mercoledì 14 marzo 2012

Reishiki - L'Etichetta



Reishiki, l'Etichetta
di Yukio Mishima  

Si dice che il Kendō inizi e finisca con un inchino, ma dopo il primo inchino, l'unico obiettivo è colpire l'avversario. 
Ciò simboleggia egregiamente la realtà dell'universo virile. 
Prima del combattimento è necessario osservare una determinata etichetta che rappresenta la premessa dello stesso combattimento. 
Ma cosa è più importante:  l'etichetta o il combattimento? 
Secondo i principi del Kendō prevale la cortesia, l'etichetta. 
Per quale motivo? Fin dai tempi più antichi, come appare chiaro nei tornei dei cavalieri, è l'etichetta a regolare le contese nell'universo virile. 
Nell'etichetta è naturalmente insito un codice morale, che si esprime anche nelle norme sportive. Una disciplina sportiva praticata senza il rispetto per le norme non è più tale, diviene qualcosa di spregevole: violarne il codice conduce alla disfatta. 
Le buone maniere non presuppongono tuttavia ubbidienza all'altrui volontà. 
Sebbene l'etichetta sia per un uomo una premessa essenziale, cui deve assolutamente assoggettarsi, si è diffusa ai giorni nostri la strana credenza che un atteggiamento sincero e spontaneo possa giungere più direttamente all'animo di chi ci ascolta.
Soprattutto colui che è ambizioso è invece tenuto a rispettare l'etichetta, più di chiunque altro; se lo farà, potrà persino esibirsi danzando nudo mentre beve il sake, essendosi ormai conquistatata la fiducia dell'interlocutore che giudicherà la sua danza come un atto estremamente spontaneo e rassicurante.
Questa tattica non funzionerebbe affatto se egli fosse solito comportarsi con sregolatezza. 
È per questo che esiste un'etichetta, capace di mantenere la dignità dell'uomo, ed è solo lasciando trasparire da essa la naturalezza, l'immediata spontaneità della natura umana, che si accresce il proprio potere sul prossimo. (…)
Il linguaggio è, in tutte le sue sfumature, l'asse portante dell'etichetta e, immaginando che l'etichetta sia una porta, un linguaggio appropriato e meticolosamente adattato all'interlocutore assolve le funzioni dell'olio con cui si ungono le serrature. 
Ma nei tempi moderni esse cigolano troppo, poiché nessuno si preoccupa ormai di oliarle. 
È assolutamente errato supporre che gli altri possano comprendere i nostri sentimenti profondi. L'animo umano conserva sempre una parte ignota anche all'amico più intimo e più a lungo frequentato. 
Le parole sono il ponte che ci unisce agli altri esseri umani, ma deve essere un ponte completo, provvisto di parapetto. Tutto ciò è fornito dall'etichetta. (…)
Si può dedurre da questo che il mondo virile ha molte affinità con lo sport.
Ci si disputa la vittoria seguendo determinate regole, che servono a velare il latente, radicale antagonismo tra i partecipanti. (…)
L'etichetta è dunque una corazza per difendere l'uomo.
Chi non necessita di questa difesa non ha, in definitiva, alcun obbligo di conformarsi a un'etichetta. Costoro sono giudicati, a seconda dei casi, come animali o come creature assolutamente spontanee.
Per quanto mi riguarda, ho la ferma certezza che la essenza virile sia esaltata proprio dall'autocontrollo e dalle norme di comportamento, così come è piacevole un uomo elegantemente abbigliato con un kimono da cerimonia perfettamente inamidato. 
Un anno, al culmine dell'estate, mi recai al Ryū Kan, una famosa scuola di arti marziali di Kumamoto, dove mi esercitai al Kendō con alcuni giovani. 
Conservo un indelebile ricordo di uno di loro, un giovane dell'ultimo corso che, grondante sudore, s'inginocchiò con il busto perfettamente eretto verso un piccolo altare e con voce squillante comandò agli altri: «Rei!». 
Suscitò in me un'impressione di freschezza, come se in quell'istante si fosse lacerata la cortina di paura che mi opprimeva. Mi parve che quello fosse un esempio perfetto di come un cerimoniale possa rendere affascinanti i giovani, molto più affascinanti di coloro che vivono in un modo sregolato e confuso. 

Lezioni spirituali per giovani samurai
Yukio Mishima (1925 - 1970)

l'estratto è stato pubblicato da: http://www.kenshinkan.it/t_reishiki.html che ringraziamo

giovedì 8 marzo 2012

Kodō


Ieri, a Milano, ho assistito commosso, ancora una volta, allo straordinario concerto dei Kodō.
Un vero Inno alla Vita, all'energia, al dono di sé.
Se volete vedere armonia, determinazione, gioia, disciplina, capacità di offrirsi senza riserve e arte nella sua più alta interpretazione, non perdete occasione di andare a vedere i Kodō.
Gli artisti marziali incontreranno, nel gesto e spirito di questi uomini l'autentico spirito Bushidō.
 
