Pubblichiamo l'estratto di un Insegnamento offerto da Taigô Kônin Sensei durante la Pratica Zen.
Gran parte della sofferenza, dell'ansia, della
tristezza, della depressione, sono causate dall'interpretazione che la nostra
mente mette in atto di fronte alla realtà.
Il Buddha esprimeva questo con una parabola: Come se
qualcuno colpito da una freccia, immediatamente dopo fosse colpito da una
seconda freccia nella stessa ferita. L’uomo amplifica la sua sofferenza con la
‘seconda freccia’ scoccata dalla sua interpretazione di quello che si trova a
vivere. Un'interpretazione emotiva che nella maggior parte dei casi amplifica
la sofferenza.
Quello che ci insegna Zazen e che dobbiamo esercitare
continuamente durante la nostra vita, è imparare a distinguere la realtà di
quello che incontriamo dalla illusoria interpretazione che ne fa la nostra
mente.... un’interpretazione che nasce principalmente dalla proiezione nel
futuro.
Zazen ci insegna a tornare costantemente attraverso la
postura al momento presente lasciando cadere ogni interpretazione.
Si sente spesso affermare da chi non ha esperienza, o da
chi cerca di vendere un prodotto, che la meditazione è fermare il pensiero, la
mente... niente di più lontano dalla realtà della pratica meditativa. Perché la
mente dovrebbe fermarsi? Quando sediamo in Zazen il nostro organismo continua
la sua normale attività, il cuore non può fermarsi, altrettanto vale per lo
stomaco, l'intestino, la milza, i reni... allora perché la mente dovrebbe
fermarsi?
Pensiamo che il
problema sia la mente perché gli diamo un'eccessiva importanza, perché diamo
eccessiva importanza a quel che la mente produce, il pensiero, che non è più
importante dei succhi gastrici, della circolazione del sangue... anzi,
paradossalmente tra tutte le nostre funzioni vitali è quella che ci crea più
problemi e che crea danni anche alle altre funzioni vitali.
In Zazen impariamo a guardare alla produzione della
nostra mente, a riconoscerla, ad osservarla, a comprendere che non si tratta altro
che di una proiezione, dettata da condizionamenti, paure, ansie abitudini.
Niente di originale...
Tutto quello che attiene all'intuizione, alla
creatività, arriva da ‘oltre la mente’, da quella che qualcuno ha definito la
Grande Mente, il Pensiero Cosmico. Quando noi lasciamo cadere l'io separato e
ci riconosciamo nell'Uno, il pensiero che coinvolge gli oceani, gli alberi, i
fiumi, i muri… diventa il nostro pensiero.
E questo
pensiero che trascende questa piccola mente ha una memoria infinita che va ben
oltre la nostra limitata esistenza in questa forma, possiede una saggezza
profondissima.
Ecco perché mi capita provocatoriamente di affermare
che lo slogan molto in voga oggi: ‘dobbiamo cercare la risposta dentro noi
stessi’ è ingannevole.
Proprio all'opposto dobbiamo lasciar cadere 'dentro' e 'fuori', capire che non
esiste un ‘noi stessi’ separato dal tutto e lasciare che la risposta ci
attraversi, dobbiamo diventare una canna vuota attraverso la quale il vento
dello spirito passa e risuona attraversandola...
La grande saggezza, la grande mente, il nostro vero sé,
Dio, chiamatelo come vi aggrada, ci attraversa, e attraversandoci produce un
suono... il suono della verità.
Tutta la Pratica dello Zen è fondata su questo
'svuotamento' per far sì che si possa essere riempiti da qualcosa che non è
limitato a noi, alla nostra piccola mente, ai nostri condizionamenti.
Siamo in grado così di riconoscere i pensieri illusori
che amplificano la nostra sofferenza. Li riconosciamo e possiamo finalmente
riderci sopra. Questa saggezza ci permette anche di non reagire di fronte alle
situazioni ma di rispondere. La reazione è sempre frutto di un condizionamento,
la risposta intuitiva nasce da l'oltre-mente.
Il
compito di un insegnante Zen è quello di risvegliare costante-mente i propri
allievi alla grande mente, di insegnargli a riconoscere quando agisce la
piccola mente o quando invece è la grande mente che agisce attraverso di loro.
Affinché la vera fede nella loro natura di Buddha orienti e agisca nella loro
vita.
