sabato 30 dicembre 2023

Il Karate a me piace così

Premessa del Maestro Paolo Taigô Spongia all'articolo:

"Qualche tempo fa un amico condivise con me  questo post del Maestro Ilio Semino che era stato pubblicato su di un gruppo dedicato alle 'arti marziali' (uno di quei tanti gruppi dove chi pratica poco parla molto...).
L'ho molto apprezzato.
Il post era evidentemente indirizzato in risposta a tutti coloro che hanno la mania dell'efficacia, della difesa personale, dei confronti tra le arti marziali, a quelli che credono che Van Damme sia un artista marziale e che l'arte marziale sia quella che vedono nei film... e che, per lo più avendo praticato poco o nulla, pontificano dall'alto della loro incompetenza e nutrono complessi d’inferiorità nei confronti di altre discipline da combattimento.
Insomma in poche parole quelli che sono rimasti alla 'fase anale' delle arti marziali, come mi piace definirla citando il buon Freud.
A beneficio di coloro che fanno fatica a capire quanto leggono premetto che l'incipit del testo è evidentemente paradossale e dà l'avvio alla provocazione.
Perchè non è affatto vero, almeno per quel che riguarda il vero karate che 'le parate non servono', 'i colpi sono finti' e ' 'i kata non servono a niente'.
Nel caso del Karate sportivo è poi verissimo che :
'le parate non servono', 'i colpi sono finti' e ' 'i kata non servono a niente'... perchè per le necessità del gioco sportivo non hanno alcun senso nella loro interpretazione marziale.”

Da questa provocazione iniziale l'autore sviluppa una splendida riflessione (tratta da karatedomagazine ) che riproponiamo qui.


Karate, a me piace cosi com’è: con le sue cerimonie, i suoi dogmi, la sua filosofia, il suo abito tradizionale, le cinture e le parole giapponesi. Le tecniche ripetute infinite volte, le parate che non servono, le posizioni inutili, i colpi che sono “finti” e i kata, che non si sa perché si pratichino, visto che non servono a niente.

Però, da oltre cinquant’anni, a me piace così e lo faccio con impegno e diligenza. Mi divertono quella specie di combattimenti dove chi attacca dice che cosa fa e l’altro para perché lo sa già; le applicazioni dei kata che sono veramente improponibili, perchè i cattivi stanno lì ad aspettare di prenderle mentre il “fenomeno” li colpisce, per finta ovviamente, con tecniche che, se fossero utilizzate sui ring o nelle gabbie, farebbero morire dal ridere il tatuato avversario di turno. A me stimolano la creatività, la fantasia, l’intuizione, anche se non servono a nulla. Mi è piaciuto praticarlo da ragazzo, perché non venivo emarginato per un mio difetto fisico, come era accaduto in altri “sport”, anzi! Esperti e competenti karateka mi sostenevano e incoraggiavano a continuare, considerandomi uno del “gruppo”, trattandomi e colpendomi in allenamento come colpivano i “normali”, senza sconti, per essere poi contenti quando i colpi li subivano loro. Mi piace insegnare Karate come l’ho imparato da Maestri che credevo inarrivabili e invincibili, che rispettavo e invidiavo e che mai avrei potuto immaginare che un giorno mi avrebbero stimato e rispettato e considerato come uno di loro. 

Conoscerlo mi ha consentito di proporlo ad altri che non credevano in loro stessi, che avevano bisogno di un esempio e di qualche cosa che li aiutasse a superare i loro disagi, fisici o sociali o psicologici e che, grazie anche a Karate, sono stati meglio e poi hanno continuato a praticarlo con entusiasmo.

Amo Karate perchè spesso mi ha consolato e ancora oggi mi consola, mi tiene compagnia, mi induce a leggere e studiare e approfondire, a migliorarne alcuni aspetti, a fare nuove conoscenze, mi stimola a essere una persona migliore, più aperta e disponibile verso gli altri… Mi riscalda il cuore.

Praticare la tecnica di Karate mi fa muovere il corpo nella maniera in cui, per età e acciacchi mi è possibile fare, senza giudicarmi, senza pretendere di più, se non la certezza del mio impegno: mi lascia decidere se dimostrare pubblicamente, con tanta fatica e molti errori, quello che sono capace di fare, ovvero mi consente di lasciare intendere di essere bravissimo, affermandolo senza farmi vedere da nessuno. A lui non importa: lascia che sia una decisione mia, una mia responsabilità. 

