mercoledì 22 marzo 2023

Un fiume pacifico

di Thich Nhat Hanh

New Hamlet, Plum Village 26 gennaio 2012

* A Peaceful River, trad. ingl. (dal vietnamita) di sister Chan Khong, «the Mindfulness Bell», Summer 2012 (numero speciale per il 30° anniversario di Plum Village). [N.d.T.]

꧁꧂

Caro sangha, oggi è il 26 gennaio 2012. Siamo nella Sala di Meditazione della Luna Piena di New Hamlet. La gatha di oggi dal sutra che stiamo studiando dice che tutti noi conteniamo una corrente e che non abbiamo un sé separato. La gatha è la seguente: 

Esseri viventi è il nome di una corrente continua e tutti i fenomeni in quanto oggetto di percezione sono soltanto segni; perciò non c’è alcuna reale trasformazione della nascita nella morte e della morte nella nascita e nessuna persona che realizzi il nirvana.(1) 


Ci sono due cose che questa gatha ci insegna. Primo, noi non abbiamo un io separato, un sé separato; e secondo, ogni cosa viene dalle nostre percezioni, ogni cosa è un oggetto della nostra percezione. Non c’è nessuno che raggiunga il nirvana, perché se non c’è alcun sé separato, allora chi lo farà? Dapprima noi pensiamo che dobbiamo scegliere: o siamo nell’oceano di morte e nascita, e allora soffriamo; o siamo nel nirvana, cosicché non abbiamo da soffrire. Ma dopo ciò dobbiamo andare oltre nella nostra comprensione. Dobbiamo vedere che nascita-e-morte è il nirvana. Se siamo profondamente in contatto con nascita e morte, allora siamo in contatto con il nirvana. Queste due cose non sono separate; per questo, non c’è nessuno nel flusso di nascita e morte e non c’è nessuno che vada verso il nirvana. Perciò non dobbiamo fare alcunché. Non dobbiamo nemmeno praticare. Ho scritto una poesia su un ruscello, un piccolo ruscello che comincia in cima a una montagna. Quando arriva la pioggia, esso diventa un fiume. Molti piccoli ruscelli si uniscono a formare il fiume, e il fiume scorre giù per la montagna. Stiamo descrivendo un fiume molto giovane. Noi siamo come questo giovane fiume. Quando siamo giovani, siamo eccitati e vogliamo andare molto velocemente. La gioventù è sempre così, vogliamo sempre raggiungere qualcosa rapidamente. Tutti attraversiamo quella fase; alcuni l’hanno già attraversata, altri lo stanno facendo proprio adesso. Vogliamo raggiungere qualcosa, vogliamo finire qualcosa, vogliamo andare da qualche parte. Ci sono alcuni giovani monaci che vogliono tanto diventare in fretta anziani venerabili, così si comportano in maniera molto serena, proprio come un vecchio venerabile; si comportano in modo più vecchio della loro età. E ci sono alcuni monaci anziani che vogliono proprio indossare l’abito monastico dei monaci novizi cosicché possano sembrare giovani. Dunque il giovane fiume stava danzando e cantando mentre correva rapidamente giù per la montagna. Era molto entusiasta e naturalmente sul cammino vedeva altri ruscelli, e tutti si mescolavano insieme. Possiamo vedere chiaramente che un ruscello, un fiume non rimane separato; si congiunge con molti diversi ruscelli mentre viaggia. E il nostro corso della vita è lo stesso: ogni giorno abbiamo così tanti input, che entrano in noi sempre. Se ciò che entra dentro di noi è nutriente, va bene; ma se ciò che entra non è fresco, può rendere il flusso della vita non molto buono. Ascoltare il discorso di Dharma questa mattina è un input nutriente e ci aiuta a crescere. Il discorso può contenere insight e compassione. Se riusciamo ad assorbire tutto di quei piccoli ruscelli dentro il discorso di Dharma, allora più tardi il nostro fiume sarà molto chiaro. Ma noi abbiamo anche output. Mentre il fiume scorre giù per la montagna, al tempo stesso raccoglie e distribuisce: per esempio, il fiume deve condividere dell’acqua con l’erba. Quando il fiume arriva nelle pianure, non c’è alcun pendio ripido, così il fiume rallenta. Questo ci succede quando invecchiamo: non siamo eccitati, abbiamo più pace. Abbiamo la capacità di vedere che cosa accade nel momento presente perché abbiamo rallentato. Quando il fiume scorre nel campo, diventa un fiume più pacifico ed è diventato più ampio, come il Fiume dei Profumi a Hue, il Fiume Rosso nel Vietnam del Nord, il Fiume Mekong, il Rio delle Amazzoni, il Mississippi, il Gange.



La nuvola è impermanente

Quando il fiume rallenta, ha tempo di riflettere molte nuvole piene di colori; le nuvole hanno molti, molti colori. Allora il fiume comincia ad affezionarsi alle nuvole: «Oh, quella nuvola è così bella! Ah, pure quella nuvola è bella!». E il fiume corre da una nuvola a un’altra nuvola. Anche noi siamo un fiume; siamo un corso d’acqua e diventiamo attratti da quella nuvola, quell’immagine. Ci affezioniamo a molte cose entusiasmanti, piene di colori e interessanti. Ma la natura di ogni cosa è impermanente, incluso la nuvola. Ora la nuvola è qui, ma nel pomeriggio passerà. Mentre le nuvole scompaiono, tu corri da una nuvola a un’altra nuvola, cercando di aggrapparti. Anche noi corriamo dietro a questo o a quel progetto, dietro a un’altra bella donna, a un altro bell’uomo. Sentiamo del vuoto nei nostri cuori e siamo come un fiume in corsa dietro a una nuvola. Ma la verità della nuvola è l’impermanenza; la sua natura è di scomparire. Perdiamo il nostro respiro rincorrendo questa nuvola, poi un’altra nuvola; e allora, poiché abbiamo quella sensazione di vuoto dentro, ci sentiamo soli. Poi, un giorno, il fiume è così triste, mancandogli le nuvole, e non ha nessun desiderio di vivere. Il cielo è vuoto, non c’è alcuna nuvola da rincorrere, niente per noi da inseguire. Perciò il fiume vuole morire. Vuole suicidarsi. Ma il fiume non può uccidersi: è impossibile. Una corrente deve continuare, non può smettere di scorrere. Ed è lo stesso per noi. Noi siamo un fiume di forma, sensazioni, percezioni, formazioni mentali e coscienza. Diciamo che possiamo ucciderci, che possiamo suicidarci; ma non possiamo mai farlo, perché appariremo semplicemente in un’altra forma. Quindi dobbiamo scorrere in modo che il fiume diventi sempre più ampio, sempre più limpido, sempre più bello, e andare nella direzione che rende la vita più bella. Il fiume era così vuoto e così perduto, ma è tornato al fiume, a sé stesso.


