sabato 28 novembre 2020

Non esiste spazzatura

Videolettura dell'articolo qui:







"Seguimi" disse Roshi, e mi assegnò il mio primo compito: pulire il giardino.
Il Roshi settantenne e io ci mettemmo a spazzare il giardino con una scopa di bambù.
I giardini dei templi Zen sono progettati con cura in modo che gli alberi perdano le foglie durante tutto l'anno. Non solo gli aceri lasciano cadere le foglie in autunno, ma anche le querce e gli alberi della canfora a primavera.
Quando arrivai, in aprile, il giardino era coperto di foglie cadute.
L'uomo (o forse dovrei dire la mia mente) è davvero meschino.
Eccomi li, condannando nel mio cuore quel ‘vecchio pazzo' e recalcitrando alla sola idea di avere fiducia cosi facilmente, ma nello stesso tempo desiderando che quel vecchio si accorgesse di me.
Cosi presi la scopa e mi misi a spazzare furiosamente.
In breve tempo avevo raccolto una montagna di foglie morte.
Desideroso di mostrare il mio zelo, chiesi: "Roshi, dove butto questa spazzatura?".
Le parole non avevano ancora finito di uscirmi dalla bocca, che mi tuonò di rimando: "Non c'è spazzatura!".
"Se non c'è spazzatura, che cos'è questa?", dissi indicando la montagna di foglie
“Allora non mi credi! È cosi?".
"No, no... ma, dove devo gettare queste foglie?". Fu tutto quello che mi riuscì di dire.
"Non devi gettarle!", ruggì un'altra volta.
"E che cosa devo farne?".
"Vai nel capanno degli attrezzi a prendere un sacco del carbone vuoto", mi ordinò.
Quando ritornai con il sacco, trovai Roshi impegnato a dividere il mucchio di foglie, vagliandolo in modo da lasciare sul fondo la sabbia e le pietre, più pesanti, e in cima le foglie, più leggere.
Poi iniziò a mettere le foglie nel sacco che avevo portato, schiacciandole con i piedi.
Quando ebbe pigiato bene nel sacco le ultime foglie, mi disse: "Portale nel capanno. Le useremo per fare il fuoco sotto il bagno".
Andando verso il capanno, ammisi tacitamente che forse il sacco pieno di foglie che portavo in spalla non era spazzatura. Ma mi dissi anche che quello che era rimasto fuori dal sacco, là in giardino, era chiaramente spazzatura, nient'altro che spazzatura.
Quando ritornai, trovai Roshi accovacciato sui resti del mucchio, intento a togliere le pietre.
Quando ebbe tolto anche l'ultimo sassolino, mi ordinò: "Prendile e mettile sotto le grondaie".
Quando finii di sistemare i sassolini tra la ghiaia sotto lo scarico delle grondaie, riempiendo i buchi scavati dall'acqua, scoprii che non solo i buchi erano stati riempiti, ma che il mio lavoro aveva una certa eleganza. Dovetti ammettere che neppure quelle pietruzze rientravano nella categoria 'spazzatura'.
Ma c'era dell'altro: le zolle di terra, i pezzetti di muschio, i piccoli rimasugli.
Mi chiedevo che cosa si poteva fare con quella roba.
Guardai Roshi mentre continuava il suo lavoro raccogliendo in una mano tutti i più piccoli rimasugli, uno per uno. Esaminò il terreno alla ricerca di avvallamenti e piccoli buchi, li riempi di rimasugli e pezzetti di terra, e li premette con i piedi. Del mucchio di foglie non era rimasta una sola briciola.
Allora?", mi chiese. "Adesso capisci qualcosa di più?
Fin dall'inizio, nelle persone e nelle cose, non esiste spazzatura".
Fu il primo insegnamento che ricevetti da Zuigan Roshi.
Anche se mi tocco profondamente, per sfortuna non ero abbastanza intelligente da ottenere un grande risveglio ascoltando semplicemente quelle parole.
Fin dall'inizio, nelle persone e nelle cose, non esiste spazzatura. Queste parole indicano la verità fondamentale del buddhismo, una verità che a quell'epoca non riuscivo ancora a vedere.

tratto da ‘da Studente a Maestro’ di Soko Morinaga Ubaldini Editore


















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martedì 24 novembre 2020

Non siamo in guerra - Nous ne sommes pas en guerre (ITA - FRA)





