Narita Shuyu Rōshi (1914-2004), Abate Fondatore di Fudenji, ricorda il Maestro Kodō Sawaki
Brano tratto dal libro
pubblicato il 1° luglio 1967 nella collana “Daihorin”, serie completa dei libri
sul Maestro Kōdō Sawaki, Allegato I, testimonianza dei suoi discepoli.
IL RIMPROVERO: Il mio primo incontro con il Maestro risale al mese di aprile del 1935, quando arrivai all’università di Komazawa, dove, in effetti, arrivammo contemporaneamente. A quell’epoca, in quell’università costruita dalla setta Sōto, non vi erano insegnanti in grado di dirigere l’autentico Zazen trasmesso. Questa situazione, in un’università superiore per l’insegnamento del Maestro Dōgen, non soddisfaceva affatto gli studenti del primo anno. Questi insistettero energicamente presso il rettore, il sig. Omori, affinché invitasse ad ogni costo a Komazawa il Maestro Sawaki, che a quel tempo insegnava lo Zazen con fede e coraggio nella provincia di Kumamoto di Kyushu.
Il fatto che un semplice
monaco Zen senza notorietà né posizione fosse invitato come professore nella
maggiore Università costruita dalla setta Sōto, era per quel tempo qualcosa di
inedito e di eccezionale.
Date le premesse,
l’incontrarlo fu per me una gioia immensa.
Il Maestro alloggiava nel
dormitorio degli studenti ed instancabilmente faceva la spola fra l’Università
e i Templi, come Sōjiji, il lunedì, il martedì ed il mercoledì.
Io allora non ero che un
semplice studente impegnato nella ricerca spirituale ed intellettuale; soffrivo
ideologicamente soprattutto per i problemi riguardanti la vita ed ero alla
ricerca di qualcosa di non ben definito.
Osservando per la prima
volta le caratteristiche del Maestro, provai un sentimento d’intimità profonda
e fui naturalmente attratto dalla sua personalità che ispirava fiducia e
suscitava energia e forza, attraendo ciascuno.
Le attività della scuola
cominciavano alle cinque del mattino. Il Maestro si sedeva da solo verso le 4,
senza mai sapere chi avrebbe partecipato allo Zazen. Io ero uno di coloro che
vi prendevano parte ma, anche se andavo allo Zazen molto presto, il Maestro era
già seduto: questo acuiva inevitabilmente il mio spirito di competizione. Un
giorno decisi di alzarmi verso le tre: non c’era nessuno, “bene, ecco fatto!”.
Mi sedetti, quindi, su
uno Zafu posato sullo Zaniku (cuscino imbottito di forma quadrata) di fronte
alla statua di Buddha, senza ben sapere che cosa fosse lo Zazen o il
comportamento da assumere nel Dojo.
Trascorsi 15 o 16 minuti,
una voce proveniente dal cielo mi inchiodò e mi raggelò di spavento: “Che cosa
stai facendo imbecille, nessuno si è mai seduto in Zazen in quel posto lì!”.
Più tardi mi invitò nella
sua camera, mi offrì del the e dei dolci e mi spiegò con infinita pazienza la
posizione e le regole da osservare nel Dojo.
Ancora oggi sudo freddo
al solo pensarci. In seguito lo Zazen mi convinse completamente e divenni suo
discepolo, il che mutò l’indirizzo dei miei studi.
Di tanto in tanto,
ricordandosi della mia disavventura, il Maestro diceva sorridendo ironicamente:
“Quel ragazzo lì, che non sapeva niente, si è seduto sullo Zaniku di fronte a
Buddha; è stato sgridato, ma io gliel’ho fatta una volta per tutte dandogli il
mio Kolomo”. Ogni volta arrossivo della mia sprovvedutezza giovanile.
DIVENTARE DISCEPOLO DEL
MAESTRO: Rapidamente i miei rapporti con il Maestro divennero sempre
più profondi ed io mi affezionai molto a lui, il che fece desistere mio padre
dal trasmettermi il suo Dharma, permettendomi così di diventare discepolo del
Maestro e di ricevere il suo Shihō.
A quel tempo il Giappone
era coinvolto in una violenta guerra in Manciuria e in Cina. Dopo la laurea mi
ero recato a vivere presso il Maestro nel tempio Sōjiji della setta Sōto, ma
trascorso un anno, fui richiamato sotto le armi: egli allora mi invitò a un
colloquio personale nella sua camera e mi diede il suo “SAN IE” (tre piccoli
Kesa, cuciti dalla monaca Sumi) come portafortuna, invece del tradizionale
“Senibali” (pezzo di stoffa consegnato al giovane che parte per la guerra,
cucito da mille persone). Prendendomi le mani, mi incoraggiò: “Abbi cura
di questi SAN IE: essi ti proteggeranno sempre”.
Dovetti inoltre
partecipare attivamente alla guerra fra il Giappone e la Russia, ma li portai
sempre con me, in tasca durante i combattimenti in Cina, e penso che mi abbiano
veramente protetto. Oggi li conservo nella mia camera, strappati e forati dai
colpi di fucile.
Il Maestro spiegava
sempre il “Kesa Kudoku”.
© Tora Kan Dōjō