Le otto modalità con cui Gudo Wafu Nishijima avrà aiutato il cambiamento nel Buddhismo Zen. (Memoriale di Nishijima Roshi del 2014 di Jundo Kohen)
Il mio insegnante, GUDO WAFU NISHIJIMA
ROSHI, è morto questo mese, all'età di 94 anni. In un certo senso, era un uomo
d’altri tempi misurato nel parlare, gentile e moderato, nato quasi un secolo fa
nell'era Taisho in Giappone. Nei fatti fu un acuto visionario del futuro del Buddhismo, un grande critico della condizione dello Zen nel Giappone moderno e
un autentico riformatore (anche se largamente ignorato dall'establishment Zen).
I suoi studenti non sono tutti fatti della sua stessa stoffa. Eppure credo che la
sua eredità continuerà attraverso molti di noi nei seguenti otto modi e più.
Spero di approfondire ciascuno di questi
punti in una serie di saggi nelle prossime settimane. Non voglio dire che
queste siano tutte idee originali di Nishijima. Ci sono molte altre persone
oggi che condividono tali punti di vista a molti livelli. Tuttavia, ciò che era
unico in Nishijima Roshi era come sistematicamente ed energicamente ambiva ad
una nuova visione del Buddhismo zen. La Talità trascende il tempo, il luogo e il
cambiamento, e la Verità Buddhista non dipende dagli involucri esteriori.
Tuttavia, le tradizioni e le pratiche buddiste devono trasformarsi
costantemente quando incontrano nuovi tempi, luoghi e culture. Credo che questi
otto cambiamenti che Nishijima indica avranno effetti duraturi sul futuro dello
Zen in Occidente; e Treeleaf Sangha, di cui io sono un insegnante, è dedicato e
impegnato nella loro promozione.
A differenza della maggior
parte del clero buddista in Asia, i preti giapponesi di solito si sposano e non
sono celibi. Alcuni considerano questo come un grande fallimento del Buddhismo
giapponese, una rottura con 25 secoli di tradizione. In Giappone e in
Occidente, anche alcuni sacerdoti di lignaggio giapponese e gli stessi
insegnanti laici non sono sicuri della propria identità e legittimità, e dei
loro ruoli l'uno rispetto all'altro. Con grande saggezza, Nishijima ha trasceso
tutte queste domande e categorie limitanti. Ha sostenuto un modo per superare e
risolvere l'intera questione, vedendo espressioni viventi dove gli altri
vedevano solo restrizioni, e per preservare la tradizione anche nel mutamento
delle condizioni. Sebbene fosse un campione della via celibe (Nishijima Roshi,
sebbene sposato, si dedicò a uno stile di vita celibe per se stesso al momento
dell'ordinazione), non ha mai pensato che il celibato fosse l'unica strada per
tutti i sacerdoti. Nishijima ha sostenuto una forma di ordinazione che va
completamente oltre e abbandona le divisioni tra "Sacerdote o Laico,
Maschio o Femmina", ma ci permette di incarnare e attuare pienamente
ciascuna di queste categorie a seconda della situazione. Nel nostro lignaggio,
non ci vergogniamo né cerchiamo di nascondere la nostra sessualità e le
relazioni mondane, né ci sentiamo in conflitto nell’essere "monaci"
con figli e mutui da pagare. Quando sono un genitore per i miei figli, lo sono
al 100% e sono completamente lì per loro. Quando sono un lavoratore nel mio
lavoro, sono quello e incarno questo ruolo con sincerità e dedizione. E quando
mi viene chiesto di entrare nel ruolo di offrire lo Zazen, offrire un discorso di Dharma, praticare e incarnare la nostra storia e i nostri insegnamenti e
trasmetterli ad altri, svolgo e incarno pienamente il ruolo di
"Sacerdote" in quel momento. Qualunque cosa richieda il momento:
mantenere una comunità Sangha, conferire i precetti, lavorare con gli altri per
aiutare gli esseri senzienti. I nomi con cui chiamiamo noi stessi non contano.