Già illuminato


Per la prima volta il fiume ascolta sé stesso. Quando si mette in ascolto in riva al fiume e sente un piccolo sciabordio delle onde, quello è come i singhiozzi del fiume. Ma guardando profondamente, all’improvviso vedrà che, oh, questa piccola onda sulla sponda del fiume è anche la nuvola. E io, il grande fiume, sono già una nuvola. Ho tutte le nuvole in me stesso. Ho tutti i miei progetti in me stesso, tutti i sogni in me stesso, tutti gli scopi in me stesso. La natura del fiume è una nuvola, la natura della nuvola è un fiume, perché sono tutti e due fatti di acqua. Tu sei già acqua; perché corri dietro all’acqua? Sei già ciò che stai rincorrendo. Questo è il primo insight del fiume. Nel Buddhismo abbiamo tre porte della liberazione(2). Una delle porte è l’assenza di scopo. Non hai bisogno di ambire a niente. Non hai bisogno di andare da nessuna parte. La terza porta della liberazione è l’assenza di scopo. La seconda porta è l’assenza di segno. La prima è la vacuità. Assenza di scopo significa che non hai bisogno di ambire a niente; tu sei ciò che stai cercando. Quando il fiume capisce che lui è acqua e che la nuvola è in lui perché anche lei è acqua, non ha alcuno scopo da inseguire, ed è in pace. Ed è lo stesso con noi: noi inseguiamo il Buddha, inseguiamo il satori, l’illuminazione. Non hai bisogno di inseguire l’illuminazione; sei già illuminato. Dove sei, stabilmente lì, tranquillo, chiaro nella tua mente, sei già ciò che stai cercando. Quando il fiume ha trovato quella visione profonda, scorre placidamente e arriva all’oceano, che è acqua anch’esso. Dovunque tu sia, sei già acqua. Quando le condizioni cambiano e c’è troppo caldo, diventi acqua sotto forma di vapore, sotto forma di una nuvola. Allora, mentre scorri placidamente come un fiume, ci sono molte nuvole. Ma il fiume non ha alcun desiderio di rincorrere le nuvole perché il fiume sa che tutte queste nuvole sono lui stesso. Non ha bisogno di rincorrere tutte queste bellezze, tutti questi attaccamenti. Il fiume capisce che lui è nuvola. E quella notte in cui il fiume capisce che è fiume, che è nuvola, non c’è alcuna discriminazione tra nuvola e vapore acqueo e acqua. Quella notte c’è una grande illuminazione di nuvola, luna, fiume, vapore, acqua; ed essi si uniscono per la meditazione camminata. Sono insieme; sono uno. Si manifestano in forme diverse, ma sono uno. Hanno già raggiunto la porta della liberazione, l’assenza di scopo. Non sono confusi dai segni delle loro forme e sperimentano il non-sé, l’interessere. Sono uno.


Il nirvana in te

Vediamo le meraviglie di ogni secondo, di ogni minuto. Il sole è così bello. Il sangha è così bello. Noi siamo un fiume; dobbiamo scorrere. Perché pensi che puoi ucciderti? Non puoi uccidere un fiume. Il fiume continua a cercare una via per continuare: quella è la tua pratica. Basta che tu pratichi così. Non hai bisogno di imparare migliaia di sutra. Semplicemente cammina sulla Terra, sii realmente con la Terra, sii con il sole. La Terra è una meraviglia, il sole è una meraviglia. Siete uno. La Terra è un grande bodhisattva, il sole è un grande bodhisattva. Noi non possiamo essere diversi, non possiamo trovare un bodhisattva migliore. Hai bisogno soltanto di praticare così; è sufficiente. Quando riesci a camminare in presenza mentale, profondamente, a essere uno con la Terra, a essere uno con il sole, a essere uno con l’universo, puoi vedere che ogni passo ti porta a quella grande realtà. Così tutto il tuo dubbio sarà rimosso. In realtà, non c’è niente di perduto, niente di aumentato. Perdere qui, aumentare lì: puoi vedere che niente dura. Perciò il nostro fratello è scomparso, ma appare qui, lì, e in te stesso, in molte altre persone. Non cercare di trovare il nirvana lontano. Puoi trovare il nirvana in te, nel momento presente. Niente nasce, niente muore. Ogni cosa è non-nascita, non-morte; nessun aumento, nessuna diminuzione. Vediamo il mondo della sofferenza e vediamo il mondo dell’illuminazione perché siamo dualistici nella nostra visione. Se puoi toccare il mondo della bellezza nel mondo della bruttezza, allora puoi toccare il mondo della sofferenza nel mondo dell’illuminazione. Il mondo dell’illuminazione è dentro il mondo della sofferenza. Non pensare che l’illuminazione sia diversa dall’ignoranza. Dall’ignoranza puoi ottenere l’illuminazione. Devi vedere che nella sofferenza ci sono parecchi elementi che ti aiutano a raggiungere l’illuminazione. Dobbiamo imparare a prenderci cura della nostra sofferenza per cambiare, trasformare, essere liberati. Allora quando abbiamo sofferenza, dobbiamo soffrire insieme. Non soffrire da solo. Quando soffri da solo non puoi trovare la via d’uscita. Ma se soffriamo come un sangha, insieme, troveremo una via d’uscita. Io sono molto felice che vi ho tutti insieme con me. Ho attraversato molte situazioni difficili, ma voi siete qui, e noi tutti lavoriamo insieme per trasformare il nostro dolore. Perciò, come il fiume, non cercare di inseguire le nuvole. Ciò che stai inseguendo è già qui in te. L’acqua è in te; anche la nuvola è acqua, non è una promessa del futuro. Il paradiso è qui e ora. Il Regno di Dio è ora o mai più. Puoi rimanere dove sei, non rincorrendo alcunché. Devi praticare «Sono arrivato, sono a casa». È la nostra ancora. Significa che dimoriamo pacificamente, felicemente, qui e ora. Faccio voto di portare il mio corpo, la mia mente, la mia azione e la mia parola a mettere fine a ogni conflitto, alle liti, e
portare comprensione e amore a ognuno. Ciò è il nostro compito. È la nostra missione. La nostra missione è portare comprensione nella vita, a noi stessi per primi e poi insieme l’un l’altro. Cerchiamo di portare comprensione agli amici intimi, ai nostri cari, vicini e lontani. Dimoriamo pacificamente, in presenza mentale, nel momento presente, per proteggere il nostro bel pianeta verde, e facciamo voto di vedere l’interessere di ogni cosa per trascendere i segni, l’apparenza. In questo modo tocchiamo la realtà. Devi essere consapevole che ogni parola influenza l’intero sangha. Ogni azione corporea influenza l’intero sangha. Quando pensi qualcosa, influenza l’intero sangha. Tu sei una cellula di un corpo. Devi pensare in un modo che porti felicità e purezza al sangha. Devi parlare in un modo che porti purezza e comprensione al sangha. Dobbiamo agire in un modo che porti comprensione e bellezza al sangha per creare la Terra Pura. Arrivare completamente, non essere portati via dalle apparenze, trascendere i segni. Tu mi ami: significa che tu ti ami. Tu ti ami: significa che tu mi ami. Il Buddhismo applicato è la via per toccare la realtà, per vedere che nascita e morte sono soltanto porte dalle quali entri ed esci. Sembra che tu nasca, sembra che tu muoia, ma in realtà nasci ogni secondo, muori ogni secondo. Perciò, amici, non pensate che questo corpo sia proprio voi, perché voi siete un fiume. Questo fiume continua a scorrere e scorrere. E se si ferma qui, apparirà dall’altra parte.

