lunedì 26 dicembre 2022

Grande Mente

Pubblichiamo l'estratto di un Insegnamento offerto da Taigô Kônin Sensei durante la Pratica Zen.

Gran parte della sofferenza, dell'ansia, della tristezza, della depressione, sono causate dall'interpretazione che la nostra mente mette in atto di fronte alla realtà.

Il Buddha esprimeva questo con una parabola: Come se qualcuno colpito da una freccia, immediatamente dopo fosse colpito da una seconda freccia nella stessa ferita. L’uomo amplifica la sua sofferenza con la ‘seconda freccia’ scoccata dalla sua interpretazione di quello che si trova a vivere. Un'interpretazione emotiva che nella maggior parte dei casi amplifica la sofferenza.

Quello che ci insegna Zazen e che dobbiamo esercitare continuamente durante la nostra vita, è imparare a distinguere la realtà di quello che incontriamo dalla illusoria interpretazione che ne fa la nostra mente.... un’interpretazione che nasce principalmente dalla proiezione nel futuro.

Zazen ci insegna a tornare costantemente attraverso la postura al momento presente lasciando cadere ogni interpretazione.

Si sente spesso affermare da chi non ha esperienza, o da chi cerca di vendere un prodotto, che la meditazione è fermare il pensiero, la mente... niente di più lontano dalla realtà della pratica meditativa. Perché la mente dovrebbe fermarsi? Quando sediamo in Zazen il nostro organismo continua la sua normale attività, il cuore non può fermarsi, altrettanto vale per lo stomaco, l'intestino, la milza, i reni... allora perché la mente dovrebbe fermarsi?

Pensiamo che il problema sia la mente perché gli diamo un'eccessiva importanza, perché diamo eccessiva importanza a quel che la mente produce, il pensiero, che non è più importante dei succhi gastrici, della circolazione del sangue... anzi, paradossalmente tra tutte le nostre funzioni vitali è quella che ci crea più problemi e che crea danni anche alle altre funzioni vitali.

In Zazen impariamo a guardare alla produzione della nostra mente, a riconoscerla, ad osservarla, a comprendere che non si tratta altro che di una proiezione, dettata da condizionamenti, paure, ansie abitudini. Niente di originale...

Tutto quello che attiene all'intuizione, alla creatività, arriva da ‘oltre la mente’, da quella che qualcuno ha definito la Grande Mente, il Pensiero Cosmico. Quando noi lasciamo cadere l'io separato e ci riconosciamo nell'Uno, il pensiero che coinvolge gli oceani, gli alberi, i fiumi, i muri… diventa il nostro pensiero.

 E questo pensiero che trascende questa piccola mente ha una memoria infinita che va ben oltre la nostra limitata esistenza in questa forma, possiede una saggezza profondissima.

Ecco perché mi capita provocatoriamente di affermare che lo slogan molto in voga oggi: ‘dobbiamo cercare la risposta dentro noi stessi’ è ingannevole.
Proprio all'opposto dobbiamo lasciar cadere 'dentro' e 'fuori', capire che non esiste un ‘noi stessi’ separato dal tutto e lasciare che la risposta ci attraversi, dobbiamo diventare una canna vuota attraverso la quale il vento dello spirito passa e risuona attraversandola...

La grande saggezza, la grande mente, il nostro vero sé, Dio, chiamatelo come vi aggrada, ci attraversa, e attraversandoci produce un suono... il suono della verità.

Tutta la Pratica dello Zen è fondata su questo 'svuotamento' per far sì che si possa essere riempiti da qualcosa che non è limitato a noi, alla nostra piccola mente, ai nostri condizionamenti.

Siamo in grado così di riconoscere i pensieri illusori che amplificano la nostra sofferenza. Li riconosciamo e possiamo finalmente riderci sopra. Questa saggezza ci permette anche di non reagire di fronte alle situazioni ma di rispondere. La reazione è sempre frutto di un condizionamento, la risposta intuitiva nasce da l'oltre-mente.

Il compito di un insegnante Zen è quello di risvegliare costante-mente i propri allievi alla grande mente, di insegnargli a riconoscere quando agisce la piccola mente o quando invece è la grande mente che agisce attraverso di loro. Affinché la vera fede nella loro natura di Buddha orienti e agisca nella loro vita.
