Cosa ci dice oggi uno
scrittore giapponese che il 25 novembre di cinquant’anni fa si suicidò davanti
alle telecamere col rito tradizionale del seppuku perché la sua
patria aveva svenduto l’anima alla modernità e all’americanizzazione?
Un gesto incomprensibile
agli occhi del nostro tempo, assai remoti da quel clima e dalla radice da cui
provenivano: oggi i suicidi avvengono per motivi personali, non ci sono suicidi
contro lo spirito dell’epoca. L’ultimo suicidio che somiglia a quello di Yukio
Mishima fu quello compiuto da uno scrittore francese, Dominique
Venner, sette anni fa, in Notre-Dame.
Ma a noi ragazzi e
adolescenti degli anni Settanta, che non amavamo il nostro tempo, quel gesto
assoluto s’impresse nel nostro sangue e nella nostra memoria. E si associò a
quello compiuto l’anno prima da Jan Palach a Praga. L’uno contro la
repressione comunista che mortificava la patria e la libertà dei popoli;
l’altro contro il nichilismo occidentale che divorava l’Impero del Giappone e
rubava l’anima, lo spirito e la dignità alla sua tradizione sacra. E Mishima
era scrittore famoso nel mondo, nel cinema, e largamente permeato
dall’Occidente.
Mishima fu il nostro Che
Guevara, il nostro Pasolini, il nostro D’Annunzio. Dico Guevara perché
Mishima fu il nostro eroe contro il dominio americano e la perdita di
sovranità; ma guerriero, non guerrigliero. Dico Pasolini perché
Mishima fece scandalo come lui contro il consumismo e il capitalismo, lo
sradicamento e l’industrializzazione, l’omologazione e l’irreligione.
Dico D’Annunzio perché Mishima fu esteta armato e poeta soldato,
anche se di una guerra senza guerra, e come lui scrisse la sua opera tra Eros,
Morte e Bellezza.
Mishima fu un ponte tra
letteratura e vita, tra visione e azione eroica, tra Oriente e Occidente, nel
segno della Tradizione. Sole e Acciaio, il suo testamento spirituale, fu il
nostro breviario di quegli anni: al sole e all’acciaio, sintesi di tradizione e
modernità, natura e volontà, mito e palestra, ci addestrammo, dedicammo il
corpo e la mente. L’acciaio per temprare i nostri corpi, il sole per far
risplendere la nostra anima alla luce. Ore in palestra e corse in campagna al
sole a torso nudo, anche in pieno inverno, con la fascia sulla fronte come
Mishima, con sprint finale allo stremo delle forze su un ponte che sembrava
sfociare nel sole. Riti di un’imprecisata religione, un po’ pagana, un po’
sportiva, spiritual-carnale, estetica on the road, con un piccolo gruppo di
fidati amici e militanti metapolitici, figli del Sole e dell’Acciaio in
versione mediterranea. Cercavamo in lui un’etica e un’estetica del coraggio.
Dopo qualche anno, pubblicai con un mio ampio saggio introduttivo, Sole e
Acciaio. Era un debito con la prima gioventù, i suoi sogni e le sue illusioni;
che rinsaldai di recente dedicando a Mishima un ritratto in Imperdonabili (Marsilio).
Ma Mishima non è solo
questo, e non è solo quell’opera, ricorda Danilo Breschi che ha
pubblicato ora da Luni Yukio Mishima Enigma in cinque atti. È uscito pure un
libretto di scritti mishimiani, Difesa della cultura, a cura di Daniele Dell’Orco (ed.
Idrovolante) tradotto da uno “storico” cultore del Giappone, Romano
Vulpitta. Si, il nostro Mishima non era il letterato, l’autore di romanzi
famosi e opere teatrali ardite, ma era il testimone ardito di una vita, di una
protesta e di memorabili scritti contro il nostro tempo. L’uomo gracile che non
aveva fatto in tempo a perdere la guerra e si era forgiato fino a diventare un
atleta della mente e del corpo. Era l’ultimo dei samurai, un kamikaze in tempo
di pace, un milite che aveva combattuto la sua battaglia con la penna e la
spada. Ci colpiva la sua vita combaciante col suo disegno e il suo suicidio
rituale, premeditato da anni, dopo un discorso fiero e disperato, davanti a una
folla scettica e irridente. C’era estetismo, narcisismo, decadentismo nel suo
gesto impolitico, di testimonianza pura. Morì a 45 anni nel pieno della fama e
del vigore fisico e intellettuale.