Nel modo di Nishijima, non chiediamo e non ci preoccupiamo se siamo
"Sacerdoti" o "Laici", perché non siamo mai quello solo, ma
sempre completamente entrambi; esclusivamente ciascuno nella forma più pura e
non adulterata, ma completamente tutto in una volta. È proprio come, in
Occidente, siamo giunti a superare le dure divisioni e discriminazioni tra
"maschio" e "femmina", riconoscendo che ognuno di noi può
incarnare ogni sorta di qualità a vari livelli secondo le circostanze presenti,
e che i tradizionali stereotipi “maschili” e “femminili” non sono così netti
come si credeva una volta. Così è con la contrapposizione di
"Sacerdote" e "Laico".
2 - TROVARE IL NOSTRO LUOGO DI PRATICA E
FORMAZIONE “FUORI NEL MONDO”.
Per migliaia di anni, è stato quasi impossibile
impegnarsi nella pratica zen se non in un ambiente monastico, per essere in
contatto con altri praticanti, insegnanti e insegnamenti, per avere il tempo e
le risorse economiche per perseguire una pratica seria, abbandonando la propria
vita mondana. Per necessità economiche e pratiche, è stata mantenuta una
divisione di "Sacerdote" e "Laico" perché qualcuno doveva
coltivare il cibo da mettere nelle ciotole dei monaci, guadagnare la ricchezza
per costruire grandi templi, avere figli per trasmettere il mondo alle prossime
generazioni. Sebbene figure Mahayana come Vimalakirti incarnassero il principio
che la liberazione è disponibile per tutti, la situazione pratica era che solo
un capofamiglia con la ricchezza, il tempo libero e le risorse di Vimalakirti
poteva avere una reale possibilità di realizzarlo. Ora, nelle società moderne
grazie ad una migliore distribuzione della ricchezza (rispetto al passato,
anche se abbiamo ancora molta strada da fare), il tempo libero,
l'alfabetizzazione e l'istruzione, l'accesso ai media, i mezzi di locomozione e
di comunicazione a distanza, molti degli ostacoli alla pratica e alla
formazione sono stati eliminati. Questa è l'epoca in cui possiamo iniziare a
"abbattere le mura del monastero" in senso figurato, per scoprire che
le verità di Buddha possono essere praticate in qualsiasi luogo, senza
l’edificazione di muri "interni" o "esterni". Per alcuni di
noi, la cucina di famiglia, l'asilo nido, l'ufficio o la fabbrica dove
lavoriamo assiduamente e duramente, il letto d'ospedale, l'attività di
volontariato o il municipio sono tutti il nostro "monastero" e il
luogo di formazione. Possiamo arrivare a riconoscere il “monastero” situato in
edifici in legno e piastrelle come un mezzo, un espediente, anche se con una
sua forza e bellezza. Ci sono ancora momenti in cui ognuno di noi può
beneficiare di periodi di ritiro e silenzio, che si tratti di un Sesshin o di
un Ango, o della proverbiale capanna d'erba in colline lontane. Sì, questa Via
ha ancora bisogno di ogni sorta di persone, ciascuna che persegua i percorsi di
pratica adatti ai propri bisogni e alle circostanze, siano essi sacerdoti del
tempio che soddisfano le esigenze dei loro parrocchiani, eremiti isolati nelle
caverne, monaci celibi nei monasteri di montagna o "fuori nel mondo” che
dimostrano che tutto può essere trovato proprio nelle strade della città e
nelle autostrade trafficate di questo mondo moderno. Nishijima, un prete Zen ma
anche un lavoratore, marito e padre per la maggior parte della sua vita, si è
distinto per l'eliminazione del concetto di “dentro” e “fuori”. Era qualcuno
che conosceva il valore dei tempi di ritiro, ma anche la costante realizzazione
di questi insegnamenti in casa, sul posto di lavoro e nelle mense.
