domenica 24 novembre 2019

Per una nuova visione delle arti marziali

Sempre più spesso sulla riviste compaiono articoli che da diversi punti di vista analizzano e lamentano una certa crisi delle varie arti marziali, ma a mio avviso c’è un motivo interno che quasi nessuno ha trattato, che è all’origine di questo processo di disaffezione. Motivo che riguarda principalmente le metodiche didattiche e di allenamento che non si sono evolute di pari passo con le esigenze del praticante che sorgono durante le diverse tappe evolutive della pratica marziale. Nella maggioranza dei casi oscillano tra metodiche falsamente tradizionaliste rimaste ancorate a una era pionieristica in cui non si andava tanto per il sottile a metodiche presuntuosamente moderniste dove il gesto marziale è diventato gesto atletico chiuso nella ristretta dimensione della performance sportiva.
Tradizione e ritorno al futuro
Tradizionalmente in tutte le arti marziali gli aspetti mentali, fisico-tecnici ed energetici della pratica hanno sempre costituito un tutt’uno, solo in tempi recenti, a partire dalla seconda metà del secolo scorso in concomitanza con la loro diffusione in Occidente, si è assistito a una progressiva scissione che ha visto gli aspetti fisico-tecnici diventare sempre più importanti relegando sullo sfondo, fino a farli quasi completamente sparire, quelli mentali ed energetici. Questa trasformazione dello spirito originario ha lentamente fatto perdere alla pratica la dimensione di techne (arte) insita nel gesto marziale per diventare tecnicismo fisico-atletico. Di questa scissione nessuna delle arti marziali è stata immune, neanche quelle che si richiamano al più puro spirito tradizionale.
La situazione oggigiorno è sotto gli occhi di tutti, anche se molti si ostinano a non vedere che il Re è nudo e scambiano per tecniche mentali banali schematismi psicofisici di attacco-difesa, di azione-reazione, e pensano di costruire una mente forte con massacranti allenamenti fisici e continue ripetizioni di forme o di combinazioni tecniche. Ogni stagione ha i suoi frutti recita un vecchio adagio contadino, e certamente durante la fanciullezza marziale questi metodi possono essere utili, ma quando si raggiunge la maturità bisogna cambiare modo di allenarsi, altrimenti si rischia che le arti marziali diventino vecchie senza riuscire a diventare adulte.

Un praticante maturo non può sudare e ansimare come un bue al traino nel vano tentativo di stare al passo con un atleta giovane, ma non può neanche sedersi sul suo passato e pretendere un rispetto formale dovuto agli anni, ma deve guadagnarselo giorno dopo giorno nel confronto diretto, pena quel senso di frustrazione misto ad invidia per la maggiore capacità aerobica, maggiore resistenza e miglior recupero fisico tipici della gioventù, che pian piano ti fa passare la voglia di praticare.
Sarebbe ora, per ovviare a simili situazioni di disagio, di fare un ritorno al futuro andando a recuperare tutti quei valori e metodi tradizionali di tecniche di lavoro interno Nei gong - uchi ko) che differenziano le arti marziali dagli sport da combattimento, che possono permettere al praticante maturo una crescita marziale continua e al giovane praticante di investire nel proprio futuro ed evitare così di ritrovarsi con il passare degli anni, passata la stagione agonistica, nella stessa identica situazione di demotivazione e frustrazione.
Per valori e metodi tradizionali non sono da intendersi solo abilità psicofisiche (coordinazione neuromotoria, agilità, destrezza) e qualità quali costanza, volontà, spirito forte, certamente utili e comuni a tutti gli sport, ma qualcosa di molto più profondo dove il gesto tecnico, recuperando la sua dimensione di techne (arte del fare), oltre ad agire profondamente sia sul corpo sia sulla mente ricostruendone l’unità intrinseca, entri nella profondità della coscienza trasformando un semplice esecutore di tecniche in un artista marziale maturo: forte ma non duro, calmo ma non pavido, sicuro ma non arrogante.

L’efficacia di un gesto tecnico non si può e non si deve esaurire nello spazio di un mattino agonistico, ma protrarsi per tutta la vita nella gioia di una pratica non solo rispettosa del corpo, ma che addirittura trasforma il corpo in veicolo espressivo del proprio modo di essere e di vivere. Alcuni maestri del passato hanno lasciato a tale proposito testimonianze di rara bellezza molto utili per guidarci nel percorso, ma che purtroppo il moderno praticante, mancando di un riscontro nella pratica quotidiana che costruisca la giusta predisposizione mentale e atteggiamento corporeo, sottovaluta scambiando le suggestive immagini che evocano per poesia.
Questa difficoltà di trasformare gli insegnamenti dei maestri in esperienza vissuta, relegandoli in un’asettica dimensione intellettuale e letteraria, è dovuto alla mancanza di opportuni allenamenti, di cui tutte le arti marziali disponevano ma che sono stati persi per strada nel loro viaggio verso l’Occidente, che aprano a una dimensione diversa della pratica. Dimensione diversa non teorica e astratta, ma reale, viva e concreta, sperimentata e vissuta nella pratica quotidiana di cui ho tracciato le linee e i principi guida in innumerevoli articoli e in cinque libri editi dalla Caliel, e gli allenamenti pratici in una serie di 6 dvd editi dalla aliel e Nei dan school.
Allenamenti dove corpo mente ed energia si intersecano in costruttivi giochi di ruolo, dove il corpo funge da teatro-laboratorio in cui si possono vivere ed esperire situazioni oltre la mente ordinaria, oltre la dimensione fisica in cui si entra in contatto, attraverso la tecnica corporea, con la parte più antica di noi stessi, la parte che agisce e pensa come gli antichi spadaccini del Giappone medievale e i saggi taoisti della tradizione cinese.