----------

 Note:

(1)Gatha 44 dallo Yogacarabhumishastra di Acarya Asanga.

(2)Le Tre Porte della Liberazione: 
I. Vacuità: interessere; la comprensione che siamo vuoti di un sé separato, indipendente. Quando pratichiamo la meditazione del cibo, vedendo il cosmo nel nostro cibo, questa è la pratica della vacuità. 
II. Assenza di segno: non farsi catturare nell’apparenza ovvero nell’oggetto della nostra percezione; non essere limitati dalla forma: cioè, vedere che la nuvola e il fiume sono in essenza lo stesso, tutti e due fatti di acqua. 
III. Assenza di scopo: la comprensione che abbiamo già la natura di Buddha, che tutti gli elementi per la felicità sono già dentro di noi. La pratica dell’assenza di scopo è la pratica della libertà.
















#karatedo #okinawagojuryu #artimarziali #torakandojo #torakan #taigospongia #iogkf #moriohigaonna #karateantico #karatetradizionale #zen #zazen #zensoto #karate #artimarziali #budo #kenzenichinyo #bushido #dojo #taigosensei #gojuryu #karatedo #meditazione #buddhismo #kenzenichinyo #kenzenichinyoblog #taigokoninsensei #insegnamento #maestro #tichnhathanh #fiume #sangha #plumvillage #impermanenza #nuvola #nirvana #illuminazione #quattroelementi


mercoledì 15 marzo 2023

Dimorare in Hishiryo

Pubblichiamo l'estratto di un Insegnamento offerto da Taigô Kônin Sensei durante la Pratica Zen.


In Zazen, dimorando nella consapevolezza del respiro e della postura, osserviamo. Diventiamo testimoni di quello che si muove dentro di noi, in particolare abbiamo modo di osservare chiaramente quel che si muove nella nostra mente. Da questa osservazione comprendiamo e facciamo l'esperienza profonda del corpo e della mente; facciamo l’esperienza dell’esistenza di un fondamento aldilà del pensiero che è profondo ed immutabile, non condizionato dai movimenti della mente, definito 'Hishiryo'... Immaginate il vasto cielo che rimane sullo sfondo qualunque fenomeno appaia, passa una nuvola, il volo di un uccello, il vento... ma il cielo rimane sullo sfondo, profondo, non condizionato, non coinvolto ed imperturbato dai fenomeni che appaiono e trascorrono. Possiamo così divenire consapevoli che tutte le nostre emozioni, positive e negative, rabbia, gelosia, passione, sono solo voli di uccelli, dei fulmini improvvisi, una folata di vento che si manifestano sullo sfondo di un cielo profondo e quieto. Imparando a dimorare nel pensiero Hishiryo, ed essendo profondamente intimamente consapevoli della sua presenza costante, possiamo tornare in un momento a dimorare nella quiete e osservare i fenomeni transitori per quello che sono. Questo non significa che non avremo sentimenti d'irritazione, rabbia e qualsiasi altro naturale sentimento umano... ma quando siamo consapevoli di questo fondo che rimane aldilà dei nostri pensieri e delle nostre emozioni, spesso condizionati da condizioni esterne ed esperienze passate, allora riusciamo a non farci più coinvolgere e a non diventare schiavi di queste emozioni. In uno dei Mondô che avverranno durante Hossenshiki un monaco chiede: " Ma quelle risate di felicità e quelle lacrime di tristezza, non è quello che fanno tutti?" E lo Shusô risponde "Ahimé, felici si diventa schiavi della felicità, tristi si diventa schiavi della tristezza. Anche il giorno e la notte sono preda a questo attaccamento che li separa". L'attaccamento va inteso come diventare schiavi ed essere in balia di quello che è inconsistente e mutevole e lasciare che condizioni la nostra vita e le nostre scelte... Praticare Zazen, fare l'esperienza nel Dojo con gli altri, ci permette di scoprire che c'è un fondo di saggezza al quale possiamo tornare costantemente; come la tigre che torna nella montagna... Il Buddha diceva: "Siate un’isola a voi stessi", siate rifugio a voi stessi, intendeva proprio questo tornare a questa essenza fondamentale che ci appartiene e della quale non siamo consapevoli se non quando sediamo in Zazen. Impariamo a tornare a questo fondo e da lì attingere la nostra solidità e serenità in mezzo a qualsiasi condizione, anche nella peggiore delle tempeste possiamo trovare questo rifugio. 