I sacerdoti buddhisti in Giappone svolgono un ruolo importante nel calmare i cuori dei loro parrocchiani durante i periodi di lutto. I funerali e le cerimonie commemorative sono aspetti importanti della tradizione giapponese, come nelle altre culture. Tuttavia, lo Zen giapponese e altri tipi di Buddhismo si sono concentrati eccessivamente sulla "cultura funeraria", quasi escludendo tutto il resto. Fatta eccezione per le luci scintillanti sparse qua e là che cercano di mantenere viva la Via di Dogen e lo Zazen, la maggior parte dei sacerdoti Zen Soto giapponesi non si preoccupano più nemmeno dello Zazen dopo il periodo di formazione giovanile nel monastero. Le massicce istituzioni buddiste del Giappone, comprese le scuole Rinzai e Soto, sono diventate imprese autorizzate che producono sacerdoti su nastri trasportatori (di solito i figli del tempio sono costretti all'addestramento per rilevare il franchise di "affari funebri" del tempio gestito dalla loro famiglia). Nishijima fu ordinato e ricevette la Trasmissione del Dharma da Rempo Niwa Zenji, l'allora abate di Eihei-ji, il monastero Soto Zen più antico. Niwa era allora il "Papa" de facto della setta Soto eppure pur sapendo che Nishijima era un critico dell'intero sistema, lo ha comunque autorizzato ad insegnare sulla base del desiderio condiviso dai due di voler riformare lo Zen Soto. In questo momento, in America e in Europa, c'è una tendenza tra alcune grandi istituzioni Zen a crescere anche in grandi "chiese" Zen, istituzioni che si occupano di preservare le proprie opinioni sull' "Ortodossia" dottrinale, di preservare il loro status, l'autorità dei loro sacerdoti , i loro diritti di determinare la legittimità delle Ordinazioni, stabilendo da sole sistemi interni di appartenenza a corporazioni. Molti gruppi Zen in America e in Europa spesso sembrano essere troppo preoccupati di preservare il loro territorio, le donazioni e l'influenza all'interno del mondo Zen, agendo a volte "più giapponesi dei giapponesi", pieni di conformismo, politica e un atteggiamento da "club dei vecchi amici" verso lo sradicamento delle poche mele marce dei trasgressori etici. Alcuni altri gruppi Zen sono stati decisamente "cultisti" nel loro comportamento (non dovremmo aver paura parlare pane al pane su questo tema). Naturalmente, il mantenimento degli standard di base per la formazione e l'etica dei sacerdoti è necessario e va applaudito. Il nostro Treeleaf Sangha sostiene pienamente tali sforzi. La domanda, tuttavia, è dove tracciare il confine tra gli standard necessari e la formazione utile, rispetto alla protezione di alcuni gruppi dal proprio primato, esclusività, autorità e severo dogma.
4 - OFFRIRE UNA CASA AI PRATICANTI ZEN CHE SONO RIFUGIATI IN FUGA DALL’
ISTITUZIONALISMO, DALLA POLITICA DELLA SETTA E DALLO SCANDALO IN CERTE PARTI
DEL MONDO ZEN.
Nishijima ha fornito un rifugio a molti vibranti insegnanti Zen che erano esclusi o isolati all'interno di altri gruppi Zen in Europa, America
e Giappone . Le circostanze erano diverse: persone che fuggivano dalla politica
interna e dalla faziosità nel Sangha dove avevano praticato per la prima volta;
quelli bloccati da soffitti di vetro e corporazioni chiuse in Giappone e
altrove; Giapponesi disinteressati ad unirsi alla "cultura
funeraria"; quelli che fuggivano da comportamenti cultuali e insegnanti
non etici; Clero cristiano interessato a praticare lo Zen come cristiani; dotati preti
e insegnanti Zen interessati a combinare la pratica Zen con la casa, il
lavoro e la vita "nel mondo" senza desiderio o ambizione di
formazione monastica; e persone alienate dalle interpretazioni dottrinali e dai
dogmi che incontravano in altri gruppi. Mi riferisco spesso a questo gruppo,
molto vario per carattere e personalità, come "L'isola dei giocattoli Zen
disadattati" (con riferimento a un vecchio programma per bambini negli
Stati Uniti visto ogni anno a Natale, su un'isola dove andavano tutti i
giocattoli rotti e disadattati vivere nella bottega di Babbo Natale fino a
quando non trovavano una casa). Nishijima ha fornito una casa a queste persone,
ognuna molto devota a questo percorso Zen nel suo modo sincero. Il nostro
Sangha Treeleaf e gli altri studenti di Nishijima continueranno a servire come
porto sicuro per altri "giocattoli disadattati" in futuro.