Mishima era un nemico
ante litteram della globalizzazione, non amava il Giappone all’ingrasso,
cresciuto fra transistor, macchine fotografiche e benessere ma evirato della
sua tradizione imperiale, militare e aristocratica, privo di un ruolo
geopolitico e di una dignità nazionale. Era un antimoderno e un nemico fiero
del ’68 che contestò in un pubblico dibattito con gli studenti del Movimento
studentesco giapponese. C’era in lui una vena di voluttà omo-erotica riversata
in esibizionismo; la stessa che lo spingeva a estasiarsi davanti al martirio di
san Sebastiano trafitto dalle frecce. C’era pure fanatismo e velleità (era un
golpista mancato); la tradizione fu per lui come un urlo di Munch prima di
suicidarsi. Ma si avvertiva il senso del sacro.
Mishima sognava di
rigenerare la cultura giapponese mediante il Crisantemo e la Spada,
l’equivalente nipponico del mazziniano Pensiero e azione. Per lui i principi
cardine della civiltà sono la ciclicità, ossia la ricorrenza in forme sempre
nuove della tradizione; la totalità, che è la capacità di congiungere il
conoscere all’agire; e la soggettività, l’elemento creativo e innovativo che
traduce la lezione del passato nel proprio tempo.
Lo rivedo oggi in un ritratto a torso nudo che brandisce la spada con lo
sguardo fiero e trovo in lui qualcosa della nostra prima giovinezza; ma lo vedo
lontano anni luce dal nostro tempo, inattuale. E non so se questo suoni come
una condanna del suo anacronismo e del suo gesto finale; o sia una critica del
nostro tempo e della sua incapacità di ascoltare le voci dei tempi e degli eroi
andati. Lo vedi urlare in un poster nel silenzio glaciale di un tablet e non
sai se è lui muto o noi sordi.
Marcello Veneziani, La
Verità 25 novembre 2020 (fonte)
Il corpo non è una
macchina che noi dobbiamo avviare o fermare. Possiede una sua mente e sa cosa
deve fare. In realtà, ciò a cui
rinunciamo è l’illusione del potere della mente. Fare è l’opposto di
arrendersi. Fare è una funzione dell’Io, mentre arrendersi al corpo esige un
abbandono dell’Io. Naturalmente, quando il
sentire è assente o ridotto, si cerca un significato alla vita oltre il sé” . Il sentire vero svuota la
vita di una sua presunta direzionalità, di un suo presunto senso. Si esce dalla banale
retorica di frasi patetiche quali dare un senso alla vita, cercare un posto nel
mondo, avere uno scopo. Per non parlare di quella
bestemmia somma costituita dalla parola ambizione. Invece: resa, abbandono. E farsi fluire, lasciarsi
andare. Lasciarsi andare: non più
io vado, ma sono lasciato andare, sono portato, sono condotto. Sono fluito. Ovvero: sono arreso al
mio corpo, da lui accudito. Più mi arrendo e più
sento la sua potenza, la sua forza, la sua inderogabile verità. La verità del corpo, la
verità della natura, la verità della materia, la verità della terra, la verità
del sentire. Non più il soggetto che
produce l’azione, ma l’azione che si impone in un soggetto volatilizzato nella
sua esposizione al reale, alla potenza della datità dell’istante presente. Come un ubriaco per
strada, ma che sente nel suo inciampo il senso del mondo.
"Le nostre vite sembrano essere blocchi
ininterrotti di settanta o ottanta anni consecutivi, ma, in realtà, sei una
moglie quando guardi in questo modo; sei la donna della porta accanto quando
guardi in quel modo . Quando mantieni la franchezza diretta della tua mente
mentre prende vita ogni istante, anche senza sforzo, anche senza allenamento,
nasci meravigliosamente con ogni istante. Muori con ogni istante e continui a
rinascere , istante per istante.
... quando vai in cucina a preparare la cena,
nasci in cucina. Quando finisci lì, muori. Poi nasci a tavola mentre mangi la
tua cena e, quando finisci di mangiare, muori lì. Sii nato nel giardino a
spazzare con la scopa. Quando di notte vai a letto, muori lì. E quando arriva
la luce del giorno, e ti risvegli nel tuo letto, rinasci. Se hai il cancro,
nasci con il cancro.
