti marziali italiane. Sono veramente pochi quelli
che dopo quaranta anni di pratica e diverse decine di anni d’insegnamento hanno
adeguato il loro metodo, inserendo allenamenti che tengano conto che il
praticante non è a una sola dimensione, ma a più dimensioni, è fatto anche di
emozioni, di energie, di spirito che opportunamente allenati possono
trasformarsi in forze, in potere interno, possono permettere di realizzare la
non-mente, l’agire senza intenzioni, la calma nel vortice del movimento, lo
spirito immobile dell’arciere zen che senza mirare colpisce il bersaglio.
Tutto questo può
essere realizzato e non restare nel limbo dei sogni non vissuti dei desideri
non realizzati basta ritornare al futuro, avere il coraggio di rifondare la
pratica attraverso la Tecnica che ha recuperato la sua dimensione di Arte. Arte
che apre a una realtà vera e concreta, dove la dimensione di vuoto mentale
smette di essere un concetto metafisico e diventi uno stato mentale pulito, non
inquinato da emozioni disordinate, all’interno del quale è possibile cogliere
l’essenza e le motivazione di una disciplina apparentemente inadeguata e fuori
dal tempo.
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© Tora Kan Dōjō
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