5 - RISPETTO PER LA TRADIZIONE, E RICERCA
DI NUOVE ESPRESSIONI ADATTE AI TEMPI MODERNI E ALLA CULTURA OCCIDENTALE.
Nishijima era completamente impregnato dello spirito di Dogen, è stato (con il suo
allievo Chodo Cross) il traduttore dello Shobogenzo di Dogen in giapponese
moderno e inglese, sostenendo che il maestro Dogen aveva trovato il modo di
esprimere gli insegnamenti Buddhisti raramente ascoltati fino a quel momento.
Tuttavia, nonostante la sua profonda fiducia negli insegnamenti di Dogen,
Nishijima non fu mai prigioniero di Dogen. Tra i tanti preziosi insegnamenti di
Dogen che sono senza tempo e sopravvivono ai secoli, Nishijima sapeva che gli
altri erano principalmente le opinioni e le espressioni di un uomo che viveva
nella società e nelle superstizioni del Giappone del XII secolo. Quelli degli
scritti di Dogen diretti principalmente alla sua banda di monaci a Eiheiji e
altrove devono essere affiancati alle altre dichiarazioni di Dogen che
riconoscono la possibilità della pratica Zen per le persone in tutte le
situazioni della vita. Gli insegnamenti di Dogen non sono solo per i monaci
isolati sulle montagne innevate, ma per tutti noi. Le sue parole, se fossero
appropriate solo alla sua epoca e alla sua cultura, dovrebbero essere lasciate
ai suoi giorni e alla sua cultura. Il Buddhismo e gli insegnamenti di Dogen
possono essere portati alla luce e adattati ai nostri luoghi e ai nostri tempi.
Non è così anche per gli insegnamenti di tanti dei nostri antenati Zen oltre Dogen?
Ricordo, ad esempio, che una volta chiesi a Nishijima il "modo
giusto" per condurre un "funerale Soto Zen" per un buon amico
che era morto in America. Nishijima mi ha detto che alla fine avrei dovuto fare
un nuovo rituale sincero per onorare il mio amico. Ha detto ai suoi studenti in
America, Europa e altrove di fare le cose in modo sincero e adatto alle nostre
culture e società, ispirati forse dalla tradizione, ma trovando nuovi modi per
esprimere lo stesso .
6 - INTERPRETAZIONE DELLO ZAZEN COME
REALIZZAZIONE DELLA REALTÀ STESSA.
Un aspetto chiave degli insegnamenti di
Dogen che Nishijima ha abbracciato completamente, e tutti i suoi studenti con
lui, è che Zazen è il compimento della Realtà stessa. Su questo, non c'è più
bisogno di dire altro qui.
7 - ALLA RICERCA DI UN TERRENO COMUNE E
DELLA COMPATIBILITÀ DEGLI INSEGNAMENTI BUDDISTI, ZEN E ZAZEN CON LA FILOSOFIA E
LA SCIENZA OCCIDENTALI.
Come DT Suzuki, Masao Abe e altre figure Zen giapponesi
del suo tempo, Nishijima pensava che gli insegnamenti Zen potessero essere
meglio presentati a un pubblico occidentale tramite la ricerca di un terreno
comune con la filosofia occidentale. Anni prima che fosse comune sottoporre i
meditanti alle macchine per la risonanza magnetica, Nishijima parlò dei
legami dello Zazen col cervello e il sistema nervoso umano, influenzato
dall'allora ricerca all'avanguardia sulla meditazione e dalla cosiddetta
"risposta di rilassamento" del professor Herbert Benson di Harvard e
altri. Tuttavia, vorrei dire onestamente che Nishijima non era un filosofo
professionista né uno scienziato preparato. Ha cercato di esprimere dal
profondo del proprio cuore tutto ciò che ha conosciuto nello Zazen. Per questo
motivo, ha parlato spesso in modo molto personale e forse troppo semplificato
sia su concetti filosofici occidentali e, come un laico scientifico, su ciò che
accade nel corpo e nel cervello. È solo negli ultimi anni che siamo arrivati a
capire che molti sistemi fisiologici e neurologici separati sono in realtà
interconnessi in modi complessi, ognuno dei quali viene entra in ballo con lo
Zazen e la meditazione. Tuttavia, Nishijima rappresenta l'incontro e la
compatibilità fondamentale dei principi buddisti con il metodo scientifico.
