sabato 26 febbraio 2022

Zazen è lasciarsi abbracciare dal Kesa

Pubblichiamo l'estratto di un Insegnamento offerto da Paolo Taigō Kōnin Sensei durante la Pratica Zen.


Bisognerebbe sedere in Zazen indossando il Kesa.

Ad un certo punto della propria Pratica dovrebbe essere naturale sentire la chiamata ad indossare il Kesa.

Indossare il Kesa non significa indossare un abito al posto di un altro, indossare il Kesa significa spogliarsi completamente di ogni abito e assumere la responsabilità di un’assoluta libertà.

Quando penso a questo mi viene in mente l'immagine di San Francesco quando si spoglia di tutti i suoi abiti e li restituisce nelle mani del padre. Quando rimane nudo il Vescovo, testimone di questo straordinario momento, lo avvolge con il suo mantello.

Francesco non aveva scelto d'indossare il mantello del Vescovo, il mantello lo ha avvolto nel momento in cui lui ha abbandonato ogni cosa.

La stessa cosa accade quando indossiamo il Kesa.

Non siamo noi ad indossare il Kesa, è il Kesa che ci abbraccia, ci avvolge...

Quando ricevetti il mio Kesa nel giorno della mia Ordinazione monastica non sapevo come indossarlo, durante l'Ordinazione ero stato aiutato ad indossarlo da altri monaci, ma poi quando lo tolsi non sapevo più come fare.

Una volta rientrato a casa, all’alba del mattino successivo, siedo in Zazen estraggo il Kesa dalla sua busta, lo pongo sul capo, recito le strofe del Kesa e poi… il Kesa mi ha abbracciato come per magia.

Lo scrissi al mio Maestro e ne fu molto toccato, lesse la mia lettera pubblicamente.

Sedere con il Kesa fa la differenza tra chi siede solo per sé stesso e chi invece si affida allo Zazen offrendosi totalmente.

Ogni mattino al termine del primo Zazen del giorno, lo poniamo sul capo e con le mani giunte recitiamo:

Dai sai ge dap-puku

Mu sō fuku den e

Hi bu nyō rai kyō

Kō do sho shu jō.

Grande Magnifico Abito di Libertà

Campo di Gioia senza confini

Che dispiega l'Insegnamento del Buddha,

Salva e Libera.

 


© Tora Kan Dōjō

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domenica 20 febbraio 2022

Il vero spirito del Kata e del Dôjô

 



"I moduli costitutivi della vostra esperienza, che voi potete vivere nel Dōjō, sono molto importanti e quelli che vi si trasmettono nei kata lo sono altrettanto. Fare un passo avanti, avvicinarsi, mettersi in ginocchio sono moduli costitutivi, il kata è tale nella sua complessità - tutto è significativo: un passo, uno sguardo, tutto quanto. Il rituale non è un "sovrappiù". A volte l'impacchettatura è più importante del contenuto. Lo dimostra anche la nostra moderna civiltà che spesso, non sempre per ragioni buone, ha privilegiato la confezione. Che adesso ci siano confezioni "mal confezionate", cioè che abbiano preso un'importanza eccessiva, è vero, perché si è perso di vista il senso della confezione, ma la confezione resta molto importante, moltissimo.

Quindi riassumendo, le cose più importanti che sono emerse sono: il luogo, dove si trasmettono i moduli costitutivi di una tradizione; la figura dell'insegnante come veicolo autorevole di quella ed infine la funzione di ciascuno, che diventa a sua volta attivatore di una comunione di intenti, per cui tutti sono dall'inizio alla fine coinvolti.

E questo coinvolgimento, questa implicazione è fondamentale.

L'altra prospettiva è quella di andare a pagare la quota in un posto che chiamiamo Dōjō, dove c'è qualcuno che viene pagato per fare le pulizie e dove possiamo andare quando ne abbiamo voglia. Una prospettiva che, comunque, non funziona, degenera fino a che sparisce, si trasforma in un'altra cosa, perché non è equilibrata.

Indipendentemente dalla nostra volontà, le cose si rimettono da sole in equilibrio, perciò quel modo di fare karate o judo si trasformerà e sparirà da solo, non c'è neppure da preoccuparsi. Perché fra un pò di tempo andare a fare judo come un passatempo ci costerà un milione di dollari. Non sarebbe strano. Se pensate di andare in palestra per sfruttare una situazione, lo pagherete caro. Negli Stati Uniti d'America già si paga solo per assistere a una lezione di judo, per guardare si paga. Anche da noi può diventare così.