Al mattino, al termine dello Zazen ci riuniamo al centro del Dojo e cantiamo i Sutra. I Sutra sono insegnamenti profondi del Buddha e dei Patriarchi, dei Maestri che si sono succeduti uno dopo l'altro nel trasmettere questa infinita saggezza... Non è tanto importante solo il significato delle parole e la comprensione intellettuale del testo quanto l'espressione di gratitudine che avviene attraverso il respiro comune nel canto. Esprimiamo tutta la nostra riconoscenza per avere avuto l'opportunità in questa vita di incontrare il Dharma; gratitudine e riconoscenza nei confronti di chi ci ha preceduto nella nostra vita: verso i nostri antenati, i nostri genitori, i nostri maestri, e così via all'infinito. Lo esprimiamo con i gesti, con il respiro, con il canto, con lo sguardo, con l'attitudine del corpo, prosternandoci... Uscendo da questo luogo dopo la Pratica del mattino siamo veramente capaci di affrontare la giornata con un altro sguardo, a partire da questa consapevolezza e da questo riconoscimento profondo della nostra gratitudine. Questo forse è uno dei più preziosi insegnamenti che lo Zazen ci offre. Tornate dunque a guardare le cose da quel fondo di quiete e profonda consapevolezza che è sempre presente. Se siete capaci di tornare a quel fondo, e da lì osservare la vostra vita, non può che sorgere spontaneamente un profondo sentimento di benevolenza e gratitudine. Possiamo allora sorridere delle nostre più detestabili abitudini, delle nostre emozioni più superficiali, siamo allora come un bambino disteso nell'erba che guarda la forma delle nuvole che si modificano col vento... anche se appare un drago o un mostro, il bambino non si spaventa ma può divertirsi ad osservarlo.

registrazione e trascrizione a cura di Monica Tainin De Marchi

© Tora Kan Dōjō

www.iogkf.it

www.torakanzendojo.org











#karatedo #okinawagojuryu #artimarziali #torakandojo #torakan #taigospongia #iogkf #moriohigaonna #karateantico #karatetradizionale #zen #zazen #zensoto #karate #artimarziali #budo #kenzenichinyo #bushido #dojo #taigosensei #gojuryu #karatedo #meditazione #buddhismo #kenzenichinyo #kenzenichinyoblog #taigokoninsensei #kusen #insegnamento #maestro #hishiryo #pensiero #mondo #hossenshiki #sutra #gratitudine #benevolenza #dharma #tigre


domenica 5 marzo 2023

Si incede come la tigre

Pubblichiamo l'estratto di un Insegnamento offerto da Taigô Kônin Sensei durante la Pratica Zen.

Qualche giorno fa ho sentito una definizione che si attaglia molto bene allo Zazen. 
I termini, in inglese, rendono perfettamente l'idea: intense and relaxed. 
L'azione dello Zazen deve essere 'intense' and 'relaxed', ‘intensa e rilassata’. 
Chi usava questi termini diceva: "intense no tense"; intenso non significa teso, contratto, in tensione. Intenso significa profondo, denso, totalmente implicato, l’equivalente di 'Shikantaza'. 
Ed il termine Relaxed significa rilassato. 
"Relaxed but no lax" ovvero: rilassato ma non abbandonato, lasso. Capire bene cosa vuol dire intensità e rilassamento è la base dello Zazen. 
Spesso si interpreta 'tensione' come contrattura e rilassamento come abbandono, dimenticanza, lassità. Sono i due estremi da evitare in Zazen: kontin e sanran, eccitazione e torpore. 
Bisogna, in ogni nostra azione ed in ogni gesto essere intensi e rilassati e non solo in Zazen, ripristinando costantemente l’equilibrio ogni volta che percepiamo che stiamo cadendo da un lato o dall’altro. 
Come per andare in bicicletta, diceva Sawaki Roshi, bisogna costantemente pedalare per mantenere l’equilibrio (gyouji: pratica continua, sforzo costante). 
Provate ad ispirare le vostre azioni a quest’immagine: una tigre che si muove nella foresta: intensa e rilassata. Non c'è nessun movimento della tigre che non sia intenso. 
Un detto indiano dice, "una tigre cattura anche un topo con tutta la sua forza", spesso male interpretato come il non sapere utilizzare la propria energia, sprecare la propria energia, impiegare troppa energia per uno scopo ridotto, ma non è così. 
Il suo significato è mettere tutta la propria intensità anche nel più piccolo gesto. 
Quando facciamo Gasshô, è un gesto intenso... quando solleviamo un bastoncino d'incenso, per quanto leggero e delicato, il nostro gesto è intenso... come se dovessimo sollevare qualcosa di molto pesante. 
Il mio primo Maestro diceva: 
"Nel Dôjô ci si muove con gravità” ecco il senso della gravità monastica. 
Gravità... usava questo termine per definire questa intensità che chiaramente non va intesa come pesantezza... ma intensità del gesto e dello spirito, intensità di uno sguardo. 
A volte una parola ci da la chiave per comprendere un'azione. 
Siate intensi ma rilassati...

© Tora Kan Dōjō

www.iogkf.it

www.torakanzendojo.org















#karatedo #okinawagojuryu #artimarziali #torakandojo #torakan #taigospongia #iogkf #moriohigaonna #karateantico #karatetradizionale #zen #zazen #zensoto #karate #artimarziali #budo #kenzenichinyo #bushido #dojo #taigosensei #gojuryu #karatedo #meditazione #buddhismo #kenzenichinyo #kenzenichinyoblog #taigokoninsensei #kusen #insegnamento #maestro #intense #relaxed #shikantaza #kodosawaki #gesto #kontin #sanran #gassho #tigre
















sabato 25 febbraio 2023

Dopo domenica è lunedì

 


No, non perdetelo il tempo ragazzi, non è poi tanto quanto si crede; date anche molto a chi ve lo chiede, dopo domenica è lunedì. 

Vanno le nuvole coi giorni di ieri, guardale bene e saprai chi eri; lasciala andare la gioia che hai, un giorno forse la ritroverai. 