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giovedì 22 dicembre 2022

Mishima, quel gesto assoluto e la sua eredità

 

Cosa ci dice oggi uno scrittore giapponese che il 25 novembre di cinquant’anni fa si suicidò davanti alle telecamere col rito tradizionale del seppuku perché la sua patria aveva svenduto l’anima alla modernità e all’americanizzazione?

Un gesto incomprensibile agli occhi del nostro tempo, assai remoti da quel clima e dalla radice da cui provenivano: oggi i suicidi avvengono per motivi personali, non ci sono suicidi contro lo spirito dell’epoca. L’ultimo suicidio che somiglia a quello di Yukio Mishima fu quello compiuto da uno scrittore francese, Dominique Venner, sette anni fa, in Notre-Dame.

Ma a noi ragazzi e adolescenti degli anni Settanta, che non amavamo il nostro tempo, quel gesto assoluto s’impresse nel nostro sangue e nella nostra memoria. E si associò a quello compiuto l’anno prima da Jan Palach a Praga. L’uno contro la repressione comunista che mortificava la patria e la libertà dei popoli; l’altro contro il nichilismo occidentale che divorava l’Impero del Giappone e rubava l’anima, lo spirito e la dignità alla sua tradizione sacra. E Mishima era scrittore famoso nel mondo, nel cinema, e largamente permeato dall’Occidente.

Mishima fu il nostro Che Guevara, il nostro Pasolini, il nostro D’Annunzio. Dico Guevara perché Mishima fu il nostro eroe contro il dominio americano e la perdita di sovranità; ma guerriero, non guerrigliero. Dico Pasolini perché Mishima fece scandalo come lui contro il consumismo e il capitalismo, lo sradicamento e l’industrializzazione, l’omologazione e l’irreligione. Dico D’Annunzio perché Mishima fu esteta armato e poeta soldato, anche se di una guerra senza guerra, e come lui scrisse la sua opera tra Eros, Morte e Bellezza.

Mishima fu un ponte tra letteratura e vita, tra visione e azione eroica, tra Oriente e Occidente, nel segno della Tradizione. Sole e Acciaio, il suo testamento spirituale, fu il nostro breviario di quegli anni: al sole e all’acciaio, sintesi di tradizione e modernità, natura e volontà, mito e palestra, ci addestrammo, dedicammo il corpo e la mente. L’acciaio per temprare i nostri corpi, il sole per far risplendere la nostra anima alla luce. Ore in palestra e corse in campagna al sole a torso nudo, anche in pieno inverno, con la fascia sulla fronte come Mishima, con sprint finale allo stremo delle forze su un ponte che sembrava sfociare nel sole. Riti di un’imprecisata religione, un po’ pagana, un po’ sportiva, spiritual-carnale, estetica on the road, con un piccolo gruppo di fidati amici e militanti metapolitici, figli del Sole e dell’Acciaio in versione mediterranea. Cercavamo in lui un’etica e un’estetica del coraggio. Dopo qualche anno, pubblicai con un mio ampio saggio introduttivo, Sole e Acciaio. Era un debito con la prima gioventù, i suoi sogni e le sue illusioni; che rinsaldai di recente dedicando a Mishima un ritratto in Imperdonabili (Marsilio).

Ma Mishima non è solo questo, e non è solo quell’opera, ricorda Danilo Breschi che ha pubblicato ora da Luni Yukio Mishima Enigma in cinque atti. È uscito pure un libretto di scritti mishimiani, Difesa della cultura, a cura di Daniele Dell’Orco (ed. Idrovolante) tradotto da uno “storico” cultore del Giappone, Romano Vulpitta. Si, il nostro Mishima non era il letterato, l’autore di romanzi famosi e opere teatrali ardite, ma era il testimone ardito di una vita, di una protesta e di memorabili scritti contro il nostro tempo. L’uomo gracile che non aveva fatto in tempo a perdere la guerra e si era forgiato fino a diventare un atleta della mente e del corpo. Era l’ultimo dei samurai, un kamikaze in tempo di pace, un milite che aveva combattuto la sua battaglia con la penna e la spada. Ci colpiva la sua vita combaciante col suo disegno e il suo suicidio rituale, premeditato da anni, dopo un discorso fiero e disperato, davanti a una folla scettica e irridente. C’era estetismo, narcisismo, decadentismo nel suo gesto impolitico, di testimonianza pura. Morì a 45 anni nel pieno della fama e del vigore fisico e intellettuale.