Andate a dire ai Kodō che il loro è uno sport visto che si suda e visto che la loro performance fisica fa paura ...
Anche un superatleta non sarebbe in grado di avvicinarsi lontanamente alla loro performance psico-fisica perchè lo spirito è diverso.
Altrettanto il Karate-Dō non è sport.
L'insegnante di Karate-Dō non è un istruttore sportivo e la sua Arte deve essere riconosciuta da Istituzioni che riguardano Arte e Cultura non da federazioni sportive !
Chi vuol fare l'struttore sportivo continui pure a farlo, noi facciamo altro, la nostra pratica è ben più vicina all'Arte dei Kodō che al Karate-sport.
 

sabato 3 marzo 2012

Varcando la Porta d'Ingresso


Come ci eravamo proposti di fare da tempo, intendiamo riproporre sul nostro Blog articoli, che consideriamo particolarmente interessanti, già pubblicati negli anni nel giornale del Tora Kan Dōjō.
Questo articolo è stato pubblicato nel numero 25 del 2002.
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Varcando la Porta d'Ingresso

articolo di Dave Lowry
traduzione di P.Taigō Spongia

porta scorrevole d'accesso allo Zendo del Tora Kan Dojo



“Un uomo può essere giudicato da come apre una porta,
una donna può essere giudicata da come la chiude.”