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Non siamo in guerra
e non dobbiamo esserlo ...
È interessante vedere come possiamo solo prevedere ogni evento attraverso un meccanismo di difesa e dominio. Le misure decretate dal nostro governo sono state del tutto appropriate secondo la mia sensibilità di medico. Ma  l'eco mediatica che le ha accompagnate molto meno.
Non siamo in guerra e non dobbiamo essere in guerra.
Non è necessario che un'idea sistematica di lotta abbia successo.
La ferma ambizione di un servizio alla vita è sufficiente.
Non c'è nemico.
C'è un altro organismo che vive in pieno flusso migratorio e dobbiamo fermarci affinché le nostre rispettive correnti non si scontrino troppo.
Siamo al passaggio pedonale e la luce è rossa per noi.
Naturalmente ci saranno tra i nostri miliardi di umani, quelli che attraverseranno fuori delle strisce e incidenti che saranno dolorosi.
Lo sono ancora.
Dobbiamo essere preparati a questo.
Ma non c'è guerra.
Le forme di vita che non servono ai nostri interessi (e chi può dirlo?) non sono i nostri nemici.
Questa è un'altra opportunità per renderci conto che gli umani non sono l'unica forza su questo pianeta e che a volte devono fare spazio agli altri. Non ha senso viverlo in modo conflittuale o competitivo.
I nostri corpi e il nostro sistema immunitario amano la verità e la PACE.
Non siamo in guerra e non dobbiamo essere in guerra per essere efficaci. Non siamo mobilitati dalle armi ma dall'intelligenza dei vivi che ci costringe a fermarci.
Eccezionalmente siamo costretti a metterci da parte, a lasciare spazio.
Non è una guerra, è un'educazione, quella dell'umiltà, dell'interrelazione e della solidarietà.

Sophie Mainguy, ex medico di emergenza, attualmente formatrice di educazione sanitaria

Nous ne sommes pas en guerre
et n’avons pas à l’être…
Il est intéressant de constater combien nous ne savons envisager chaque événement qu’à travers un prisme de défense et de domination. Les mesures décrétées par notre gouvernement sont, depuis ma sensibilité de médecin, tout à fait adaptées. En revanche, l’effet d’annonce qui l’a accompagné l’est beaucoup moins.
Nous ne sommes pas en guerre et n’avons pas à l’être.
Il n’y a pas besoin d’une idée systématique de lutte pour être performant.
L’ambition ferme d’un service à la vie suffit.
Il n’y a pas d’ennemi.
Il y a un autre organisme vivant en plein flux migratoire et nous devons nous arrêter afin que nos courants respectifs ne s’entrechoquent pas trop.
Nous sommes au passage piéton et le feu est rouge pour nous.
Bien sûr il y aura, à l’échelle de nos milliards d’humains, des traversées en dehors des clous et des accidents qui seront douloureux.
Ils le sont toujours.
Il faut s’y préparer.
Mais il n’y a pas de guerre.
Les formes de vie qui ne servent pas nos intérêts (et qui peut le dire ?) ne sont pas nos ennemis.
Il s’agit d’une énième occasion de réaliser que l’humain n’est pas la seule force de cette planète et qu’il doit – ô combien- parfois faire de la place aux autres. Il n’y a aucun intérêt à le vivre sur un mode conflictuel ou concurrentiel.
Notre corps et notre immunité aiment la vérité et la PAIX.
Nous ne sommes pas en guerre et nous n’avons pas à l’être pour être efficaces. Nous ne sommes pas mobilisés par les armes mais par l’Intelligence du vivant qui nous contraint à la pause.
Exceptionnellement nous sommes obligés de nous pousser de coté, de laisser la place.
Ce n’est pas une guerre, c’est une éducation, celle de l’humilité, de l’interrelation et de la solidarité.

Sophie Mainguy, anciennement médecin urgentiste, actuellement formatrice en éducation à la santé

© Tora Kan Dōjō

















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sabato 21 novembre 2020

Punto dopo punto - Point après point (versione Italiana e Francese)

La video lettura dell'articolo qui:



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Ricordo…
Qualche anno fa, durante le incursioni del venerdì sera, incontrai una famiglia dell’Europa dell’est che viveva dentro un riparo di fortuna sotto un ponte all’incrocio dell’A86 e l’A1.