La "fede sacra e amata" di una persona possono essere "l'abracadabra e le sciocchezze" di un'altra persona. A volte pratiche e leggende apparentemente esotiche possono possedere un potere psicologico e una poesia che apre il cuore dell'uomo, anche se non sono “letteralmente vere”. Pur riconoscendo questo fatto, Nishijima Roshi ha cercato di presentare la pratica Zen libera da credenze e ingenue superstizioni, pretese esagerate e miti idealizzati mascherati da eventi storici anche nelle nostre tradizioni Zen, che possono seppellire e nascondere la vera forza della nostra pratica Buddista in un mucchio di ignoranza e stoltezza. Io e molti dei suoi altri studenti ci uniamo a lui in questo proposito.
In questi otto modi, e in molti altri, Gudo Wafu Nishijima ha cambiato il Buddismo Zen e continua a farlo. La sua eredità vive nei suoi numerosi studenti sparsi in tutto il mondo e i suoi insegnamenti arricchiranno e trasformeranno ancora la nostra tradizione nel futuro.
English Version
Obituary of
Nishijima from 2014 by Jundo Kohen
Eight Ways GUDO WAFU NISHIJIMA Will Help Change ZEN BUDDHISM
My Teacher, GUDO WAFU NISHIJIMA ROSHI, died this month, age 94. In manner, he was a soft spoken, gentle, conservative man of his times, born nearly a century ago in Taisho era Japan. In action, he was a perceptive visionary of the future of Buddhism, a great critic of the state of Zen in modern Japan and an outspoken Buddhist reformer (even if largely ignored by the Zen establishment). His students are not all cut of the same cloth, not by any means. Yet I believe his legacy will carry on through many of us in the following eight ways and more.
In a series
of essays in the coming weeks, I hope to expand on each of these points. I will
not assert that all are original ideas to Nishijima alone. There are many other
folks these days who share such views to varying degrees. Nonetheless, what was
unique about Nishijima Roshi was how thoroughly and energetically he called for
a new vision of Zen Buddhism. Suchness transcends time, place and change, while
Buddhist Truth is not dependent on outer wrappings. Yet, Buddhist traditions
and practices must constantly change as they encounter new times, places and
cultures. I believe that these eight changes which Nishijima symbolizes will
have lasting effects on the future of Zen in the West; and Treeleaf Sangha,
where I am one teacher, is dedicated and committed to their furtherance.
2 – FINDING OUR PLACE OF PRACTICE AND TRAINING “OUT IN THE WORLD”: For thousands of years, it was nearly impossible to engage in dedicated Zen practice except in a monastic setting, to access fellow practitioners, teachers and teachings, to have the time and resources and economic means to pursue serious practice, except by abandoning one’s worldly life. By economic and practical necessity, a division of “Priest” and “Lay” was maintained because someone had to grow the food to place in the monks’ bowls, earn the wealth to build great temples, have children to keep the world going into the next generation. Although Mahayana figures like Vimalakirti stood for the principle that liberation is available to all, the practical situation was that only a householder with Vimalakirti’s wealth, leisure and resources might have a real chance to do so. Now, in modern societies with better distributions of wealth (compared to the past, although we still have a long way to go), ‘leisure’ time, literacy and education, media access and means of travel and communication across distances, many of the economic and practical barriers to practice and training have been removed. This is the age when we may begin to figuratively “knock down monastery walls”, to find that Buddha’s Truths may be practiced any place, without divisions of “inside” walls or “outside”. For some of us, the family kitchen, children’s nursery, office or factory where we work diligently and hard, the hospital bed, volunteer activity or town hall are all our “monastery” and place of training. We can come to recognize the “monastery” located in buildings made of wood and tile as in some ways an expedient means, although with their own power and beauty too. There are still times when each of us can benefit from periods of withdrawal and silence, be it a sesshin or ango, or the proverbial grass hut in distant hills. Yes, this Way still needs all manner of people, each pursuing the paths of practice suited to their needs and circumstances, be they temple priests catering to the needs of their parishioners, hermits isolated in caves, celibate monks in mountain monasteries, or “out in the world” types demonstrating that all can be found right in the city streets and busy highways of this modern world. Nishijima, a zen priest yet a working man, a husband and father most of his life, stood for a dropping of “inside” and “out”. He was someone that knew the value of times of retreat, but also the constant realization of these teachings in the home, workplace and soup kitchens.
