giovedì 23 giugno 2022

Zazen è lasciarsi contaminare dalla vita

Pubblichiamo l'estratto di un Insegnamento offerto da Taigô Kônin Sensei durante la Pratica Zen.

Lo Zazen non è una forma di meditazione. Meglio sarebbe definirlo contemplazione.

Contemplazione significa riscoprire, riassaporare, il senso profondo della vita nuda.

La vita nuda è la vita prima di essere stata coperta da tutte le cose che noi pensiamo essere la nostra vita ma che non sono la nostra vita...

Abbiamo costruito un'intera cultura attorno al nascondere a noi stessi la legge della trasformazione, del cambiamento, del fluire senza fine, al punto che l'essere umano vive con dolore la legge dell’impermanenza.
Cerchiamo disperatamente di trattenere quel che ci piace e di respingere o negare quel che ci dispiace. Cataloghiamo l’esperienza come se fosse possibile standardizzare e schedare qualcosa di fluido e irripetibile e in questo modo uccidiamo la nostra stessa esperienza.

Abitualmente passiamo dall'afferrare al respingere senza una via mediana, ma ci sono altre possibilità completamente differenti per guardare all'universo, alla nostra vita.

Quando la mente non prova a congelare la realtà nel tentativo di afferrarla e non prova a respingerla o ignorarla questo diventa un modo amorevole di percepire e vivere nel mondo. Se guardiamo bene, noi non siamo altro che la composizione di un vortice di pensieri, sensazioni e percezioni che abbiamo solidificato in un costrutto mentale denominato 'io'. Trattiamo questa entità come fosse un qualcosa di solido e immutabile, cominciamo a pensarla come un qualcosa di separato dal resto, con una sua identità separata. Per questo è importante lo Zazen, la contemplazione che ci permette di vedere in profondità questo costrutto immaginario che chiamiamo 'io' e riconoscere singolarmente gli elementi che lo compongono. Lo Zazen è chiamato anche il grande maestro, grande insegnante, è il fuoco che brucia le nostre illusioni attraverso una comprensione profonda, non razionale. Così come quando noi impariamo a camminare, a piegare un braccio, ad eseguire un qualsiasi gesto non riusciremmo mai a descrivere esattamente l'ordine in cui le nostre fibre nervose e i muscoli collaborano attraverso la contrazione e la decontrazione eppure, il nostro braccio si muove. Lo Zazen, esprime una comprensione che avviene attraverso lo stesso processo dell’agire.

La scienza occidentale da poco ha scoperto e dimostrato come noi stessi siamo parti integranti del mondo che percepiamo e che il processo della nostra stessa osservazione trasforma quello che vediamo. Perdonate la mia descrizione sicuramente poco competente ma se ‘osserviamo’ l’elettrone da una certa angolazione percettiva appare come una particella ma osservato da un'altra angolazione appare essere un'onda senza sostanza, semplicemente un movimento di energia... l'elettrone è un evento più che materia e l'osservatore stesso è parte integrante di questo evento.

Questo ci fa comprendere quanto la nostra azione influenzi la realtà, non solo la percezione della realtà ma la realtà stessa, e quanto questo richieda una grande attenzione, presenza e cura verso ogni piccolo dettaglio con cui entriamo in contatto.

Questo non è qualcosa che può essere imparato a scuola razionalmente, è qualcosa che va esperito con il corpo come la capacità di muovere un passo.
L'esercitare l'azione stessa ci restituisce una percezione, una comprensione intima e profonda.

Questo è uno scoglio insormontabile per la mentalità occidentale che pretende di capire e poi fare. Ed è per questo che da sempre i maestri invitano a sedere in Zazen senza dare tante spiegazioni... perché l'esperienza stessa dello Zazen permette una certa percezione e comprensione profonda che non può essere anticipata e spiegata a priori.

È ovvio perciò che l'esperienza dello Zazen, così come ogni altra esperienza, sia condizionata dall'azione di chi siede.

Il modo in cui sedete in Zazen è fondamentale; si potrebbe fare Zazen tutta la vita senza realmente fare l'esperienza dello Zazen. Siete voi stessi che condizionate la vostra esperienza con il vostro atteggiamento.

Ecco perché nel Dōjō c'è un continuo richiamo alla sincerità e al totale coinvolgimento nell’azione del sedere o in qualsiasi altra azione che compiamo, senza questo spirito l'esperienza dello Zazen diventa altro.

Adesso si propongono i corsi online di Zazen.

È un evidente strategia commerciale o di ricerca di consenso che ha poco a che vedere con lo Zazen.
Qualcuno sta cercando di venire incontro alla caratteristica occidentale che è quella di fuggire l’implicazione dell'incontro con l'altro che un’autentica pratica comporta offrendo un prodotto che sia più vendibile.

Ma non esiste Zazen senza implicazione e senza incontro.
Zazen è contaminarsi con la vita non mantenere una distanza di sicurezza.
Lo Zazen richiede di contaminarsi con l’altro, di ‘sporcarsi le mani’, di muovere un passo e lasciare che la gamba comprenda.
Dal contatto del piede col suolo comprendere cosa significhi davvero poggiare i piedi sulla terra.

Online, a debita distanza, si possono dare tante informazioni che rinforzano ancor di più la nostra già malata tendenza alla comprensione intellettuale, a quell’incasellare la realtà per addomesticarla.
Invece la potenza dell'educazione Zen risiede nella fisicità e presenza dell’essere qui, insieme, maestro e allievi in questo irripetibile momento decisivo, in questo bypassare il pensiero nell’agire con il corpo ‘contaminandosi’ l’un l’altro nel Risveglio. 