Camminano le ore, non si fermano i minuti; se ne va, è la vita che se ne va; se ne va, di domani nessuno lo sa. Dopo domenica è lunedì. 

No, non perdiamolo il tempo ragazzi, non è poi tanto quanto pensate; dopo l’inverno arriva l’estate e di domani nessuno lo sa. 

Camminano le ore, non si fermano i minuti; se ne va, è la vita che se ne va; se ne va, dura solo il tempo di un gioco; se ne va, non sprecatela in sogni da poco; se ne va, di domani nessuno lo sa. 

Non si fermano i minuti, dopo domenica è lunedì. 

Camminano le ore ed il tempo se ne va; non si fermano i minuti, di domani nessuno lo sa. Dopo domenica è lunedì. 

No, non perdetelo il tempo ragazzi, non è poi tanto quanto si crede; non è da tutti catturare la vita, non disprezzate chi non ce la fa. 

Vanno le nuvole coi giorni di ieri, guardale bene e saprai chi eri; è così fragile la giovinezza, non consumatela nella tristezza. 

Dopo domenica è lunedì…


'Domenica e Lunedì'

Luisa Zappa e Angelo Branduardi

© Tora Kan Dōjō

www.iogkf.it

www.torakanzendojo.org










#karatedo #okinawagojuryu #artimarziali #torakandojo #torakan #taigospongia #iogkf #moriohigaonna #karateantico #karatetradizionale #zen #zazen #zensoto #karate #artimarziali #budo #kenzenichinyo #bushido #dojo #taigosensei #gojuryu #karatedo #meditazione #buddhismo #kenzenichinyo #kenzenichinyoblog #taigokoninsensei #tempo #luisazappa #branduardi #domenica #lunedi #domani #vita


sabato 18 febbraio 2023

Il Kakie nel Goju-Ryu di Okinawa

di Paolo Taigō  Spongia 



E’ opinione diffusa che il Karate sia un’Arte Marziale che predilige la lunga distanza nel combattimento. Opinione affermatasi probabilmente in chi del Karate conosce esclusivamente l’aspetto sportivo. Il Goju-Ryu di Okinawa è all’opposto un’arte marziale che nella sua strategia di combattimento ricerca la corta distanza per applicare le sue caratteristiche tecniche offensive.

Gran parte degli stili di Karate, compreso il Goju-Ryu di derivazione giapponese, hanno perso nel loro bagaglio tecnico-tattico-motorio le abilità necessarie, affinate attraverso apposite esercitazioni, per combattere alla corta distanza, nel momento in cui si giunge in una situazione di contatto con il corpo dell’avversario. Questa carenza è ancora più evidente nella riduzione sportiva del combattimento di Karate dove la ricerca della spettacolarità e dell’ampiezza del gesto, l’interruzione dell’azione da parte dell’arbitro etc. non stimolano nessun interesse verso lo studio e la pratica del combattimento ravvicinato, determinando così grandi limitazioni tecniche e psicologiche nel karateka, allenato esclusivamente per il combattimento sportivo, che si trovi a fronteggiare una situazione di combattimento reale o più vicino alla realtà e comunque perdendo un prezioso tesoro di informazioni per lo sviluppo della propria pratica.

Lo stesso Jigoro Kano (fondatore del Judo), che conosceva il Karate di Funakoshi, rimase profondamente impressionato dalla dimostrazione che Chojun Miyagi il (fondatore del Goju-Ryu) diede in suo onore in occasione della visita di Kano ad Okinawa nel 1927.
Dopo la dimostrazione Kano chiese a Miyagi: "Ci sono ne-waza (tecniche di lotta al suolo) nel Karate ?" Miyagi rispose che nel Goju-Ryu non solo ci sono tecniche di ne-waza ma anche nage-waza(tecniche di proiezione), shime-waza (tecniche di strangolamento) e Gyaku-waza (tecniche di leva articolare) e ne dimostrò alcuni esempi sottolineando l’importanza del controllo respiratorio nell’azione. Kano Sensei fu sorpreso dallo scoprire che il Karate non comprendeva solo calci e pugni e scrisse a Miyagi da Shangai (dove si era recato dopo la tappa ad Okinawa) una lettera di apprezzamento e tra loro iniziò una ricca corrispondenza epistolare.

Il praticante di Goju-Ryu di Okinawa esercita continuamente le proprie abilità nel combattimento ravvicinato sia attraverso l’uso di particolari attrezzature d’allenamento che sviluppano la capacità di presa, di leva, di stabilità e forza, nonché la capacità di usare tutto il corpo coordinato con il respiro e l’energia (Ki) nelle applicazioni tecniche.

Inoltre pratica vari esercizi di combattimento: dal Randori (combattimento rallentato finalizzato a migliorare la creatività d’azione e l’istintualità) al Bunkai Kumite (applicazioni in coppia del Kata, con particolare enfasi posta sullo Zanshin e sulla determinazione nell’azione), allo Iakusoku e Renzoku (combinazioni più o meno complesse di attacco-difesa), al combattimento libero nella forma dell’Iri-Kumi (termine liberamente tradotto come ‘combattimento continuo’ o ‘combattimento a corta distanza’, forma di combattimento con contatto pieno che permette, con o senza protezioni apposite di applicare tecniche di calcio alle gambe e di ginocchio, atemi a mano aperta e di gomito, prese, leve, proiezioni e Ne-Waza: lotta a terra)1.

Infine, essenziale esercitazione al combattimento ravvicinato, definita dal fondatore Chojun Miyagi: "L’autentico combattimento del Goju-Ryu", è il Kakie.
Le arti marziali apprese da Kanryo Higaonna in Cina, nel Fuchao, alla fine del 19° secolo e trasmesse a Chojun Miyagi che le ha a sua volta affinate e trasmesse ad An’Ichi Miyagi insegnante dell’attuale Caposcuola dell’International Okinawan Goju-Ryu Karate-Do Federation: Morio Higaonna , sono ancora radicate nella realtà del combattimento e caratterizzate da influenze spirituali del Buddhismo e del Taoismo.
A causa della loro 'fresca' relazione con il combattimento reale, che si decide di solito in uno o due metri quadri, queste arti marziali contenevano molte tecniche per il combattimento a corta distanza, come le cosiddette qinna o tecniche di presa, incluse proiezioni, strangolamenti, attacchi ai vasi sanguigni, leve articolari, attacchi ai punti vitali, etc. Tecniche che, oltre a colpi di gomito, ginocchio calcio e attacchi di testa,tendono a giocare un ruolo determinante in un combattimento reale dall’antichità fino ad oggi.
Le tecniche di presa menzionate sopra erano, ed ancora sono, praticate nel bunkai kumite e kakie.