3 – SAVING ZEN PRACTICE FROM THE ‘FUNERAL CULTURE’ DOMINANT IN JAPAN & THE CREEPING INSTITUTIONAL “CHURCHNESS” APPEARING IN THE WEST: Buddhist priests in Japan play an important role in soothing the hearts of their parishioners during times of mourning. Funerals and memorial services are important aspects of Japanese tradition, as in all cultures. However, Japanese Zen, and other flavors of Buddhism, have become excessively focused on “funeral culture”, almost to the exclusion of all else. Except for shining lights scattered here and there who try to keep the ways of Dogen and Zazen alive, most Japanese Soto Zen priests do not even bother with the sitting of Zazen after their youthful training stint in the monastery. The massive Buddhist institutions of Japan, including the Rinzai and Soto schools, have become licensing guilds turning out conveyor belt priests (usually temple sons compelled into training in order to take over the “funeral business” franchise of their family’s managed temple). Nishijima was ordained and received Dharma Transmission from Rempo Niwa Zenji, the then Abbot of Eihei-ji, the senior Soto Zen monastery. Niwa was then the de facto “Pope” of the Soto Sect yet, knowing that Nishijima was a critic of the whole system he headed, Niwa nonetheless empowered Nishijima as a teacher based on Niwa’s own shared desire to help reform Soto Zen. Right now, in America and Europe, there is a tendency among some big Zen institutions to also grow into large zen “churches”, institutions concerned with preserving their own views of doctrinal “Orthodoxy”, with preserving their status, the authority of their priests, their rights to determine the legitimacy of Ordinations, all by themselves establishing domestic systems of guild membership. Many zen groups in America and Europe often seem to have become too concerned with preserving their turf, donations and influence within the Zen world, acting sometimes “more Japanese than the Japanese”, filled with cliquishness, politics and an “old boys club” attitude toward rooting out the few bad apples of ethical violators. Some other Zen groups have been downright “cultish” in their behavior (we should not be afraid to call a spade a spade on this issue). Of course, the maintenance of basic standards for priest training and ethics are very necessary and to be applauded. Our Treeleaf Sangha fully supports such efforts. The question, however, is where to draw the line between needed standards and helpful training, versus certain groups’ protecting their own primacy, exclusivity, authority and narrow dogma.
4 – OFFERING A HOME TO ZEN FOLKS WHO ARE REFUGEES FROM INSTITUTIONALISM, SECT POLITICS AND SCANDAL IN CERTAIN PARTS OF THE ZEN WORLD: Nishijima provided a haven for many vibrant Zen teachers who were excluded or isolated within other Zen groups in Europe, America and Japan. The situations took many forms: people fleeing the internal politics and factionalism in the Sangha where they first practiced; those blocked by glass ceilings and closed guilds in Japan and elsewhere; Japanese uninterested in joining “funeral culture”; those fleeing cultish behavior and unethical teachers; Christian clergy interested in practicing Zen as Christians; gifted Zen priests and teachers interested in combining Zen practice with home, work and “in the world” life without desire or ambition for monastic training; and people alienated by the doctrinal interpretations and dogma they were encountering in other groups. I often refer to this bunch, very diverse in character and personality, as the “Island of Misfit Zen Toys” (referring to an old children’s program in the US seen each year at Christmas, about an island where all the broken and misfit toys went to live from Santa’s workshop until they found a home). Nishijima provided a home to such folks, each very devoted to this Zen path in his or her own sincere way. Our Treeleaf Sangha, and Nishijima’s other students, will continue to serve as a haven for other “misfit toys” in the future.