Sempre adesso - proprio adesso - vieni all'esistenza.
Sempre adesso - proprio ora - offri te stesso alla morte. Praticare questa
verità è pratica Zen."
Soko Morinaga Roshi
tratto da ‘da Studente a Maestro’
Versione Inglese
"Our lives appear to be unbroken blocks of
seventy or eighty continuous years, but, actually, they are just as the example
we saw earlier: you are a wife when you look this way; you are the woman next
door when you look that way. When you maintain the straight-forward frankness
of your own mind as it comes to life each instant, even without effort, even
without training, you are beautifully born with each instant. You die with each
instant, and go on to be born again, instant by instant.
. . . when you go to the kitchen to prepare
dinner, be born in the kitchen. When you finish there, die. Then be born at the
dining table as you eat your dinner and, when you finish eating, die there. Be
born in the garden, and sweep with your broom. When you get into bed at night,
die there. And when daylight comes, and you awaken in your bed, be born anew.
If you have cancer, be born with cancer.
"Always
now — just now — come into being. Always now — just now — give yourself to
death. Practicing this truth is Zen practice."
Vi spiego la differenza tra sport e arte marziale con
una storiella che potrebbe essere realmente accaduta...
Su un campo di tiro in occasione di una manifestazione
si incontrano un maestro di kyudo giapponese (l'arte del tiro con l'arco
asimmetrico) e un arciere sportivo americano.
Il maestro di kyudo tira con il suo arco sgembo in
legno, che ha costruito con le sue mani e che pochi riuscirebbero a tendere
senza la giusta pratica, tanto è tirata la corda e tanto particolare è la
tecnica dell'arco asimmetrico che richiede perfetta unificazione di mente e
corpo attraverso il respiro.Si esercita tirando a pochi metri da un grosso
bersaglio in paglia di riso (makiwara) perchè la sua principale preoccupazione
non è tanto raggiungere il centro del bersaglio quanto unificare
corpo-mente-cuore in quel gesto...Ogni tiro richiede un tempo molto lungo,
lunghe pause di concentrazione, lenti gesti rituali che si ripetono da secoli.
Intanto l'arciere americano scocca numerose le sue
frecce con il suo arco perfettamente bilanciato, in alluminio leggerissimo,
supertecnologico, dotato di frecce altrettanto perfezionate da altissima tecnologia.
Tira contro un bersaglio lontanissimo e coglie il
centro molte volte....
L'arciere americano sorride al vedere il rudimentale
arco giapponese e, soprattutto, lo diverte la vicinanza al grande bersaglio
tenuta dal maestro giapponese.
Dopo aver anticipato la sua intenzione ai suoi amici,
va verso il giapponese e con aria di sfida gli dice: 'vogliamo scommettere a
chi coglie il centro di quel bersaglio laggiù?' Il maestro giapponese declina
l'invito affermando che non è interessato a tale prestazione.
L'americano insiste facendosi più insolente e afferma:
'non sarà che con quel tuo arco storto e preistorico non riusciresti mai a
colpire il bersaglio ?' tra le risate dei suoi amici.
Il giapponese allora replica:'Va bene accetto la sfida
ma tiriamo secondo i principi della mia arte' 'benissimo' risponde l'americano
'dimmi dove devo tirare e centrerò il bersaglio'.
'Prendiamo due frecce per uno, tu con il tuo arco, io
con il mio, ci allontaniamo di 10 passi, ci giriamo e tiriamo l'uno contro
l'altro...' replica il giapponese
L'americano rinuncia alla sfida dando del pazzo al
giapponese.
L'americano con tutta la sua ipertecnologia e
raffinata tecnica non ha avuto il 'cuore' di mettere la sua vita in gioco
mentre l'arte marziale è tutta nel saper mettere costantemente in gioco la
propria vita.
La sua grande abilità tecnica è completamente inutile
di fronte alla Grande Questione di vita-morte, il suo polso trema di fronte alla
determinazione e all'abbandono di sè dell'arciere giapponese.
L'Arte Marziale è perfezionamento dello spirito, del
cuore e del corpo nel confronto tra la vita e la morte e in questo confronto è
lo spirito che, affilato come una spada dalla pratica, ha il sopravvento.
