Non si tratta di
politica, qui. Oggi parlo anche di politica, ma solo perché mi aiuta a chiarire
il discorso.
Mi sono spesso
domandato come persone, per le quali per altri versi ho rispetto, possano essere rimaste per anni
irretite dalla fascinazione di Silvio Berlusconi.
Ma lo stesso, immagino,
qualcuno potrà oggi domandarsi, come si
può rimanere inebetiti dall’ebetino, o da Grillo, o in altri tempi da ideologie
che lambivano e sfociavano nel terrorismo. O come, prima ancora , nel ’54, ben
pochi comunisti italiani si siano dissociati dai fatti d’Ungheria. O come si
possa aver votato a favore della Monarchia, o per il Pentapartito.
Provo ad andare diretto
al cuore del ragionamento, vi prego di reggere fino alla fine di questo pensiero,
o di interrompere qui. La lettura parziale farebbe più male che bene, partendo
da una esperienza personale, e quindi faziosa.
Raramente mi trovo
d’accordo con gli altri. Ma questo nasce dal fatto che raramente sono
d’accordo, in maniera stabile, convinta e ferma con me stesso. C’è tutto un
gioco di statica e dinamica nel tenermi saldo in equilibrio su alcune certezze
base, identitarie.
Se devo comprare un
automobile, o se devo progettare un viaggio, la mia mente in maniera automatica
organizza e compone una duplice lista di pro e contro. La sensazione della
velocità sicura, il rimpiazzare il vecchio catorcio, ma anche le bollette da
pagare, la critica del consumismo e l’affetto per il vecchio oggetto, e ancora la
comodità degli spazi, l’efficienza energetica, ecc. ecc.
E’ più forte di me. O
vedo tutti insieme i vantaggi di una scelta, o ne vedo gli svantaggi.
Spesso agisco
d’impulso. E sono le scelte migliori. Ma succede altrettanto spesso che il pensiero ponderato e maturo porti lo stesso
a scelte felici. Si tratta in fin dei conti di fare i conti con la
determinatezza che deriva da ogni scelta. Se mi sposo non sarò più single, se
procreo non sarò più irresponsabile (oddio non vale per tutti…). Se esisto non
posso non esistere (almeno finché vivo), e se sono qualcosa di determinato necessariamente
non potrò essere qualcos’altro.
Spesso la scelta viene
operata per utilitarismo (non in senso spregiativo ma in quanto ho bisogno di
essere operativo per vivere) spesso per comodità, o ancora per pigrizia e
abitudine.
Ecco a che mi serve
l’immagine qua sopra dell’anatra –
lepre.
Il cervello coglie
l’immagine dell’anatra o della lepre. In quel momento non vede, non ci riesce,
l’altro animale. Se afferra la lepre, scappa l’anatra. Può essere facile vedere
un’anatra, se tutt’intorno vedo disegnate altre anatre. Posso essere indotto
dall’abitudine o dall’utilità. O al contrario posso voler vedere la lepre,
proprio per anticonformismo.
Ora, io so
perfettamente che ci sono infinite buone ragioni a favore dell’acquisto di una
macchina nuova, ma sono indigente e mi determino a non volerle vedere. Il mio
vissuto, influisce sulla scelta. O in maniera razionale, o in maniera
semi-impulsiva, mi convinco così che devo vedere l’anatra. Magari mi basta un
piccolo aumento in busta paga, o una vincita al gratta e vinci per giudicare
quell’insieme di segni come appartenenti ad un altro campo di significati, e
vedere la lepre.
Sono una partita IVA e
voglio convincermi che abbiamo bisogno di una svolta liberista, sono un
dipendente pubblico, e voglio le tutele sindacali. Poi anni di crisi, mutano il
liberista convinto, in un forcone del mandiamoli tutti a casa, dopo che ha
digerito per anni Ministri e politiche improponibili e il dipendente pubblico
in un reazionario che difende piccoli privilegi di casta dopo aver predicato a
destra e a manca l’uguaglianza e la giustizia sociale.