Mishima era un nemico ante litteram della globalizzazione, non amava il Giappone all’ingrasso, cresciuto fra transistor, macchine fotografiche e benessere ma evirato della sua tradizione imperiale, militare e aristocratica, privo di un ruolo geopolitico e di una dignità nazionale. Era un antimoderno e un nemico fiero del ’68 che contestò in un pubblico dibattito con gli studenti del Movimento studentesco giapponese. C’era in lui una vena di voluttà omo-erotica riversata in esibizionismo; la stessa che lo spingeva a estasiarsi davanti al martirio di san Sebastiano trafitto dalle frecce. C’era pure fanatismo e velleità (era un golpista mancato); la tradizione fu per lui come un urlo di Munch prima di suicidarsi. Ma si avvertiva il senso del sacro.

Mishima sognava di rigenerare la cultura giapponese mediante il Crisantemo e la Spada, l’equivalente nipponico del mazziniano Pensiero e azione. Per lui i principi cardine della civiltà sono la ciclicità, ossia la ricorrenza in forme sempre nuove della tradizione; la totalità, che è la capacità di congiungere il conoscere all’agire; e la soggettività, l’elemento creativo e innovativo che traduce la lezione del passato nel proprio tempo. 

Lo rivedo oggi in un ritratto a torso nudo che brandisce la spada con lo sguardo fiero e trovo in lui qualcosa della nostra prima giovinezza; ma lo vedo lontano anni luce dal nostro tempo, inattuale. E non so se questo suoni come una condanna del suo anacronismo e del suo gesto finale; o sia una critica del nostro tempo e della sua incapacità di ascoltare le voci dei tempi e degli eroi andati. Lo vedi urlare in un poster nel silenzio glaciale di un tablet e non sai se è lui muto o noi sordi.

Marcello Veneziani, La Verità 25 novembre 2020 (fonte)

© Tora Kan Dōjō

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giovedì 15 dicembre 2022

Arrendersi al Corpo

 



Il corpo non è una macchina che noi dobbiamo avviare o fermare. Possiede una sua mente e sa cosa deve fare.
In realtà, ciò a cui rinunciamo è l’illusione del potere della mente.
Fare è l’opposto di arrendersi. Fare è una funzione dell’Io, mentre arrendersi al corpo esige un abbandono dell’Io.
Naturalmente, quando il sentire è assente o ridotto, si cerca un significato alla vita oltre il sé” .
Il sentire vero svuota la vita di una sua presunta direzionalità, di un suo presunto senso.
Si esce dalla banale retorica di frasi patetiche quali dare un senso alla vita, cercare un posto nel mondo, avere uno scopo.
Per non parlare di quella bestemmia somma costituita dalla parola ambizione.
Invece: resa, abbandono.
E farsi fluire, lasciarsi andare.
Lasciarsi andare: non più io vado, ma sono lasciato andare, sono portato, sono condotto.
Sono fluito.
Ovvero: sono arreso al mio corpo, da lui accudito.
Più mi arrendo e più sento la sua potenza, la sua forza, la sua inderogabile verità.
La verità del corpo, la verità della natura, la verità della materia, la verità della terra, la verità del sentire.
Non più il soggetto che produce l’azione, ma l’azione che si impone in un soggetto volatilizzato nella sua esposizione al reale, alla potenza della datità dell’istante presente.
Come un ubriaco per strada, ma che sente nel suo inciampo il senso del mondo.

 Alexander Lowen

Tratto da: ‘Arrendersi al corpo’



© Tora Kan Dōjō
















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giovedì 8 dicembre 2022

Muori e Rinasci ad ogni momento ITA/ENG



 "Le nostre vite sembrano essere blocchi ininterrotti di settanta o ottanta anni consecutivi, ma, in realtà, sei una moglie quando guardi in questo modo; sei la donna della porta accanto quando guardi in quel modo . Quando mantieni la franchezza diretta della tua mente mentre prende vita ogni istante, anche senza sforzo, anche senza allenamento, nasci meravigliosamente con ogni istante. Muori con ogni istante e continui a rinascere , istante per istante.

 ... quando vai in cucina a preparare la cena, nasci in cucina. Quando finisci lì, muori. Poi nasci a tavola mentre mangi la tua cena e, quando finisci di mangiare, muori lì. Sii nato nel giardino a spazzare con la scopa. Quando di notte vai a letto, muori lì. E quando arriva la luce del giorno, e ti risvegli nel tuo letto, rinasci. Se hai il cancro, nasci con il cancro.