Basterebbe dare piena libertà ai bambini,
a tutti i bambini, e i vostri papi, i monaci, si rivelerebbero per quello che
sono: degli idioti. Idioti fatti e finiti.
Basterebbe dare ai bambini il permesso di
dubitare.
E' una cosa vietata ed è male perché una
volta che ti assuefai ad una fede, piano piano tutto il tuo essere ne è
avvelenato, per cui se qualcuno ti attacca sulla fede hai la sensazione che
stia attaccando te.
Questa è stata la difficoltà che ho
incontrato io e per questo per tutta la mia vita sono stato a mia volta
aggredito.
Non potrò mai esserti d'aiuto se non
attacco la tua professione di fede, se non smantello la tua ideologia, non
potrò mai condividere con te il mio essere, perché fra noi ci sarà sempre un
muro molto spesso, insormontabile.
Per quanto io gridi non mi sentirai mai.
Dovrò prendere quel muro a martellate e riuscire a fare un buchetto per poterti
vedere e permettere a te di vedermi faccia a faccia.
Io posso ravvivare ciò che ti è stato
sottratto, posso ridarti la tua infanzia innocente, solo da lì potrai iniziare
una vera ricerca della verità, solo da lì sarà possibile la religione,
altrimenti potrai solo parlare di religione.
Questa è la mia religione, mai esistita
nel mondo intero.
Io non ti do una struttura di dogmi, fedi, credo e ideologie
nuove, per niente.
La mia funzione è assolutamente diversa.
Io mi limito a portarti via qualsiasi cosa
tu abbia acquistato, senza darti nulla che la sostituisca.
Bisogna imparare a percepire a partire da una
sensibilità profonda, intuitiva, pre-razionale...
L'educazione Zen é calata in questa coscienza arcaica che è pienezza è unità
con sé stessi e con il tutto.
Fin dal primo momento in cui sedete in Zazen realizzate questa pienezza.
Anche Dôgen Zenji afferma vigorosamente che sin dal primo momento in cui ci si
siede in Zazen appare evidente questa pienezza.
E questa pienezza non é limitata a sé, ma si estende a tutte le forme di vita e
non solo quelle coscienti.
Oggi attraverso le teorie costruttivistiche siamo in grado di capire che le
demarcazioni, il nostro senso di separazione, sono il risultato delle nostre
proiezioni culturali, di culture ormai povere che hanno perso il legame col
tutto e questa 'coscienza arcaica'.
Un bambino piccolo non percepisce queste demarcazioni, così come non le
percepisce il poeta, il mistico...sono incapaci di viverle nettamente
pensandosi separati, io da una parte, tutto il resto dall'altra e questa
coscienza arcaica gli permette di vibrare con il mondo.
L'amore stesso é fatto di non-demarcazione, é la crisi della demarcazione.
Altrimenti é possesso e diventa tutt'altra cosa.
E'
in uscita il 2 Dicembre 2022 per le edizioni Mediterranee in tutte
le librerie e sulle piattaforme online, il libro: La Forma del Vuoto -
Riflessioni su Zen e Arti Marziali che raccoglie una serie di
scritti, pensieri e insegnamenti del Maestro Paolo Taigō Spongia trascritti da alcuni suoi volenterosi allievi.
Pubblichiamo
la Prefazione scritta dal curatore della collana il prof. Bruno Ballardini.
La
disciplina Zen non è mai una passeggiata. Tutt’altro. La pratica
sincera assedia il tuo Ego senza lasciargli scampo. Se cerchi una
stampella su cui appoggiarti ti viene tolta la possibilità di
trovarla, se cerchi una comfort zone in cui ripararti ti viene tolta
anche quella. E arriva prima o poi il momento in cui ci si accorge di
essere soli a dover affrontare gli insormontabili ostacoli della
pratica, nonostante la presenza di un Maestro. C’è chi non capisce
questo e si rifugia nel formalismo e chi per carattere arriva prima
degli altri ad accettare questa sfida, in cui è in gioco la propria
vita, senza reti. Quando penso a Paolo Spongia, mi viene in mente
Ikkyū Sōjun (休宗純,
1394-1481), Maestro Zen della scuola Rinzai, calligrafo, pittore e
poeta. Un uomo che non sopportava il formalismo dello Zen e rifiutò
perfino il certificato di Illuminazione (Inka shōmei) dal suo
Maestro, preferendo una vita da vagabondo, e solo verso la fine
accettò il ruolo di abate, sia pure con molta riluttanza. Essere
sinceri con sé stessi è un prerequisito indispensabile per la Retta
Visione, la prima e più importante porta dell’Ottuplice Sentiero.