 
Per comprendere il senso che c'é dietro questo curioso modo di dire  dobbiamo sapere qualcosa in più sulle porte e l'architettura del Giappone pre-moderno.
A differenza delle porte che sono fissate a cardini tipiche delle costruzioni occidentali, le porte giapponesi scivolano avanti e indietro su scanalature di legno sul pavimento. In alcune stanze, la porta può essere un piccolo rettangolo, offrendo così un'apertura così piccola che si può entrare attraverso di essa solo camminando carponi sulle mani e sulle ginocchia. Queste piccole porte sono denominate nijiri guchi; sono una caratteristica comune alle case del té tradizionali usate per ospitare il rituale della cerimonia del té, del servire e bere il tè, chado. E' proprio parte integrante della cerimonia del té quello di entrare con umiltà nella casa del té. Entrare carponi attraverso la piccola apertura sulle mani e sulle ginocchia ha lo scopo di rendere umili e sgonfiare l'ego.(considerando la misura di alcuni degli ego che le oltrepassano ai giorni nostri, se potessimo installare delle nijiri guchi come entrata del dojo, o sala di pratica delle arti marziali, che si trovano in questa nazione 'n.d.t. l'autore é americano', sarebbe senza dubbio il più straordinario miglioramento architettonico immaginabile per queste strutture.)
Le costruzioni giapponesi tradizionali hanno anche porte che aprono intere pareti o compongono partizioni della stanza che possono essere fatte scorrere per raddoppiare la misura di una stanza. Non importa quale sia la loro misura o forma, le porte giapponesi di qualsiasi genere si aprono tutte allo stesso modo: ci si inginocchia vicino all'apertura della porta e la si fa scorrere aprendola, poi si entra nella stanza scivolando avanti sulle ginocchia.
Questa è una descrizione piuttosto semplificata del modo di entrare attraverso una porta, come vi direbbe un qualsiasi esponente di una vera Via o arte classica del Giappone. Sukisha, le persone di buona educazione, sanno che si deve usare la mano più vicina alla porta per aprirla di pochi centimetri ("la larghezza di un indice", per essere precisi, secondo una scuola di etichetta feudale), poi si cambia mano per farla scorrere il resto della larghezza. Ci sono un gran numero di maniere da osservare in questa semplice azione di aprire una porta ed entrare in una stanza se si deve osservare il protocollo previsto dall'antico Giappone. Il punto è, per i giapponesi del periodo feudale, anche un compito ordinario, quotidiano, come entrare in una stanza assumeva un preciso significato e un prescritto ordine che derivava da quello.
Non è esagerato dire che quando eseguita con il giusto spirito e con la corretta attitudine mentale questa azione mondana può assumere la proprorzione di un Kata, uno dei movimenti formali che sono alla base di tutte le arti e Vie giapponesi. E il significato dell'espressione che un uomo può essere giudicato da come apre una porta e una donna da come la chiude è da cercare in quello spirito e attitudine.
Provate a guardare la situazione da questa prospettiva: sarebbe molto facile fare un'entrata ad effetto, imponente, attraverso una porta stile giapponese. Potreste spingere vigorosamente la porta sulle sue guide con uno spintone, facendola sbattere contro la sua cornice con un tonfo impressionante! Ricordate, anche, che le persone siedono sul pavimento in una casa tradizionale giapponese. Se entrerete a grandi passi nella stanza rimanendo in piedi, svetterete su ognuno seduto in quella stanza. Vi imporrete. Avrete l'attenzione di tutti i presenti. Letteralmente, ogni persona sarà nella condizione di guardarvi dal basso. Per molti, questo potrebbe sembrare un modo simpatico di "fare il loro ingresso", così gli stessi potrebbero non capire il perchè l'etichetta giapponese richiede proprio l'opposto comportamento.
La risposta è che le maniere, in Giappone, o almeno buona parte di esse, sono sempre state finalizzate a mantenere e preservare l'armonia sociale. Andare d'accordo coi propri simili era importante, ed era anche fondamentale il concetto che il sé individuale non era così importante quanto il benessere del gruppo.
(Naturalmente, queste motivazioni hanno guidato l'etichetta di molte civiltà. In Giappone, tuttavia, erano di capitale importanza. Il riso, da sempre alimento base della dieta giapponese, é di così complessa lavorazione per essere coltivato che il lavoro e la vita comunitaria erano una necessità. Questo ha portato a schemi comunitari dove le persone vivevano buona parte della loro vita a stretto contatto con altri. In molti modi l'etichetta del Giappone tradizionale serviva da lubrificante contro le inevitabili frizioni sociali della vita quotidiana.)
Più alta era la classe sociale dell'individuo, tanto più umile e modesta era la sua condotta. Più la persona era "di classe", meno aveva bisogno di mettersi in mostra.
L'individuo che era sicuro della sua casta sociale non aveva necessità di ricordare a sè stesso o ad altri della sua posizione costantemente. Quando entrava in una stanza, non era necessario utilizzare l'entrata come un'occasione per richiamare l'attenzione su di sè. Entrava quietamente, usando prima una mano poi l'altra per aprire la porta, perchè questo metodo faceva scorrere la porta silenziosamente, con un rumore minimo. Entrava poi utilizzando un passo scivolato sulle ginocchia così da mantenersi al livello delle altre persone già presenti nella stanza. Questo è il significato nascosto dietro il detto che un uomo può essere giudicato da come entra in una stanza. Ma perchè la distinzione tra uomini e donne? L'adagio implica per caso che c'era uno standard di comportamento differente tra i sessi ? Ebbene sì, in qualche modo.
Le donne erano spesso in una posizione subordinata nella vita quotidiana del Giappone antico. Se un gruppo di uomini era in una stanza, sarebbe stata probabilmente una donna a servire cibo e bevande e che sarebbe poi uscita. Così una donna usciva dalla stanza più spesso, chiudendo la porta dietro di sè mentre c'erano ancora persone all'interno. Ecco la distinzione tra i sessi nell'espressione citata. Ma tale distinzione può essere fraintesa. Nell'essenza, il genere (masch. o femm.) è superfluo, quel che conta è lo spirito e l'atteggiamento col quale ognuno conduce sè stesso.
Questo spirito o atteggiamento ha pervaso la cultura giapponese, e poichè i Budo sono frutto di quella cultura, non dovrebbe sorprendere che tali concetti siano parte integrante anche delle Vie marziali. E senza dubbio ecco perchè provoca così fastidio e tristezza vedere così tante persone che apparentemente fanno del Budo una parte significativa delle loro vite che rimangono così tenacemente  ignoranti circa questo spirito e attitudine o che, ancora peggio, deliberatamente scelgono di non farci caso. Quando vi capita di  vedere un "maestro" di arti marziali entrare pavoneggiandosi sul pavimento del Dojo come se il mondo fosse fortunato ad averlo, o un agonista in una competizione di arti marziali venire fuori dal quadrato con le braccia al cielo in segno di vittoria, siete in presenza di tale ignoranza, tale arrogante disinteresse per le tradizioni in cui il budo si è sviluppato.
L'abilità di aprire e chiudere una porta scorrevole giapponese sono una parte del reishiki, "forma corretta", o "etichetta". L'abilità di muoversi in un modo eqilibrato ed aggraziato scivolando sulle ginocchia sul pavimento è un aspetto specifico di questa forma, questa maestria del sè che ci permette di entrare in armonia con gli altri e di presentarci al mondo in un modo ripettoso. Col dispiacere di chi di noi ha un interesse, un sentimento nei confronti delle tradizioni del vecchio Giappone, queste sono abilità e capacità che sono largamente scomparse nel mondo moderno. Quelli che sono ancora pratici di queste tradizioni tendono ad essere esponenti delle arti classiche, come il Budo o la Cerimonia del Tè, persone che hanno l'interesse di investire il loro tempo nell'imparare metodi che nella pratica attuale sono di limitato valore. A meno che tu non viva in Giappone, e anche lì ai giorni nostri, conoscere come aprire una porta scorrevole e come entrare ed uscire attraverso di essa non è certo di vitale importanza negli affari odierni. Ma ancora alcune maniere, quelle che D'Avenant chiamava quelle "regole non scritte attraverso le quali le persone incutono rispetto anche ai re", hanno la capacità di trascendere il tempo e le immediate circostanze. In ogni epoca, in ogni cultura, noi siamo giudicati dalle piccole cose che facciamo. Cose come entrare ed uscire da un edificio. Noi che affermiamo di seguire il sentiero tracciato dalle Vie marziali giapponesi siamo particolarmente consapevoli di ciò, sapendo bene che la forma esteriore è molto spesso la manifestazione eslicita di uno stato interiore più profondo. Questo dovrebbe darvi qualcosa su cui rifettere quando entrate in una stanza o chiudete una porta, se ruotate la maniglia o fate scivolare una porta sulle sue guide.