Sempre adesso - proprio adesso - vieni all'esistenza. Sempre adesso - proprio ora - offri te stesso alla morte. Praticare questa verità è pratica Zen."

Soko Morinaga Roshi
tratto da ‘da Studente a Maestro’

 

 Versione Inglese

"Our lives appear to be unbroken blocks of seventy or eighty continuous years, but, actually, they are just as the example we saw earlier: you are a wife when you look this way; you are the woman next door when you look that way. When you maintain the straight-forward frankness of your own mind as it comes to life each instant, even without effort, even without training, you are beautifully born with each instant. You die with each instant, and go on to be born again, instant by instant.

 . . . when you go to the kitchen to prepare dinner, be born in the kitchen. When you finish there, die. Then be born at the dining table as you eat your dinner and, when you finish eating, die there. Be born in the garden, and sweep with your broom. When you get into bed at night, die there. And when daylight comes, and you awaken in your bed, be born anew. If you have cancer, be born with cancer.

 

"Always now — just now — come into being. Always now — just now — give yourself to death. Practicing this truth is Zen practice."

Soko Morinaga Roshi
exerpt from 'from student to Master'


© Tora Kan Dōjō
















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venerdì 2 dicembre 2022

Sport è colpire un bersaglio, Arte Marziale è colpire il cuore.


 

Vi spiego la differenza tra sport e arte marziale con una storiella che potrebbe essere realmente accaduta...

Su un campo di tiro in occasione di una manifestazione si incontrano un maestro di kyudo giapponese (l'arte del tiro con l'arco asimmetrico) e un arciere sportivo americano.

Il maestro di kyudo tira con il suo arco sgembo in legno, che ha costruito con le sue mani e che pochi riuscirebbero a tendere senza la giusta pratica, tanto è tirata la corda e tanto particolare è la tecnica dell'arco asimmetrico che richiede perfetta unificazione di mente e corpo attraverso il respiro.Si esercita tirando a pochi metri da un grosso bersaglio in paglia di riso (makiwara) perchè la sua principale preoccupazione non è tanto raggiungere il centro del bersaglio quanto unificare corpo-mente-cuore in quel gesto...Ogni tiro richiede un tempo molto lungo, lunghe pause di concentrazione, lenti gesti rituali che si ripetono da secoli.

Intanto l'arciere americano scocca numerose le sue frecce con il suo arco perfettamente bilanciato, in alluminio leggerissimo, supertecnologico, dotato di frecce altrettanto perfezionate da altissima tecnologia.

Tira contro un bersaglio lontanissimo e coglie il centro molte volte....

L'arciere americano sorride al vedere il rudimentale arco giapponese e, soprattutto, lo diverte la vicinanza al grande bersaglio tenuta dal maestro giapponese.

Dopo aver anticipato la sua intenzione ai suoi amici, va verso il giapponese e con aria di sfida gli dice: 'vogliamo scommettere a chi coglie il centro di quel bersaglio laggiù?' Il maestro giapponese declina l'invito affermando che non è interessato a tale prestazione.

L'americano insiste facendosi più insolente e afferma: 'non sarà che con quel tuo arco storto e preistorico non riusciresti mai a colpire il bersaglio ?' tra le risate dei suoi amici.

Il giapponese allora replica:'Va bene accetto la sfida ma tiriamo secondo i principi della mia arte' 'benissimo' risponde l'americano 'dimmi dove devo tirare e centrerò il bersaglio'.

'Prendiamo due frecce per uno, tu con il tuo arco, io con il mio, ci allontaniamo di 10 passi, ci giriamo e tiriamo l'uno contro l'altro...' replica il giapponese

L'americano rinuncia alla sfida dando del pazzo al giapponese.

L'americano con tutta la sua ipertecnologia e raffinata tecnica non ha avuto il 'cuore' di mettere la sua vita in gioco mentre l'arte marziale è tutta nel saper mettere costantemente in gioco la propria vita.

La sua grande abilità tecnica è completamente inutile di fronte alla Grande Questione di vita-morte, il suo polso trema di fronte alla determinazione e all'abbandono di sè dell'arciere giapponese.

L'Arte Marziale è perfezionamento dello spirito, del cuore e del corpo nel confronto tra la vita e la morte e in questo confronto è lo spirito che, affilato come una spada dalla pratica, ha il sopravvento.

 

© Tora Kan Dōjō

















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