Lo è anche per le porte successive che devono essere aperte e
attraversate una per una con rettitudine, cioè sinceramente.
Possiamo anche disciplinarci a dire e a dirci sempre la verità in
tutte le occasioni ma se questa “autodisciplina” è guidata dal
nostro Ego perfino le nostre verità diventano false. E lì non c’è
Maestro che tenga. In un commento alla sua opera, Mumōn scriveva:
“Ananda era il discepolo del Buddha, ma la sua comprensione non era
superiore a quella di un devoto non-buddhista. Vorrei chiedervi, che
differenza c’è tra il discepolo del Buddha e un filosofo
non-buddhista?”. Nessuna. Si diventa allievi solo quando si è in
grado di riconoscere la presenza di un Maestro. Quando cioè si
riconosce che qualcosa o qualcuno può insegnarci qualcosa. Si ha la
Retta Visione quando si è in grado di comprendere che il mondo
intero è nostro Maestro. Paolo Taigō Kōnin Spongia ha avuto i
Maestri più duri, primo fra tutti Fausto Taiten Guareschi, e ha
impiegato ben 18 anni di disciplina prima di intraprendere, molti
anni fa, un nuovo percorso personale in cui combattere in prima
persona il formalismo (non la forma, che invece è essenziale nella
pratica), errore in cui spesso in Occidente si rischia di cadere
rendendo non sincera la pratica e di conseguenza anche
l’insegnamento. Perché Paolo è una delle poche persone che
conosca capaci di anteporre la sincerità a ogni altra cosa come
principio fondante di ogni azione. In questo, ha trovato una solida
sponda nel karate, di cui pure è Maestro, perché soltanto questa
disciplina dà un infallibile riscontro (infallibile perché fisico,
istantaneamente tangibile) nel proprio modo di combattere il nemico
interno ed esterno. La maturità dell’insegnamento di questo
Maestro italiano traspare tutta in questi scritti raccolti dai suoi
allievi sul tatami e fuori dal tatami. Come scriveva Zangetsu
(832-912): “Le virtù non cadono dal cielo come le gocce di pioggia
o i fiocchi di neve, sono i frutti della vostra disciplina. La
modestia è la base di tutte le virtù. Senza essere voi a rivelarvi,
fate in modo che siano gli altri a conoscervi per questo”.
Una volta Katagiri Roshi si mise in piedi davanti all'altare nella
nostra sala di meditazione e disse: "Allineate l'incensiere al naso del
Buddha, centro della statua del Buddha. Se li mettete in linea retta, la
vostra mente sarà retta". Allinearli esattamente corrisponde all'arrivo
della vostra energia. In questo modo vi appellate al vostro rapporto col
Buddha. Non appena fate questo sforzo, la vostra mente e il vostro cuore sono
in linea col Buddha. Non è che allineiate questi oggetti e poi, dopo, a risultato
di questo sforzo, la vostra mente si metta in linea. Nell'istante stesso
dell'allineamento, la vostra mente è retta e onesta, La mente retta è la mente
di un bodhisattva. Questa retta mente non si aspetta nulla in cambio del suo
essere com'è. Essere com'è è la sua ricompensa, la sua realizzazione della
libertà dalla sofferenza. Infantili gesti di devozione, come riordinare oggetti
su un altare, sono, immediatamente e inconcepibilmente la realizzazione del
perfetto risveglio. Il nostro sforzo, fatto con tutto il cuore, di allineare un
incensiere con il naso di una statua è la suprema gioia sconfinata dei Buddha
nelle dieci direzioni, passati, presenti e futuri. Eppure, la mente umana può
dubitare che questo rettificare sia la liberazione stessa. Una volta Suzuki
Roshi ci parlò di un giovane monaco il cui padre era, anche lui, un prete zen.