Molti esercizi per il combattimento della Cina Meridionale cominciano da una situazione in cui i praticanti già sono in contatto con certe parti del corpo, soprattutto l'avambraccio. Gli avambracci sono spesso denominati ‘ponti’ poichè connettono i corpi dell'assalitore e del difensore e creano l’occasione per entrare nella difesa dell'assalitore.
Oggi, ancora molti di questi esercizi esistono e sono praticati nelle arti da combattimento della Cina Meridionale e di Okinawa. Ben noti esempi di questi sono tuishou (‘mani che spingono’) del Taijiquan e chishou del Yongchun quan. Nel Karate Goju-ryu di Okinawa questo genere di esercizi sono raccolti sotto il nome di 'kakie’,pronunciato 'koki’ nel dialetto del Fujian , e giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo delle abilità nel combattimento2. 

L'impatto della pratica del kakie sullo sviluppo delle abilità del karateka, sia da una prospettiva marziale che terapeutica,può essere enorme a causa dell’intenso, continuo e vivo feedback che ottiene il praticante . Il Kakie è un interessante punto d’incontro di differenti esercizi di karate-do, connette la fondamentale e profonda ginnastica terapeutica e i principi meditativi del kata Sanchin, la ricchezza tecnica del Bunkai kumite e la potente dinamica dell’Iri kumi.
Dalla prospettiva della ‘cinetica ed energetica’ il kakie ha un forte impatto sulla capacità di radicare e stabilizzare la propria postura, centrarsi; regolare il respiro, l’assorbire ed estendere la potenza, muchimi, chiru nu chan chan (più avanti spiegherò il significato di questi termini)3 e altre qualità di base.

Le tecniche di presa, incorporate nel bunkai kumite e nel kakie, e derivate dai movimenti dei kata, sono dette tuite (tuidi) o gyakute. Tuite può essere tradotto come ‘mani che afferano’. Gyakute letteralmente significa ‘mani rovescianti’, spiegando il suo carattere difensivo facendo riferimento al rovesciare, allentare o rilasciare una presa dell’avversario con il significato di tecniche di leva articolare, proiezioni, strangolamenti o altro.
Le stesse tecniche di tuite o gyakute possono anche essere applicate contro attacchi di calcio o di pugno.
Le situazioni di combattimento a corta distanza richiedono delle abilità specifiche che non possono essere sviluppate attraverso pratiche di combattimento a lunga distanza. A corta distanza è più difficile parare e attaccare con atemi, in particolare spesso gli attacchi non possono essere percepiti con la vista perché l’avversario è molto vicino e sono lanciati da una distanza ridotta (il che richiede una specifica capacità di sviluppare potenza senza nessun caricamento del colpo: sun zuki), il tempo di reazione è inoltre ridotto al minimo. In questa situazione di combattimento si deve fare affidamento ad una sensibilità specifica al contatto con l’avversario, una sensibilità che permetta letteralemente di intuire le sue intenzioni sul nascere.

Il combattente allenato a questo tipo di combattimento giunto alla corta distanza cercherà di ‘aderire’ al corpo dell’avversario per percepirne le intenzioni attraverso le tensioni e distensioni muscolari e le canalizzazioni energetiche, soffocandone sul nascere l’azione o reindirizzando l’energia a proprio vantaggio.
Morio Higaonna Sensei è solito dire: "Il kakie è particolarmente indicato nel combattimento a corta distanza. Nel normale kumite sono per lo più gli occhi che leggono le intenzioni dell’avversario. Nel combattimento ravvicinato, invece, è vitale percepire il movimento dell’avversario attraverso il tatto."
Questo sviluppo della sensibilità, con e senza contatto, è strettamente collegata all’affinare quella capacità che nel dialetto di Okinawa è definita ‘chiru nu chan chan’.
Questo termine si riferisce ad una azione esplosiva che deriva da una perfetta coordinazione nella contrazione e decontrazione dei muscoli e dei tendini, ma ha connotati più profondi che comprendono la capacità di anticipare l’attacco dell’avversario incrementando la propria sensibilità, il che permette di esprimere azioni fulminee riducendo al minimo il tempo di reazione.
A livelli avanzati questa sensibilità si estende ad un livello mentale ed energetico definito ‘kanken’, che può essere tradotto come intuizione o sesto senso.
Questa capacità (chiru nu chan chan), anche muscolare, può essere ottenuta solo a prezzo di un quotidiano allenamento ed è tenuta in grande considerazione dai maestri di karate di Okinawa.
La realtà del combattimento impone inoltre al combattente che cerchi la corta distanza di sviluppare la capacità di assorbire qualche colpo nel chiudere la distanza. In altri termini, è necessario sviluppare l’abilità, di assorbire gli attacchi in quelle aree del corpo che possono essere protette attraverso una specifica contrazione muscolare e attraverso particolari cambiamenti della posizione di guardia.

Il Goju-Ryu di Okinawa prevede molti esercizi che ‘forgiano’ il corpo e le estremità affinché acquisiscano questa resistenza all’impatto e che inoltre permettono di sviluppare la capacità di assorbire l’impatto nel modo più razionale e meno dannoso attraverso la giusta coordinazione tra movimento, contrazione e respiro.
Esempi di queste esercitazioni sono il: tai atari, l’ude tanren e l’allenamento al makiwara.
Gli esercizi di Tai atari e di Ude tanren hanno la loro origine nello stile luohan quan o ‘la boxe del monaco’. Il luohan quan insieme al hu quan o ‘boxe della tigre’ e allo he quan o ‘boxe della gru’, sono le fondamenta da cui si è evoluto il Goju-ryu di Okinawa.
Fondamentale è inoltre sviluppare la capacità di incrementare la propria energia vitale (Ki), accumularla nel Tanden e indirizzarla alle aree che subiscono il contatto ‘fondendo il Ki’ nelle ossa, muscoli e tendini.