Jorge e Maria, e i loro quattro figli Sophie e Anastasia, Michal e Dorek. 
Gli ho fatto visita per circa un annetto. Le due piccole bambine erano molto malate. 
E divenni molto in fretta amico di questa famiglia; eravamo riusciti a farli integrare dentro un centro d’accoglienza nel sud della Francia e ad avviare una procedura per ottenere dei documenti che alla fine li ha portati in Belgio, dopo un estenuante viaggio per loro. 
Le due gemelle sono morte a seguito di una malattia rara che ha divorato il loro sangue. 
I due ragazzi sono oggi due bei giovanotti che lavorano vicino a Bruxelles e si prendono cura dei loro genitori. Il loro futuro è in salvo. Non li ho più rivisti dopo che hanno lasciato la Francia.

Mi ricordo di aver voluto tanto bene a quelle due bambine e di averle anche tenute da noi diversi week-end.  Ciò che mi colpì durante il nostro primo incontro furono tre o quattro coperte molto colorate che abbellivano il loro mondo di bitume, di catrame, di oggetti per la sopravvivenza di fortuna e d’abbandono, in particolare una piccola coperta a scacchi viola che Anastasia non lasciava mai. Ricordo che la vedevo da lontano venendo a trovarli.
Alla morte delle due bambine chiesi ai genitori se potessi prendere quelle quattro coperte per ricordo.
Ne cucii un Kesa da Cerimonia, che sarà per sempre ai miei occhi il più prezioso dei miei Kesa da monaco.
L’ho cucito secondo la tradizione della nostra scuola e, cucendolo, io ho ricucito in me la loro pelle, la loro vita.
Ho sempre sentito che quelle persone, rinnegate, disprezzate, abbandonate dalla maggior parte, erano come un fiore dentro un deserto urbano, ad ogni modo hanno reso la mia vita rigogliosa con la loro speranza, la loro gentilezza e la loro storia cucita di coraggio e di fede.

Contemplando, perso nei miei pensieri, un paesaggio che scorreva sotto i miei occhi al passaggio del treno di ritorno dal nord Europa, ho visto un giorno dei campi di fiori coltivati in strisce di colori netti e cangianti che dialogavano con il blu del cielo di un sabato di maggio. 
In quel momento, io ho capito come avrei cucito quel Kesa; il campo fiorito del mondo.
Allora ho tagliato quelle quattro coperte come per spargere il mandala di quelle due piccole vite e di quella famiglia provata, e le ho assemblate come per dar loro nuovamente la vita, in altro modo, in una sorta di coperta cucita con il filo del ricordo, della tenerezza e della speranza che mai più dei bambini vivano o muoiano per le strade, ai piedi delle nostre case.

Ogni volta che lo porto durante una cerimonia, comprendo quello che il Buddha ci ha trasmesso con la pratica della cucitura dell’abito del monaco.
Punto dopo punto, ci ricolleghiamo al mondo attraverso noi stessi. Punto dopo punto, quello che era perso o separato è riunito.  Punto dopo punto, quello che il mondo ha rifiutato noi lo riassembliamo pazientemente nell’amore. Punto dopo punto, la terra dialoga con il cielo. Punto dopo punto, l’ego crea gli ostacoli ed il cuore li supera.

Volevo condividerlo con voi,
sarà il Kesa che indosserò il giorno delle Cerimonie di Trasmissione quest’estate. Non viene da grandi boutique liturgiche giapponesi, né è fatto con tessuti scelti con gusto. 
Si è cucito tra le mie dita come se per sempre Anastasia e Sophie giocassero nelle pieghe del vestito dei Buddha, ridendo ancora nel drappeggio di una vita che devo vivere ancora più intensamente per loro.
E con loro, tutti gli esseri che soffrono giocheranno per sempre nei lembi fioriti di un autentico Kesa: le nostre vite ricucite.

Federico Dainin Jôkô Sensei
(traduzione a cura di Arianna Carlesi)




Versione originale


Souvenir.... 
Il y a quelques années, je fis, lors des maraudes du vendredi soir, la rencontre d'une famille d'Europe de l'Est qui vivait dans un abri de fortune sous un pont au croisement  de l'A86 et de l'A1.


Jorge et Maria, et leurs quatre enfants Sophie et Anastasia, Michal et Dorek. Je les ai visités pendant presque une petite année. Les deux petites filles étaient très malades.
Et cette famille devint très vite mes amis; nous avons réussi à les faire intégrer dans un centre d'accueil dans le sud de la France et d'enclencher une procédure d'obtention de papiers qui finalement a abouti en Belgique après de très éprouvants périples pour eux. Les deux jumelles sont mortes des suites d'une maladie orpheline qui a ravagé leur sang. Les deux garçons sont aujourd'hui de beaux gaillards qui travaillent près de Bruxelles et prennent soin de leur parents. Leur avenir est en sureté. Je ne les ai pas revus depuis qu'ils ont quitté la France.