Questa piccola
introduzione, mi aiuta a dare una risposta ad alcuni interrogativi. Posso oggi
serenamente dire, come dicevo, che chi ha appoggiato la democrazia cristiana
nel corso dei 50 anni che hanno seguito la seconda guerra mondiale fosse sempre
un corrotto, un pauroso, un colluso? Non posso riconoscergli valori diversi dai
miei? Non riesco a figurarmi nessuno in buona fede nel campo avverso? Nessuno
che veda sinceramente una lepre e non la mia anatra? Uno che nel ’45 credesse
veramente che i liberatori erano gli americani, che negli anni ’50 era meglio
non cadere nel grigiore conformistico del comunismo, che votare PCI equivaleva
a negare gran parte delle proprie credenze? Senza pensare che tutti questi
fossero ladri, collusi, servi della CIA, complici degli orrori compiuti in Vietnam?
Le anime belle (io per primo), quelle che sono sempre dalla parte giusta,
vedono l’altrui lista dei contro. Non riescono proprio a vedere e a riconoscere
la loro lista dei pro.
Da ragazzo manifestavo
contro la collusione stato mafia, contro i servizi deviati, contro
l’imperialismo americano e lo sfruttamento delle risorse mondiali, le
multinazionali, l’inquinamento, l’energia nucleare, i missili. Ho fatto bene a
manifestare. Ma sono sicuro che se avessero vinto gli altri, i miei, avrei
risolto i problemi? Non c’era un imperialismo sovietico, il suo sistema di
controllo dei governi e dell’opinione pubblica? La corruzione sarebbe scomparsa
con il partito di Berlinguer e delle cooperative? Si poteva cambiare il mondo
con le buone intenzioni?
Se su un piatto della
bilancia metto la fame nel mondo, le multinazionali, lo sfruttamento, la guerra,
il militarismo, non posso controbilanciare tali pesi con niente. Non c’è scelta
politica che tenga. Tutti sono contro la guerra, e le spese militari. Io ero
contro i missili nucleari americani a Comiso. Costavano, spingevano alla corsa
al riarmo, non erano un deterrente utile, erano un rischio politico,
ambientale, un peccato morale. Non è detto però che storicamente non siano
stati parte della soluzione del problema che essi stessi rappresentavano.
Oggi. A me sembra
inaudito che per più di 20 anni ci siamo digeriti e maldigeriti un signore,
Berlusconi, che non mi riesce proprio a
piacere dal punto di vista politico, umano e imprenditoriale. Ma non riesco ad
immaginare che a sostenerlo, dal ’94 ad oggi, ci sia stata solo l’Italia
peggiore. I corrotti, gli egoisti, il malaffare, i mafiosi. Fa comodo vederli
così. Ma poi non mi riesco a spiegare le piazze piene di gente urlante e
convinta, si lo so, organizzavano anche tanti vecchi a pagamento, ma tanti altri
hanno creduto alla rivoluzione liberale, al pericolo comunista, ad un sacco di
menzogne, che io reputo tali, che il cialtrone, perché io lo reputo così, gli
imboniva. Oppure hanno soppesato attentamente i propri pro e contro con i pro e
contro dell’altra parte e hanno fatto la loro scelta, non necessariamente
dettata dall’interesse personale.
Sono quasi
quotidianamente insultato indirettamente sui social network perché sarei un
colluso. Solo perché non imbraccio le armi dell’indignazione pentastellata. Frotte
di gente arrabbiata, giustamente incazzata e indignata, si chiede come si possa
non aderire alle ragioni della loro protesta. Magari anche gli stessi che io
insultavo nei miei quasi 30 anni di elettorato, perché fascisti, veterocomunisti,
movimentisti, autonomi, liberisti, qualunquisti. Siete sicuri che incanalare tutte le
aspettative generate da una situazione sociale e personale difficile e
insopportabile non sia facile, per voi che vi aderite, ma soprattutto per chi
vi voglia strumentalizzare, magari anche in buona fede? La promessa di una
soluzione facile, a tutti i problemi, e l’esistenza di una chiara linea di
demarcazione, voi e loro. Io non voglio dire che non dovete pensarla come
volete. Che non possiate trarre le vostre scelte. Ma dove eravate quando ad
essere in mutande e disgustati e
incazzati c’erano gli altri? Vi siete sempre trovati tra i puri? Io non sono
comunista. Ne un liberale. Ne un radicale. Benché io sia anche tutte queste
cose. Di sicuro non sono un ladro. Un disonesto. O un violento. Un cieco o una persona che non sa o non vuole
ragionare.