(Registrazione e trascrizione a cura di Monica Tainin De Marchi)
















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venerdì 10 giugno 2022

Fermarsi per osservare

Sul rimanere immobili durante Zazen:

"Rimanere immobili non significa però sforzarsi, come farebbe magari il giovane soldato di guardia davanti al Palazzo Reale. Il corpo, di per sé, non si muove. Lo fa solo se riceve un impulso da parte della mente. Dunque se si rimane completamente immersi in uno stato contemplativo, il corpo se ne sta lì, immobile, senza voler cambiare nulla. Ogni movimento – come ad esempio cambiare posizione, dondolare, grattarsi, fare smorfie, eccetera – è comandato dall’ego, che si serve di quella che abbiamo chiamato “mente operativa”, la parte di noi dualistica, che si pone in antitesi alla realtà per volerla manipolare. Ma durante la meditazione noi cerchiamo la dimensione della contemplazione, dell’abbandono, del lasciare andare, del rimanere senza fare niente, per poter meglio osservare ciò che succede veramente. L’esperienza stessa ci dice che per osservare bene qualcosa bisogna stare fermi. Se sto camminando in un bosco e sento un suono che mi sembra quello di un animale che si muove, e voglio capire cosa succede, allora mi devo subito fermare, rimanere immobile ad ascoltare. Lo stesso se c’è qualcosa lontano o anche vicino che voglio osservare. Fermarsi per osservare, ecco cosa succede nella meditazione. Non è difficile, apparentemente. Basta esercitarsi a tenere a freno l’ego, che è sempre pronto a intervenire per manipolare la realtà, nel tentativo di dimostrarci l’impossibile: l’esistenza di un sé separato dal resto della realtà che ci circonda."

Paolo Subioli

















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martedì 7 giugno 2022

Essere scelto dalla meditazione





"L’hanno chiamato meditazione.

Perché la meditazione è la sola cosa che non si può “fare”, cioè si fa attraverso l’ amore, l’entusiasmo.

La realtà è che è il solo momento in cui non facciamo niente. Non c’è nessuna direzione deliberata, volontaria.

Il genere di vita in cui viviamo e in cui ci siamo lasciati radicare, è volontarista, che si concentra su tutto il sedicente individuo che fa e raccoglie il frutto dopo l’azione.

La paura è voler rifare ciò che si conosce. La meditazione non ha niente a che fare con questo. E’ una scelta. Forse è il solo momento della giornata dove il meccanismo del volere acchiappare, prendere e comprendere è a riposo.

L’ego non esiste, è un’illusione. Non un solo ego è capace di alzare una tazza di tè, è la vita che lo fa. L’ego è una finzione, un concetto molto pratico per le mondanità. Ma nella vita non c’è che la vita. Certo, la meditazione sembra venire da una decisione.

Ci si dice: “Vado a fare meditazione”, ma in realtà in quel momento non se ne ha la scelta. Si è presi.

Così come prima, non ne avevamo la scelta di non farla!

La vera meditazione è realizzare che non abbiamo mai avuto la scelta…e alla fin realizzare che non abbiamo da meditare. Quando realizziamo questo, prendiamo immediatamente coscienza di non fare nulla."



Jean Bouchart d'Orval
estratto da "Essere scelto", traduzione della dr.ssa Luciana Scalabrini



© Tora Kan Dōjō






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venerdì 3 giugno 2022

Lavorare sé stessi

Pubblichiamo una pagina del diario di Etty (Esther) Hillesum scritta il 20 giugno 1942, in piena occupazione dell'Olanda. Il diario fu scritto tra il 1941 e il 1942 ad Amsterdam prima della deportazione di Etty ad Auschwitz, dove morì vittima dell’Olocausto il 30 novembre del 1943. Fu pubblicato postumo nel 1981.

Sabato sera, mezzanotte e mezzo [...] 

Per umiliare qualcuno si deve essere in due: colui che umilia, e colui che è umiliato e soprattutto: che si lascia umiliare. Se manca il secondo, e cioè se la parte passiva è immune da ogni umiliazione, questa evapora nell'aria. Restano solo delle disposizioni fastidiose che interferiscono nella vita di tutti i giorni, ma nessuna umiliazione e oppressione angosciose. Si deve insegnarlo agli ebrei. Stamattina pedalavo lungo lo Stadionkade e mi godevo l'ampio cielo ai margini della città, respiravo la fresca aria non razionata. Dappertutto c'erano cartelli che ci vietano le strade per la campagna. Ma sopra quell'unico pezzo di strada che ci rimane c'è pur sempre il cielo, tutto quanto. Non possono farci niente, non possono veramente farci niente. Possono renderci la vita un po' spiacevole, possono privarci di qualche bene materiale o di un po' di libertà di movimento, ma siamo noi stessi a privarci delle nostre forze migliori con il nostro atteggiamento sbagliato: con il nostro sentirci perseguitati, umiliati e oppressi, con il nostro odio e con la millanteria che maschera paura. Certo ogni tanto si può esser tristi e abbattuti per quel che ci fanno, è umano e comprensibile che sia così. E tuttavia: siamo soprattutto noi stessi a derubarci da soli. Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile, ma non è grave. Dobbiamo prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà allora da sé: e “lavorare sé stessi” non è proprio una forma di d'individualismo malaticcio. Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in sé stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall'odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest'odio e l'avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo. E' l'unica soluzione possibile. E così potrei continuare per pagine e pagine. Quel pezzetto d'eternità che ci portiamo dentro può esser espresso in una parola come in dieci volumi. Sono una persona felice e lodo questa vita, la lodo proprio, nell'anno del Signore 1942, l'ennesimo anno di guerra. 

( Diario, pagine 126-127 )

© Tora Kan Dōjō

www.iogkf.it

www.torakanzendojo.org









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