"O mantello
prezioso che liberi ogni essere ed ogni cosa
Giardino fatto
di ciò che il mondo getta, diventato giardino di felicità infinita
Possa il mio
cuore stringere a se tutti gli
insegnamenti dei mondi
Possa la mia
esistenza proteggere e aiutare tutti gli
esseri"
È cantando
questi versi che il praticante Zen inizia la sua giornata.
Secondo la
tradizione, su una strada dalle alture delle colline, il Buddha fu colto a
contemplare questi specchi d'acqua e riso disegnati dalle terre sollevate in
rettangoli rassemblati, nei quali si riflettono il cielo, le nuvole, gli uccelli e i colori
del mondo, e nel cuore dei quali gli
uomini vanno e vengono nel lavoro del giorno. Quindi chiese al suo discepolo Ananda di rilevare il disegno di queste risaie. Raccolse allora un gran numero di tessuti usati e abbandonati.
Li fece bollire in una miscela di pigmenti prima di assemblarli secondo il disegno. Così
fu confezionato il "vestito della
liberazione", il kesa.
Da allora, è
stato trasmesso ininterrottamente da maestro a discepolo, e la sua pratica va
ben oltre il semplice fatto di realizzare un indumento religioso. Il Maestro
Dogen (13 ° secolo) ha scritto: "In questo momento dell'alba, la gioia mi
ha inondato. Ero vicino a questo monaco che venerava il manto dell’illuminato. Le lacrime mi hanno
inondato, ho capito il Tutto".
Cogliere il Tutto, vestirci non
solo dell'insegnamento del Buddha e dei maestri, ma vestirci del Tutto, rivestire la nostra pelle, la
nostra storia.
Cucire è una pratica lunga e profonda: la scelta del tessuto giusto, il taglio, la
tintura naturale, la preparazione e l'assemblaggio e, punto dopo punto, la realizzazione
stessa della nostra Ricerca. La cucitura è fatta da un punto minuscolo in cui l'ago deve tornare su
se stesso per poter avanzare sulla linea di cucitura, migliaia di punti
esprimendo il desiderio, ogni volta che
l'ago perfora il tessuto, di diventare rifugio per tutti gli esseri e di aiutare questo mondo. E il campo di riso
del mondo appare nelle nostre mani. Agire senza uno scopo, realizzare la nostra
presenza consacrata in ogni momento del mondo. Punto dopo punto, coltiviamo
senza attese. Soltanto vivere e
relazionarsi a ciò che viene vissuto. Completamente.
RIUNIRE LE
DIFFERENZE.
Questo tessuto ci eleva
dalle nostre illusioni, ci chiama ad comportarci degnamente in questo mondo, come un grembiule (nella sua
forma a cinque strisce) che ci chiama al servizio. Per renderci servitori del bene in questo mondo. Inizialmente,
scegliere tessuti impuri era solo una
questione di mezzi. Cucire tessuti recuperati, ritagliati, tinti e rimontati è
un insegnamento. Fare di ciò che questo
mondo rifiuta l'oggetto stesso della nostra devozione. Amare ciò che agli
uomini non piace più. Ridare vita là dove
muore l'esistenza. E non rifiutare più nulla. Quando osservi la forma finita di
un kesa, ci vedi davvero una risaia; strisce e pezzi di tessuto di diverse
dimensioni assemblati secondo i principi del modello originale. Stracci
armoniosi. Riunire le differenze.
La pratica dello
Zen è fondamentalmente la compassione di ogni minimo istante della nostra vita quotidiana. Le nostre vite
sono le vere risaie del mondo in cui la semina è pace, benevolenza, giustizia,
amore e libertà, e i raccolti ne sono i frutti. Il praticante buddista Zen si
impegna a superare tutte le forme di discriminazione e a costruire in questo
mondo l'armonia riconciliando tutte le
differenze e riunendo, con filo dell' Amore sulla stoffa dell'esistenza, tutto
ciò che era sparso, diviso, separato e diverso.
Realizziamo
l’abito della pratica nei cosiddetti
colori "misti" o "rotti": il colore del kesa è un colore
fatto di miscele e di incontri.
All'inizio, questi sono i colori della terra, della notte e delle ceneri. Poi con gli anni e soprattutto quando iniziamo a
insegnare, il kesa indossato è sempre
più chiaro. I kesa delle cerimonie sono estremamente colorati, ricamati, decorati ed
esprimono la gioia di celebrare la vita, la gioia di essere vivi. Il colore
scuro ci chiama a tornare alla caverna, al silenzio, all’ annullamento, in una
parola per portare la luce dentro di noi e coltivarla nel segreto della pratica
umile. Quindi, quando un praticante diventa insegnante e riceve la trasmissione
di maestro, i colori sempre più chiari lo chiamano a rigirare la luce verso
l’esterno, verso il mondo e
trasmetterla. Dobbiamo attraversare le nostre grotte, le nostre notti e le
nostre facce oscure, per amarle allo stesso tempo in cui amiamo la chiarezza e i
nostri visi di bontà. Poi andarcene verso
il mondo e amare ombre e luci in ogni essere.
IL FILO DELLA
BENEVOLENZA. Portato sulla spalla destra e passato sotto la spalla sinistra per
liberare il secondo braccio, il kesa ci ricorda anche che nulla ci
appartiene, neanche il sacro. La spalla
e il braccio coperti dal kesa ci dicono quanto riceviamo e quanto siamo
protetti e amati; la spalla e il braccio lasciati scoperti dalla kesa ci
chiamano a donare, a proteggere e amare questo mondo. Come il palmo verso il
cielo e il palmo verso la terra nella danza Sufi.
Attraverso la pratica
del kesa, il fedele diventa lui stesso
religione: è colui che collega, che raccoglie, che trasmette e che armonizza, colui
che libera e protegge in questo mondo. Il kesa è un tutt’uno con la nostra fede
e la nostra vita - con la fede (qualunque essa sia) e la vita di tutti gli
esseri. Cucendo al filo della nostra benevolenza, sugli stracci sparsi di ciò
che sembra separarci, mettendo insieme ciò che è stato rigettato, alla luce
dell'esistenza, sul modello della realtà, armonizzando tutte le differenze del
mondo e proteggendo tutti gli esseri, noi
diventiamo questo campo di felicità illimitata, dov’è seminata la compassione e
si raccoglie la felicità.
Il mondo intero
ci ricopre e ci riveste. E siamo noi stessi che diventiamo l'abito del mondo.
tratto da “Le
monde des religions” (Nel mondo delle religioni) n ° 99.
(Traduzione a cura di Clara Tendō Candido)
© Tora Kan Dōjō
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