Dalla tecnica all’arte del corpo
Bisogna recuperare un rapporto collaborativo tra cuore e cervello, tra istinti e ragione. Il mio maestro Guo Ming Xu dice che a un certo livello della pratica bisogna lasciare da parte la tecnica e lasciare agire il cuore. Questo vuol dire che la maturazione e la crescita come artista marziale a un certo punto del cammino richiedono di lasciare sullo sfondo gli aspetti fisico-atletici e mettere in primo piano quelli mentali ed energetici. Lasciare sullo sfondo gli aspetti fisico-atletici non vuol dire diventare deboli, ma al contrario diventare diversamente abili. Abili nel riscoprire all’interno di sé stessi fonti alternative di energia, di potenzialità e forze nascoste nella struttura interna del corpo che non immaginavamo neanche di possedere, in grado di sostituire la forza fisica che inesorabilmente con il passare degli anni cala.
Abilità diverse che si trovano in quella terra di confine, dove il pensiero si fonda con l’azione, dove i muscoli impregnandosi d’intenzioni ed energie sottili (qi/ki) sprigionano senza tensioni forza e potenza, dove il tuo addome (Dantian o Tanden) diventa il centro della tua volontà creatrice da dove scaturisce la vera forza che muove il corpo, e non una massa dura e insensibile che fortifichi con centinaia di addominali alla fine di ogni allenamento. Dove la tua colonna vertebrale diventa la dorsale in cui scorre la tua energia vitale e non un pezzo meccanico tra gambe e braccia che blocca e irrigidisce la struttura e rende il tronco un blocco duro e inerte in cui il potere del respiro si perde in un ansimare rumoroso e l’emissione dell’energia (Fa Jin o Kime) diventa l’urlo di un corpo sacrificato sull’altare di una effimera efficacia.
Potere del respiro che, opportunamente allenato, attiva la mente e trasforma il tuo addome in un sistema pneumatico che aziona e dirige braccia e gambe in maniera potente senza danneggiare gomiti e ginocchia, senza stressare i muscoli, senza provocare dolorose discopatie alla schiena e rovinare le articolazioni delle anche (vedi di F. Daniele “Le Tre Vie del Tao” Caliel Edit. Ritmo e armonia del meccanismo respiratorio).
Si può essere forti e potenti anche oltre le cinquanta primavere se si fa un lavoro di consapevolezza che permette alla mente di unirsi al corpo attraverso la mediazione dell’energia interna. Unione che non solo rallenta il naturale decadimento fisico, ma può addirittura invertirlo, fino a recuperare vigore e forze che consideravamo persi con l’avanzare degli anni.

Purtroppo tutto questo, duole dirlo, è quanto di più disatteso ci sia, per rendersene conto basta entrare in una qualsiasi palestra, e non solo in una palestra qualsiasi, ma anche dove insegna uno dei tanti maestri che hanno contribuito alla diffusione e sviluppo delle arti marziali italiane. Sono veramente pochi quelli che dopo quaranta anni di pratica e diverse decine di anni d’insegnamento hanno adeguato il loro metodo, inserendo allenamenti che tengano conto che il praticante non è a una sola dimensione, ma a più dimensioni, è fatto anche di emozioni, di energie, di spirito che opportunamente allenati possono trasformarsi in forze, in potere interno, possono permettere di realizzare la non-mente, l’agire senza intenzioni, la calma nel vortice del movimento, lo spirito immobile dell’arciere zen che senza mirare colpisce il bersaglio.
Tutto questo può essere realizzato e non restare nel limbo dei sogni non vissuti dei desideri non realizzati basta ritornare al futuro, avere il coraggio di rifondare la pratica attraverso la Tecnica che ha recuperato la sua dimensione di Arte. Arte che apre a una realtà vera e concreta, dove la dimensione di vuoto mentale smette di essere un concetto metafisico e diventi uno stato mentale pulito, non inquinato da emozioni disordinate, all’interno del quale è possibile cogliere l’essenza e le motivazione di una disciplina apparentemente inadeguata e fuori dal tempo.

Tratto dal post del Maestro Flavio Daniele:
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© Tora Kan Dōjō


















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