Shidōgenri
指導原理
Se proviamo ad analizzare queste parole: Uno in più, sicuramente ripercorriamo
nella nostra mente diverse scene di vita vissuta; il cucchiaino che versa lo
zucchero nel caffè, l’euro che abbiamo aggiunto nel nostro salvadanaio, i
giorni che sono trascorsi durante l’attesa di una risposta. Eppure
difficilmente queste due parole ci legano a momenti ben precisi, momenti che ci
hanno cambiato la vita, questo perché le nostre esistenze viaggiano molto più
con lo stile di vita del va beh,
domani farò meglio, che dell’oggi è tutto quello che posso avere e che posso
dimostrare di meritarmi… Se un guerriero non ha il coraggio di affrontare le
imprese più grandi del mondo e di esercitare questa responsabilità enorme in
maniera indipendente, non avrà l’animo abbastanza grande. La condizione
naturale dell’essere umano ci dice che l’uomo in quanto tale possiede un’indole
naturale: una fenice ha per natura cinque colori, una tigre nasce con il manto
striato, un destriero può correre per mille miglia senza addestramento, l’oro è
più brillante della pietra, la giada bianca splende senza che sia levigata, la
gru ha le ali... caratteristiche innate, poiché non c’è nulla di artificiale in
esse. Le persone nascono con principi che sono del tutto simili, ma se questi
non vengono coltivati, in alcuni si sviluppa un’indole che per certi versi è
simile alla luna chiara o al sole splendente, ma con un’oscura indifferenza di
fondo. Dunque a meno che le persone non mettano da parte ciò che hanno ottenuto,
impegnandosi a migliorare ogni giorno, esse non sono completamente umane, poiché
perdono quella condizione dell’esistenza innata che ci spinge a seguire la
nostra umanità, e si trasformano in quello che con la ragione costruiscono
artificialmente, pensando di seguire comunque il normale corso della vita. Il
Leone che deve mangiare esegue ogni giorno in modo costante la sua pratica,
quell’uno in più che cessa unicamente il giorno della sua morte. Solamente
l’uomo arrogante pensa che una cosa fatta una volta possa valere per sempre.
Dato
che la mente dipende dall’atteggiamento, quando sei calmo anche la mente lo è.
Quando sei agitato, la mente ne risente. Visto che la mente e l’atteggiamento
non si trovano in due stati diversi, non c’è differenza tra loro.
L’atteggiamento esterna lo stato interno della mente; dunque coltivare il
proprio stato dovrebbe essere la base del percorso di miglioramento personale e
della disciplina della mente. Avere uno spirito guida, praticare arti marziali,
significa prendere coscienza degli eccessi e delle mancanze della propria
indole, eliminando questi eccessi e sviluppando ciò che manca. Tutto questo
penso debba essere fatto nella vita di ogni giorno.
Per vivere una vita priva di stress, per non ammalarci
di testa, per evitare un arresto cardiocircolatorio, si evita come la peste il
concetto stesso del sovraccarico. Viviamo dunque queste parole in termini di
sovraccarico e non come una vera e propria opportunità. Quand’è che siamo
diventati così deboli? Siamo sicuri che la strada giusta per non morire di
malanni sia quella del preservarci sempre e comunque? La pratica non è un
racchiudersi per un’altra vita, è un trasformarsi per trasformare tutta la
realtà. La trasformazione non può essere frutto del pensare che tutto va pianificato,
ma deve scaturire da un fondo molto più profondo in ognuno di noi. Nella
pratica non esiste la menzogna, esiste solo la verità, questo mi ha portato, e
mi porta, a dovermi ogni giorno confrontare con me stesso. Quando per pigrizia,
o perché magari una cosa è più facile, diventiamo un po’ meno accorti a quei
dettagli, che poi dettagli non sono mai, ecco che subito il tatami ce lo
ricorda, mettendoci a nudo dinnanzi a noi stessi, e non possiamo più
nasconderci dietro a quelle maschere che tanto ci hanno abituato ad indossare
nella vita di tutti i giorni.
Avere
un grande animo significa avere un cuore così libero da essere in grado di
accogliere il mondo intero. Il cielo è aperto e permette agli uccelli di
volare, l’oceano è immenso e permette ai pesci di nuotare. Come uno sconfinato
fiume o un’imponente montagna che accoglie piante, alberi e animali, penso che
un uomo, per essere tale, deve avere questa grandezza d’animo, proprio come
queste caratteristiche della natura. Quello che diamo durante la pratica rimane
permeato non solo sui karategi ma anche sulla pelle. Parlo di quel sostegno,
che passa attraverso un kiai, che ci fa andare ancora avanti nell’allenamento
quando sembra che non abbiamo più energie, e le troviamo proprio in quel
momento; proprio quell’energia, che quando non ha più niente si trova dinanzi
al rischio semplicemente di essere. Ci rende in un certo senso liberi da tutti
quegli schemi mentali che ci portano giorno dopo giorno ad impantanarci, come
sabbie mobili tirati giù dentro le nostre paure, dietro la nostra
arrendevolezza inconscia. Si dice: L’uomo
vive imprigionato nelle sue paure come un elefante dietro un recinto di canne;
com’è vero che a guidare le nostre vite a volte sono proprio quei limiti
imposti dal nostro inconscio. Quante volte nella mia vita penso a quell’uno in
più. Quell’uno in più che sempre mi ha accompagnato durante la pratica. Parlo
di quei momenti quando pensi “basta” e poi ti accorgi che potevi ancora una
volta; quando con la testa decidi che più di così non puoi, e la pratica invece
ti dimostra che sbagliavi. Ogni volta grazie a quell’uno in più mi cambia la
vita. Poter praticare ogni giorno mi ha insegnato a capire che a volte, se ci
lasciamo guidare dalla ragione, ci limitiamo, perché influenzati dal modo di
vivere di oggi non facciamo altro che preservarci e a poco a poco cambiamo,
diventando sempre la metà di quello che possiamo essere.
Ci
sono due generi di sofferenza: quella da cui fuggi, che ti segue ovunque, e
quella che affronti direttamente e dalla quale, così facendo, ti liberi. Ancora
oggi, ogni volta che voglio essere vicino a qualcuno, non mi viene un modo
migliore dell’offrirmi e offrire una parte di me stesso, non semplicemente a
parole, o con semplici oggetti, ma magari con un gesto, o con un tipo di
attenzione che mi costringe, anche se solo per un attimo, a togliermi di dosso
l’ego, praticando oltre quell’uno in più. Qualsiasi cosa facciamo non è mai
veramente completa se la facciamo con il nostro ego; purtroppo mi sono reso
conto tante volte, che è difficile regalare noi stessi in modo del tutto
gratuito, e anche quando pensiamo di farlo, spesso stiamo solo coltivando
l’immagine che vogliamo avere di noi,
magari per non sentirci in colpa, magari perché ci aspettiamo di essere
poi ricambiati, magari per non dover vivere col rimorso… La pratica ci insegna
a mettere da parte l’ego; anche se poi è una lotta continua, perché spesso ci
dimentichiamo di tutto questo, possiamo ogni volta ripartire da un Mokuso e ci
rendiamo conto che la pratica è sempre lì, che ci prende per mano e come un
abbraccio che si posa sull’anima, accoglie il nostro silenzio, e non finisce
mai.
Dedicato a tutti i miei allievi
Valerio
Proietti
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