Quando il ragazzo era sul punto di iniziare il periodo di pratica a Eiheiji, il
Monastero della Pace Eterna, suo padre gli diede questo consiglio: "Quando
arriverai a Eiheiji, vedrai che c'è una grande campana. Probabilmente avrai
l'opportunità di suonarla, al mattino presto, Suonerai la campana, e dopo ogni
colpo t'inchinerai. Quando suoni la campana, suona la campana e basta.
Tuttavia, quando la suoni, ricordati che, a ogni rintocco della campana, la
grande ruota del Buddha Dharma gira di un grado". Il ragazzo andò a
Eiheiji, ed ebbe la sua opportunità di suonare la campana. La suonò pieno di
gioia, con tutto il cuore, proprio come gli aveva insegnato suo padre. Quando
l'abate udì il suono della campana, ne rimase profondamente impressionato.
Volle sapere chi stesse suonando la campana in quel modo, e chiese d'incontrare
il giovane monaco. In seguito il ragazzo divenne un grande maestro.
Le cinque abilità genitoriali descritte
in questo articolo di Sadhguru, yogi, mistico e visionario, possono fare una
grande differenza nell'educazione dei figli, che si tratti di bambini o
adolescenti. Questi consigli essenziali possono fare molto per creare una
relazione sana tra genitori e figli. Esaminiamo una per una ciascuna di queste
abilità.
Sadhguru: Essere genitore
è molto divertente. Stai cercando di fare qualcosa che nessuno ha mai saputo
fare bene. Anche se hai dodici figli, stai ancora imparando. Puoi crescere bene
i primi undici, ma il dodicesimo potrebbe darti parecchio da fare.
n.1 Crea l'ambiente
giusto
Creare l'ambiente
appropriato è una grande parte dell'essere genitori. Devi creare il giusto tipo
di ambiente – un certo senso di gioia, amore, cura e disciplina sia dentro di
te che in casa. L'unica cosa che puoi fare per tuo figlio è dargli amore e
sostegno. Crea un ambiente amorevole per lui dove l'intelligenza fiorirà
naturalmente. I bambini guardano la vita con purezza. Quindi siediti con loro e
guarda la vita in modo nuovo, come fanno loro. Il tuo bambino non ha bisogno di
fare ciò che hai fatto tu nella vita. Il tuo bambino dovrebbe fare qualcosa a
cui tu non hai nemmeno avuto il coraggio di pensare. Solo allora questo mondo
progredirà e qualcosa succederà.
Una responsabilità
fondamentale che l'umanità deve compiere è garantire che la generazione
successiva di esseri umani sia almeno un passo avanti a te e me. È estremamente
importante che la prossima generazione viva un po' più gioiosamente, con meno
paura, meno pregiudizi, meno vincoli, meno odio, meno miseria. Dobbiamo puntare
a questo. Il tuo contributo alla prossima generazione dovrebbe essere che non
lasci una peste nel mondo, dovresti lasciare un essere umano che sia almeno un
po' migliore di te.
n.2 Capisci di Cosa Hanno
Bisogno i Tuoi Figli
Alcuni genitori, nella
loro aspirazione o ambizione di rendere i loro figli super-forti, hanno
inutilmente fatto passare loro troppe difficoltà. Vogliono che i loro figli
diventino ciò che loro stessi non sono potuti diventare. Nel cercare di
soddisfare le loro ambizioni attraverso i propri figli, alcuni genitori sono
stati estremamente crudeli con i loro figli. Altri genitori, credendo di amare
molto i loro figli, li hanno viziati eccessivamente e li hanno resi esseri deboli
e inutili nel mondo.
C'era una volta uno yogi che apparteneva ad una certa
tradizione chiamata Shivaita del Kashmir. Questa è una delle sette forme dello
yoga. È una forma molto potente, ma è rimasta circoscritta per lo più nell'area
del Kashmir, quindi ha acquisito quel nome. Un giorno, questo yogi vide un
bozzolo leggermente incrinato, e la farfalla all'interno stava faticando
parecchio per uscire – il guscio del bozzolo era troppo duro. Di solito, la
farfalla lotta costantemente per quasi quarantotto ore per uscire dal bozzolo.
Se non esce fuori, morirà. Lo yogi vide questo e mosso a compassione usò la
propria unghia per aprire il bozzolo in modo che la farfalla potesse liberarsi.