Je me souviens d'avoir tant aimé ces deux fillettes et même de les avoir gardées chez nous plusieurs week-ends.
Ce qui m'a marqué depuis la première rencontre étaient 3 ou 4 couvertures très colorée qui embellissaient leur monde de bitume, de goudron, d'objets de survie de fortune et d'abandon, particulièrement une petite couverture à ca

rreaux violets qu'Anastasia ne lâchait jamais. Je me souviens que je la voyais de loin en venant les voir.
A la mort des deux petites filles j'ai demandé aux parents si je pouvais récupérer en leur souvenir ces 4 petites couvertures.
J'en ai cousu un Kesa de cérémonie, qui sera à mes yeux pour toujours les plus précieux de mes kesa de moine.
Je l'ai cousu selon la tradition de notre école et en le cousant j'ai recousu en moi leur peau, leur vie.
J'ai toujours ressenti que ces personnes, reniés, méprisés, abandonné par la plus part, étaient comme une fleur dans un désert urbain, moi en tout cas ils ont fleuri ma vie par leur espérance, leur gentillesse et leur histoire cousue de courage et de foi.


C'est en contemplant, perdu dans mes pensées, un paysage qui défilait sous mes yeux au passage du train en revenant du nord de l'Europe que je vis un jour des champs de fleurs cultivées en bandes de couleurs nettes et chatoyantes qui dialoguaient avec le bleu du ciel d'un samedi de mai. A ce moment là j'ai su comment j'allais coudre ce kesa ; le champ fleuri du monde. J'ai alors découpé ces 4 couvertures comme pour disperser le mandala de ces deux petites vies et de cette famille éprouvée, et les ai  assemblées comme pour leur donner vie à nouveau, autrement, en une sorte de boutis cousu au fil du souvenir, de la tendresse et de l'espoir que plus jamais des enfants ne vivent ou meurent dehors, dans nos rues, au pieds de nos maisons.

Chaque fois que je le porte lors d'une cérémonie, je comprends ce que le Bouddha nous a transmis par cette pratique de la couture du manteau du moine.
Point après point nous nous relions au monde à travers nous mêmes. Point après point ce qui état perdu ou séparé est réuni. Point après point ce que le monde a rejeté notre coeur le rassemble patiemment dans l'amour. Point après point la terre dialogue avec le ciel. Point après point l'égo crée les obstacles et le coeur les dépasse.


Je voulais le partager avec vous, c'est le kesa que je porterai le jour des cérémonies des transmissions cet été. Il ne vient pas des grandes boutiques liturgiques japonaises, ni n'a été fait avec des tissus choisis avec gout. Il s'est cousu entre mes doigts comme si pour toujours Anastasie et Sophie jouent dans les plis de la robe des bouddhas, riant encore dans le drapé coloré d'une vie que je me dois de vivre encore plus intensément pour elles.
Et avec elles, tous les êtres qui souffrent joueront à jamais entre les lambeaux fleuris du véritable kesa: nos vies rapiécées.

© Tora Kan Dōjō
www.torakanzendojo.org 
















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martedì 17 novembre 2020

Stare fermi

Ho letto una storia di Chuang-tzu, Maestro taoista del IV secolo a.C.
«C’era un uomo che aveva paura della propria ombra e orrore delle proprie impronte. Così le sfuggiva correndo. Ma quante più volte alzava il piede, tanto più numerose erano le impronte che lasciava; e più in fretta scappava, meno l’ombra l’abbandonava. Credendo di andare troppo piano, corse più svelto senza mai riposare, finché, all’estremo delle forze, non morì. Egli non capiva che per far scomparire l’ombra bisogna rimanere nell’oscurità, che per far cessare le impronte bisogna rimanere nella quiete».
Ecco, una stanza della meditazione non è un luogo esemplare, né dove essere esemplari, ma dove stare fermi nell’oscurità per conoscere la propria ombra e le proprie impronte. E per procedere oltre.


tratto da: Candiani, Chandra Livia. Il silenzio è cosa viva: L'arte della meditazione. Einaudi.




© Tora Kan Dōjō



















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