In Giappone era un po' diverso. Pensate a che cosa può significare, culturalmente, la storia di quel Maestro che non permetteva a suo fratello di assistere alla lezione, perché per lui il Dōjō non è un luogo dove si va ad assistere se non si hanno certe capacità. E il fratello spiava le lezioni del proprio fratello dalla finestra.... Sembra assurdo, ma erano dei grandi.

E' esattamente la dimensione opposta del karate-dance, che si sta affermando In America: si fanno dei kata al ritmo di musica, tirando dei colpi in tutte le direzioni. Sono straordinari, da un certo punto di vista, l'efficenza legata allo spettacolo è perseguita al massimo in quell'ambito. L'arte marziale in America è diventata così. Ma quando quell'americano si trova davanti il Vietkong - piccolo, nero, arrabbiato - si trova in una certa difficoltà (come in effetti è stato!), Da un punto di Vista culturale-antropologico, non c'è rapporto, non si possono neanche paragonare."

Tratto da un Insegnamento del Maestro F. Taiten Guareschi


© Tora Kan Dōjō


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giovedì 10 febbraio 2022

Ogni cosa ci guarda

 



"Voi forse sapete che, quando osserviamo un fenomeno - per esempio, io che sono di fronte a voi e voi che siete di fronte a me - qualunque cosa noi osserviamo, la trasformiamo!
Grazie alla meditazione, si era già scoperto questo.
Se io guardo una penna, scatta un meccanismo per cui la vedo diversa da quella che è; anzi, posso arrivare a dire che la penna mi guarda! Questa è la visione della prassi liberatoria.
Il Buddhismo questo lo vive, momento per momento. Questa è la mia strada come monaco Zen. Per me, è chiaro che questa (indicando la penna; n.d.R.) mi guarda. Non è una stravaganza. E' la mia vita di tutti i giorni. Non è niente di strano.
Se noi ci poniamo uno di fronte all'altro, quindi, non posso più dire "io" e "te". Questo lo si sapeva già da tempo, ma recentemente anche gli scienziati hanno dovuto prenderne atto.
In questo modo, l'attenzione si sposta sull'osservatore. L'osservatore diventa problematico.
Che cosa vuol dire questo? Ci conferma l'importanza dello Zazen: Zazen come ritorno all'osservatore. Perchè? Perchè - e rispondo con le parole di Morin - l'osservatore, una volta, ignorava la propria collocazione nel divenire storico e "ingenuamente si riteneva al centro dell'universo e sulla cima della ragione".
Sotto questo profilo, c'è stato un grosso fraintendimento anche nella lettura delle Scritture bibliche. Per secoli, si è ritenuto che l'uomo fosse al centro dell'universo. Di fatto, lo si poteva interpretare anche in un altro modo...
Questi sono solo alcuni dei temi su cui si fonda l'educazione Zen.
Quest'educazione è fatta di lavandini, di tazze del cesso, di stracci, di ciotoli, di alberi, di carta igienica... Non c'è niente che sia secondario. Non c'è niente da cui non ci si possa distaccare, compreso noi stessi. Non c'è proprio niente."

 

Taiten Guareschi Roshi


© Tora Kan Dōjō















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sabato 5 febbraio 2022

Liberarsi dalla stupità di gruppo ITA/ENG

 



"Quando i gruppi religiosi attirano folle e costruiscono strutture elaborate, molte persone iniziano a credere che queste istituzioni siano vere religioni.

La genuinità di una religione non dipende da quanti credenti enumera.

I grandi numeri non sono significativi; ci sono più persone illuse di quante non lo siano.

E i virus devono essere più numerosi degli esseri umani. Oggigiorno, le persone cercano di ottenere risultati formando gruppi e entrando in competizione sulla base dei numeri.

Ma in ogni gruppo, i membri sono infettati dalla stupidità del gruppo. Formare fazioni all'interno del gruppo e competere con altri sottogruppi è un buon esempio di paralisi di gruppo.

Liberarsi dalla paralisi di gruppo (in altri discorsi Sawaki Roshi la definisce 'stupidità di gruppo n.d.t.) e diventare il sé che è solo il sé è la pratica dello Zazen ".

Kōdō Sawaki Roshi



English Version


" When religious groups attract crowds and build elaborate structures, many people begin to believe these institutions are true religions. The genuineness of a religion does not depend on how many believers it has. Large numbers are not significant; more people are deluded than aren’t. And viruses must outnumber human beings. These days, people try to accomplish things by forming groups and outnumbering the opposition. But in any group, members are infected with group stupidity. Forming factions within the group and competing with other subgroups is a good example of group paralysis. To be free of group paralysis and become the self that is only the self is the practice of Zazen."

Kōdō Sawaki Roshi



© Tora Kan Dōjō















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