Ma quando uscì, la farfalla non riusciva a volare. È la lotta per uscire dal
bozzolo che permette alla farfalla di usare le sue ali e volare. A che cosa
serve una farfalla che non può volare? Molte persone, in quello che pensano sia
l'amore per i loro figli, hanno reso i loro figli così. Bambini che non volano
nella loro vita.
Non esiste una regola standard per tutti i bambini.
Ogni bambino è diverso. Ci vuole una certa discrezione. Non si può tracciare
una linea perfetta riguardo a quanto fare e non fare. Diversi bambini
potrebbero aver bisogno di diversi livelli di attenzione, amore e fermezza. Se
dovessi venire a chiedermi mentre sono nel giardino di palme da cocco: “Quanto
dovrei innaffiare ogni pianta?” Direi: “Minimo cinquanta litri”. Ma se vai a
casa e versi 50 litri sulla tua pianta di rose, morirà. Quindi devi vedere quale
tipo di pianta hai in casa tua.
n.3 Impara dai Tuoi Figli
La maggior parte degli
adulti presume che non appena un bambino nasce, sia tempo di diventare
insegnanti. Quando un bambino entra nella tua casa, non è il tempo di diventare
insegnanti, è tempo di imparare, perché se guardi te stesso e tuo figlio, il
tuo bambino è più gioioso, non è vero? Quindi è tempo che impari la vita da
lui, non viceversa. L'unica cosa che puoi insegnare a tuo figlio - che devi, in
una certa misura – è come sopravvivere. Ma quando si tratta della vita stessa,
un bambino, da solo, sa di più sulla vita in modo esperienziale. Il bambino è
la vita; il bambino lo sa. Anche per te, se ti liberi delle influenze che hai
imposto alla tua mente, le tue energie vitali sanno come essere. È solo la tua
mente che non sa come essere. Un adulto è capace di ogni tipo di sofferenza -
sofferenze immaginarie. Un bambino non è ancora arrivato a questo. Quindi è il
momento di imparare, non di insegnare.
n.4 Lasciali
Semplicemente Essere
Se i genitori tengono
veramente ai propri figli, devono crescerli in modo tale che i bambini non
abbiano mai alcun bisogno dei genitori. Il processo di amare dovrebbe sempre
essere un processo di liberazione, non di incatenamento. Quindi, quando il
bambino nasce, permettigli di guardarsi attorno, passare del tempo con la
natura e passare del tempo con se stesso. Crea un ambiente di amore e sostegno
e non cercare di imporre in nessun modo la tua morale, idee, religione o
qualsiasi altra cosa. Solo permettigli di crescere, permetti che la sua
intelligenza cresca e aiutalo a guardare alla vita a modo suo, come un essere
umano – non identificato con la famiglia, o con la tua ricchezza o con
qualsiasi altra cosa. Semplicemente aiutarlo a guardare alla vita come un essere
umano è essenziale per il suo benessere e per il benessere del mondo. Sempre,
il genitore che incoraggia il bambino a imparare a pensare da solo, a usare la
propria intelligenza per vedere che cosa è meglio per lui, è la miglior
garanzia che hai affinché il bambino cresca bene.
n.5 Sii un Essere Gioioso
e Tranquillo
Se vuoi crescere bene il
tuo bambino, la prima cosa è: dovresti essere felice. Ma tu, per conto tuo non
sai come essere felice. Ogni giorno a casa tua, quando la tensione, la rabbia,
la paura, l'ansia e la gelosia sono le uniche cose che vengono dimostrate a tuo
figlio, cosa gli succederà? Ovviamente imparerà solo queste, non è vero? Se
davvero hai intenzione di crescere bene il tuo bambino, dovresti cambiare te
stesso in un essere amorevole, gioioso e pacifico. Se sei incapace di
trasformare te stesso, che senso ha crescere tuo figlio?
Se vogliamo davvero
crescere bene i nostri figli, prima di tutto dobbiamo vedere se possiamo fare
qualcosa con noi stessi. Tutti quelli che desiderano essere genitori devono
fare un semplice esperimento. Siediti e vedi che cosa non va bene nella tua
vita e cosa sarebbe positivo per la tua vita – non riguardo al mondo esterno ma
a te stesso. Qualcosa che riguarda te stesso – il tuo stesso comportamento, il
modo di parlare, le modalità di azione, le abitudini – se riesci a modificarlo
in tre mesi, allora saprai gestire anche tuo figlio con saggezza.