La base per lo sviluppo di queste ‘abilità energetiche’ è l’allenamento del Kata Sanchin.
Il Kata Sanchin è finalizzato proprio all’unificazione della mente e del corpo attraverso l’incremento e il controllo del respiro e dell’energia, ed è a pieno titolo considerato una forma di Kiko, esercizio per il Ki. Sanchin significa proprio risolvere i ‘tre conflitti’ tra corpo-mente e respiro.

Un particolare tipo di pratica respiratoria esercitata nel Goju-ryu di Okinawa e fondamentale nel combattimento a corta distanza è il metodo ‘noon’. In questo genere di respirazione si impara a trattenere il respiro durante l’estensione di energia, questo permette di assorbire colpi mentre si attacca con tecniche di pugno, calcio, si proietta... Questa dinamica respiratoria richiede un alto livello di controllo respiratorio, un forte sviluppo del tanden e l’apertura dei meridiani energetici.

Una delle abilità che l’esercitazione Kakie permette di acquisire nel combattimento ravvicinato è proprio questa capacità di sospendere il respiro al culmine dell’azione.
Anche nel superiore Kata Suparinpei troviamo in varie fasi questa particolare dinamica respiratoria ‘noon’.
In altri eventuali articoli mi propongo di illustrare altri aspetti della pratica del Goju-Ryu di Okinawa tra i quali gli esercizi di potenziamento muscolare-energetico, Bunkai Kumite, Iri Kumi....

Torniamo per ora a parlare dell’esercitazione Kakie.
Nell’esercitazione Kakie i due (a volte tre) praticanti partono da una situazione di contatto dell’avambraccio anteriore e cercano una forte stabilità attraverso il ‘radicamento’ (definito rooting in inglese) sviluppato con l’allenamento del Kata Sanchin abbinato alla necessità di essere estremamente mobili e paradossalmente ‘leggeri’ negli spostamenti (questo fa perfettamente comprendere i principi ‘Go’ e ‘Ju’) quindi cominciano a ‘spingere’ verso il corpo del compagno. La ‘spinta’ (che può trasformarsi in atemi) può avvenire sul piano orizzontale o su quello verticale.

La risposta alla spinta sarà quella di deflettere la forza attraverso il corretto movimento delle anche e di tutto il corpo centrato nel tanden con particolare attenzione al controllo del respiro e alla sensibilità che nasce dalla giusta alternanza di tensione e rilassamento. La spinta verticale viene ‘assorbita nel tanden’. Varie possono essere le modalità di questo esercizio di base del Kakie: occhi chiusi e reazione alle rotture di ritmo del compagno, ammortizzazione muscolare della spinta per redirigere l’energia e sviluppare la forza nei distretti muscolari interessati all’azione e altre forme di esecuzione. In ogni caso il fondamento della pratica è : trovare il proprio centro e agire a partire da lì. In seguito si cominciano ad applicare leve, proiezioni, atemi, prese e pressioni a punti vitali a partire da questa situazione di contatto reagendo all’azione d’attacco del compagno. Fino ad arrivare ad applicare liberamente, in una sorta di combattimento libero, le tecniche e le relative risposte di liberazione, contrattacco, controleva...

La capacità di controllare e redirigere la forza dell’avversario, nel combattimento a corta distanza, richiede di saper controllare, assorbire, deflettere ed evadere la forza stessa. Tutte queste abilità si allenano nel Kakie. La capacità di controllare la forza dell’avversario è sviluppata attraverso i movimenti muchimi che si trovano oltre che nel Kakie anche nei Kata. Muchimi nel dialetto di Okinawa viene definito un movimento ‘appiccioso-pesante eppur fluido’ ed è caratteristico di tecniche di presa e di parata evolute che oltre a deflettere l’energia dell’attacco tengono sotto controllo e disturbano l’equilibrio dell’avversario per il tempo sufficiente al contrattacco.

La capacità di assorbire l’energia, da non confondere con la capacità di assorbire un colpo, è allenata nelle esercitazioni di base del kakie in cui si ‘assorbe’ la spinta dell’avversario nel Tanden, da dove riparte poi la forza di ritorno.
Le abilità richieste in quest’azione sono chiamate nelle arti marziali cinesi: ‘tunjin’ e ‘ tujin’.
Tunjin significa ‘abilità nell’inghiottire o assorbire’ e tujin significa ‘abilità nel risputare o restituire’.

Nel movimento verso l’avversario la potenza è ‘penetrante’ e ‘sovrabbondante’ mentre nel movimento di ricezione della forza viene utilizzata energia sufficiente ad assorbire la forza e redirigerla verso il suolo o il tanden. E’ come se il corpo si espandesse e contraesse.

La capacità di assorbire la forza, allenata nell’esercizio del Kakie, è anche utilizzata in particolari parate ‘morbide’ (ju) spesso combinate con tenshin, tai sabaki e o taihiraki ( spostamenti, schivate con tutto il corpo o solo col busto).
La capacità di deflettere un attacco può essere combinata con la capacità di ‘assorbire’ o ‘far rimbalzare via’ la forza dell’attacco.


L’evasività utilizzando tai sabaki, tai hiraki e tenshin è difficile da padroneggiare nel combattimento a corta distanza, ed è allenata attraverso il kakie, permettendo di ottenere attraverso lo spostamento di tutto il corpo o parte di esso una migliore posizione strategica rispetto all’avversario trasformando la difesa in contrattacco.
Il confronto con il Kakie apriva talvolta ad Okinawa le ‘sfide’ tra Karateka (kake-dameshi) permettendo così ai contendenti di percepire il livello dell’avversario ed eventualmente riconoscerne la superiorità rinunciando al combattimento.
Ho percepito p
ersonalmente questa realtà praticando in più occasioni kakie con Higaonna Sensei.