Nel momento in cui si
imbracciavano le armi, e le anatre sparavano alle lepri, per loro, per i puri,
per chi ci credeva, quel sangue era il
prezzo da pagare per ottenere la giustizia sociale. Il momento in cui si
insinua il dubbio, che possa esserci un’umanità legittimata a vedere lepri, o
peggio ancora, il dubbio di aver voluto vedere ostinatamente solo la propria
lettura del segno, deve essere un momento tremendo per chi si è dimostrato sempre
fermo nel giudicare, con disprezzo e
senza possibilità di replica. O con noi o contro di noi.
Oggi c’è disgusto e
sdegno per la corruzione, per la politica del palazzo. Contro gli incapaci e i
collusi si cavalca il cavallo dell’onestà e della trasparenza. Ma arriverà il
momento di dover compiere delle scelte. Così come avviene per tutte le
minoranze nei partiti tradizionali, quelli non padronali, il dissenso dovrà
poter trovare espressione. In nome e per conto dei valori che uniscono quella
comunità, dovrà venire il momento della differenziazione, della scelta e
dell’accettazione di questa differenza.
Ma dicevo che non era
di politica che mi volevo occupare. Infatti quello che mi preme e mi sta a
cuore è altro.
Ci sono momenti in cui
mi vedo e dico “io sono”. E magari
riesco a cogliere anche il limite dei tratti che circoscrivendomi mi
delimitano. E riesco a immaginare lo sfondo al quale quei tratti rinviano, lo
sfondo sul quale si staglia la mia figura.
Ogni determinazione
positiva, ogni Io sono questo, è un atto che delimitando, crea un identità “me
stesso” differenziata da qualcos’altro. Se io sono giallo, non sono rosso.
Magari sono colorato, come il nero, ma non sono nero. Ad un altro livello io
sono mi oppone all’insieme delle cose, al mondo “esterno” preso come
un tutto, ci sono io e c’è tutto il resto. Il mio non essere è la somma di tutto
ciò che mi limita.
Ancora ad un altro
livello c’è il tutto inteso come altro che mi nega nell’esistere, negazione
radicale, il nulla, la morte, l’altro non determinato. Il dialogo fra tutte
queste affermazioni dell’identità (io sono, io sono questo) e le sue varie
negazioni e superamenti, crea spazi al confronto, indicibile, con l’altro che
in qualche modo mi è estraneo ma che entra comunque in gioco con il suo alone
di mistero. Ogni momento di questo continuo passaggio dal particolare alla
perdita di senso del segno, fra le diverse affermazioni e negazioni, ha una sua
fondatezza e valore.
Ma non è neanche a questo
che volevo arrivare.
Ci sono momenti in cui sento “Sono”, in cui cioè sono e basta.
In cui non potrei mai pensare qualcosa come “Io sono” o “Io sono questo e
quello”, ma in cui al limite potrei esclamare “Sono!” e “Sono!” in ogni attimo.
Come un robot o un sasso che riceva l’autocoscienza all’improvviso, come un
bimbo che scopre le cose del mondo.
Ci sono momenti in cui
“SONO!” e lo SFONDO si sovrappongono. Sfocalizzando lepre e anatra trovano pace. Quando i tratti
dell’una e dell’altra, che sono gli stessi, si fondono e vengono percepiti per
quello che sono, oltrepassando la percezione della mente che coglie un aspetto.
E’ uno stato che per alcuni versi non si
differenzia molto dalla demenza senile, in cui l’esperienza di una vita si
dissolve pian piano nel nulla. Ma non è solo questo. Appartenere all’oceano, ma
essere Particella! Molecola! Goccia! Mare! Mondo! Tutto! Niente.
Capite quanto sia
importante rimanere pronti. Le differenze, cogliere le differenze, o le
apparenze, è sì importante. E’ importante coglierle e giudicare il mondo in
base ad esse. A partire dalla propria individualità e singolarità. Ma è anche
importante rimanere pronti all’esclamazione, a lasciarsi stupire dagli altri. A
dubitare delle proprie incrollabili certezze. A mettere in discussione tutto. A
scegliere e sapere che avrei potuto scegliere diversamente. A raccogliere la
determinazione che genera ogni mia scelta, responsabilmente. Ma non indossare
nessuna uniforme, nessun distintivo che possa coprirmi la visuale. Che le
stellette si infilzino pure sulla pelle ma nessuna spilla, nessuna appartenenza
trafigga il cuore al punto di non saper riconoscere questo gioco incessante di
essere e non essere, questa necessaria apparizione dell’identico contrapposto
al differente, apparizione compassionevole e aperta all’altro.