5 – A RESPECT FOR TRADITION, YET AN EMPHASIS ON FINDING BRAND NEW EXPRESSIONS SUITABLE FOR MODERN TIMES AND WESTERN CULTURE: Nishijima was thoroughly imbued with the spirit of Dogen, was (with his student Chodo Cross) the translator of Dogen’s complete Shobogenzo into modern Japanese and English, and held that Master Dogen had found ways to express the Buddhist teachings rarely heard until that time. Nonetheless, despite his profound trust in the teachings of Dogen, Nishijima was never a prisoner of Dogen. Among the many treasured teachings of Dogen which are timeless and survive the centuries, Nishijima knew that others were primarily the views and expressions of a man living amid the society and superstitions of 12th century Japan. Those of Dogen’s writings directed primarily to his band of monks at Eiheiji and elsewhere must be placed side by side with Dogen’s other pronouncements recognizing the possibilities of Zen practice for people in all situations in life. The teachings of Dogen are not simply for monks isolated in the snowy mountains, but are for all of us. His words, if appropriate only to his day and culture, should be left to his day and culture. Buddhism, and Dogen’s teachings, can be brought forth and adapted for our places and times. Is this not so for the teachings of so many of our Zen ancestors beyond Dogen as well? I remember, for example, asking Nishijima once about the “right way” to conduct a “Soto Zen funeral” for a good friend who had died in America. Nishijima told me that ultimately I should make a new, heartfelt ritual to honor my friend. He told his students in America, Europe and elsewhere to do things in sincere ways suitable for our cultures and societies, inspired by tradition, perhaps, yet finding new ways to express the same.
6 – AN
INTERPRETATION OF ZAZEN AS THE FULFILMENT OF REALITY ITSELF: One key aspect of
Dogen’s teachings that Nishijima fully danced, and all his students dance with
him, is that Zazen is the fulfillment of Reality itself. On that, nothing more
is in need of saying here.
7 – LOOKING FOR COMMON GROUND AND THE COMPATIBILITY OF BUDDHIST TEACHINGS, ZEN AND ZAZEN WITH WESTERN PHILOSOPHY AND SCIENCE: Like D.T. Suzuki, Masao Abe and other Japanese Zen figures of his time, Nishijima thought that Zen teachings could best be introduced to a Western audience via finding common ground with Western philosophy. Years before it was common to load meditators into MRI machines, Nishijima spoke of the connection of Zazen to the brain and human nervous system, influenced by the then cutting-edge research on meditation and the so-called “relaxation response” by Harvard’s Dr Herbert Benson and others. However, I wish to say honestly that Nishijima was not a professional philosopher nor a trained scientist. He tried to express from his own heart all encountered in Zazen. For that reason, he frequently spoke in very personal and, perhaps, too simplified ways on both Western philosophical concepts and, as a scientific layman, about all that is happening in the body and brain. It is only in recent years that we have come to understand that many separate physiological and neurological systems are interlinked in complex ways, each coming to play in Zazen and meditation. Nevertheless, Nishijima stood for the meeting and fundamental compatibility of Buddhist tenets and scientific method.
8 – AVOIDING SUPERSTITION, FANTASY, MIRACLES & MAGICAL INCANTATION IN BUDDHISM: One person’s “sacred and cherished belief” is another person’s “hocus-pocus and nonsense”. Sometimes seemingly exotic practices and legends can possess a psychological power and poetry which opens the human heart, even if not “literally true”. While recognizing that fact, Nishijima Roshi sought to present Zen practice freed of naive beliefs and superstitions, exaggerated claims and idealized myths masquerading as historical events even in our own Zen traditions, all of which can bury and hide the very real power of our Buddhist way in a pile of ignorance and foolishness. I, and many of his other students, join him in that task.
In such eight ways, and many others, Gudo Wafu Nishijima changed Zen Buddhism and continues to do so. His legacy lives on in his many students around the world and his teachings will further enrich and transform our tradition into the future.
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