Nonostante ritengo di aver acquisito una discreta abilità in questo esercizio mi sono sentito completamente sovrastato dalla potenza e dal controllo del Maestro.
Un divertente episodio è accaduto durante un allenamento con Higaonna Sensei.
Un body builder, pluri-decorato campione anche di distensioni su panca, che ci aveva osservato  praticare Kakie con Higaonna Sensei ci ha chiesto di poter provare con il Maestro.
Al momento opportuno, durante una pausa, il body builder è stato presentato a Higaonna Sensei che con il solito spirito cordiale e modesto ha accettato di eseguire l’esercizio con lui.
Ebbene ho visto il Pesista, che misurava il doppio del Maestro, essere spinto in tutte le direzioni della stanza in balia del controllo e della potenza di Sensei come un bambino condotto per mano.
Scherzando il Maestro gli ha detto: "sei forte, ma se vuoi diventare più forte devi cominciare a praticare Karate".
E’ difficile esprimere a parole ciò che può essere compreso solo attraverso la pratica corporea.
Spero comunque di aver trasmesso qualche impressione ed informazione attraverso questo mio scritto se non altro per ricordare a tutti i Karateka, spesso delusi da una pratica finalizzata esclusivamente all’agonismo, che esiste un tesoro di informazioni che si sta irrimediabilmente perdendo.
Che esiste una pratica completa ed appagante che permette di ‘crescere’ per tutta la vita non solo nello sviluppare la propria capacità combattiva ma anche e soprattutto che permette attraverso i propri preziosi strumenti educativi di conoscersi e perfezionarsi come uomini completi.


Note al testo:

1: Chojun Miyagi era estremamente interessato a sviluppare delle metodiche di allenamento al combattimento che permettessero al praticante di applicare liberamente, a contatto pieno, le proprie tecniche in combattimento libero. Nel 1930 ordinò ad un negoziante di Osaka degli equipaggiamenti protettivi per i suoi allievi consistenti in protezioni per la testa, mani, busto e genitali. Il casco per la testa era simile all’elmetto del ricevitore del baseball, ingombrante, con una pesante griglia metallica per proteggere il volto. Il corpetto assomigliava all’armatura del Kendo.
Gli allievi di Miyagi della scuola superiore Shogyo e del club di karate Kenkyu furono impazienti di applicare le loro tecniche in combattimento libero con le nuove protezioni. Purtroppo la pesantezza ed inadeguatezza delle protezioni causò numerosi infortuni in particolare lla nuca e alle dita tanto che Miyagi, dopo circa un anno, conscio dell’inadeguatezza di questo equipaggiamento per il combattimento a contatto pieno decise di interrompere quest’esercizio in attesa di avere a disposizione protezioni più adeguate.
Sensei Meitoku Yagi ricorda: "Quando iniziai il mio allenamento chojun Sensei stava collaudando nuove protezioni. Il casco era simile alla maschera del Kendo. Sbarre metalliche coprivano il volto lasciando scoperti solo gli occhi. L’allenamento all’Iri Kumi con queste protezioni era pericoloso. Per esempio, quando la testa veniva colpita con Furi zuki (colpo di pugno circolare a braccio disteso), si causavano seri danni alla cervicale...."
L’Iri Kumi praticato oggi nei Dojo I.O.G.K.F. è l’evoluzione dell’idea del Chojun Miyagi.
2: Molti termini cinesi importati ad Okinawa si sono modificati secondo la pronuncia okinawense nel leggere gli ideogrammi cinesi così il Kata Sanchin era nel cinese del Fuzhau chiamato Sanchen mentre in dialetto mandarino San Zhan, o ancora il Kata Saifa nel Fuzhau era chiamato Choy Po e in mandarino Sui Po, così rispettivamente il Kata Sepai era So Pak o Shi Ba, il Kata Sesan era Sake Sang o Shi San, il Kata Seiyunchin era Chak in Chen o Zhi San Zhan, il Kata Suparinpei era rispettivamente So Pak Ling Pak e Yi Bai Ling Ba.
3: Va ricordato che l’opera di diffusione in territorio giapponese del Goju-Ryu di Okinawa operata dalla stesso Chojun Miyagi ha fatto si che lo stile di Okinawa assimilasse molta della terminologia già in uso in altre discipline del Budo giapponese. Ricordiamo che il Karate di Okinawa era considerato dai giapponesi una rozza tecnica da combattimento, opinione dettata più da un sentimento di superiorità e da un certo razzismo nei confronti del popolo okinawense, che non da un’effettiva conoscenza dell’arte stessa.
Solo l’opera di diffusione di grandi maestri quali Funakoshi, Miyagi...permise al Karate di Okinawa di venire apprezzato dai giapponesi nella sua autentica dimensione e valore. Continuare ad utilizzare i termini del dialetto di Okinawa avrebbe probabilmente rallentato quest’opera di divulgazione.
Ricordo inoltre come Chojun Miyagi facesse continuo riferimento allo spirito del Budo che permeava la sua arte e teneva molto a far si che il Goju-Ryu fosse annoverato a pieno titolo tra le arti del Budo giapponese. La volontà di Miyagi è ben espressa nelle parole rivolte al suo discepolo J. Shinzato: " L’uomo deve ingrandire il proprio essere attraverso la pratica del Budo..., voglio rendere il karate degno di essere al rango del Budo mediante la sua qualità. Tu, mio discepolo, lo capisci e vuoi seguirmi a questo scopo?"
Anche la pratica nei dojo di Okinawa era organizzata in modo simile alle scuole cinesi. Non c’erano orari prestabiliti delle lezioni e si lavorava spesso divisi in gruppi o individualmente, c’era chi lavorava agli attrezzi, chi praticava Kata, chi esercizi in coppia o Kihon. L’influenza del Budo giapponese si è fatta sentire anche in questo, portando i dojo di Okinawa ad assimilare molti aspetti delle metodiche educative in uso nei dojo di Budo giapponese anche se tuttora è mantenuta molta parte del sistema di pratica in uso in Cina.
A mio parere il risultato di questo doppio influsso cinese e giapponese sul terreno fertile della mentalità okinawense ha reso il karate di okinawa un’arte unica nel suo genere seppur fondata sugli elementi tecnici ed educativi di entrambe le culture.




Articolo tratto dal Notiziario informativo dell' Honbu Dōjō IOGKF Italia Tora Kan

Anno V N° 17 Autunno 1999

© Tora Kan Dōjō

















#karatedo #okinawagoju #artimarziali #torakandojo #torakan #taigospongia #iogkf #moriohigaonna #karateantico #karatetradizionale #zen #zazen #zensoto #karate #artimarziali #budo #kenzenichinyo #bushido #asdtorakan #taigokoninsensei #kakie #higaonnasensei