Non so se i miei anni di karate e tutti quegli inutili esercizi, mi permetterebbero di difendermi da un’aggressione sbaragliando il delinquente. Mi illudo che potrebbero servirmi a evitarla, a negoziare una soluzione non violenta, ovviamente, assecondando il rapinatore ed evitando che qualcuno si ferisca, sinceramente non lo so… Ma se un giorno accadesse e tutto questo non mi dovesse servire, me ne farò una ragione, consapevole del fatto che Karate non costruisce superuomini invincibili, ma cerca di far sì che le persone crescano giuste, sincere, garbate, socialmente positive e in salute per un tempo piu lungo possibile.

Maestro Ilio Semino











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domenica 24 dicembre 2023

Competizione sì, competizione no

 Competizione sì, competizione no

L’opinione del Maestro Paolo Taigō Spongia

 


Vorrei una volta per tutte chiarire il mio pensiero riguardo l'esperienza competitiva nella pratica del Karate.
Spesso sono stato molto netto nelle mie affermazioni al punto che molti hanno pensato che io sia completamente contrario alla competizione in qualsiasi forma.
Non è affatto così.
Io stesso ho partecipato fin dall'adolescenza a moltissime competizioni di Karate e poi di Kick Boxing full contact.
Nel Full Contact la mia ultima competizione fu nel 1988, quando avevo 26 anni e già fondato il Tora Kan Dojo, a Bergamo in cui mi confrontai al Campionato Italiano (vedi foto al termine dell’articolo).
Ho passato quasi tutti i fine settimana della mia giventù nei palazzetti dello sport a prenderle e a darle.
L'esperienza competitiva, specie nella fase adolescenziale, mi è molto servita per confrontarmi con le mie paure, insicurezze etc... e gareggiavo solo per quello, il risultato mi interessava molto meno.
D'altronde in quegli anni era l’unica esperienza che offriva il mondo del Karate italiano, il vero Karate di Okinawa era ancora un lontano miraggio (anche se già quindicenne ero convinto che prima o poi avrei incontrato il vero Karate che non poteva essere quello che mi vendevano allora).

Sin dalle prime esperienze di gara adolescenziali rimasi molto perplesso sia dai regolamenti, che mi sembravano estremamente limitanti nell'espressione tecnica e combattiva del Karate, sia nei confronti dell'ambiente che le federazioni avevano coltivato intorno al mondo delle gare :

- arbitri molto spesso impreparati, in genere era la pippa della palestra, quello che non era all'altezza di essere un buon agonista o un sufficiente tecnico che veniva scelto e motivato per fare la carriera arbitrale, e peraltro molti di questi si sono poi anche ritrovati scandalosamente graduati e qualificati ad insegnare per convenienze politico-federali.

- arbitri impreparati appunto e che proprio per questo subivano facilmente la manipolazione e il condizionamento dei maestroni di turno e delle politiche federali diventando degli esecutori delle ‘direttive superiori’ sulla pelle dei ragazzi che si scontravano in gara dopo tanti sacrifici.

- la politica federale che era sempre dietro ai risultati agonistici e che condizionava pesantemente i risultati di gara grazie, come detto, alla condiscendenza arbitrale e al regolamento che offriva una discrezionalità assoluta da parte dell’arbitro sull’esito di un incontro.

- i maestri di quel genere di Karate che pur di vincere medaglie per la loro palestra erano disposti a sotterfugi, a manovre politiche a intrallazzi arbitrali... per non parlare delle scene che si vedevano puntualmente con atteggiamenti irrispettosi e rissosi nei confronti degli arbitri sia da parte dei ‘maestri’ che degli atleti. Insomma tutto fuorchè un ambiente che rispettava i principi morali ed etici nonché educativi che dovrebbero essere basilari per un Karateka.

- Infine gli 'atleti' (non chiamiamoli Karateka per favore) che sapevano portare due o tre tecniche in cui si erano specializzati, per lo più gyaku zuki, uraken uchi, mawashi geri e poco altro, qualcuno, anche tra i campioni non l'ho mai visto tirare altro che gyaku zuki.
Inoltre le simulazioni erano uno strumento utilizzatissimo per guadagnare punti e ammonizioni per l'avversario che spesso facevano la differenza tra la vittoria e la sconfitta, ovvero vincevi prendendole o simulando di averle prese… alla faccia dello spirito guerriero.
Una roba che mi faceva orrore e disgusto, a me che pur essendo un ragazzo fondamentalmente insicuro non solo accettavo di competere dovunque proprio per affrontare i miei limiti ma che mi sarei vergognato come un ladro se avessi guadagnato un solo punto disonestamente e che rimanevo impassibile mentre il sangue mi colava dal naso per un colpo non controllato perché l’errore per me era stato il mio che mi ero fatto sorprendere e non dell’avversario...
Ho visto vincere campionati italiani e mondiali da atleti che guadagnavano almeno 1 punto ad ogni combattimento grazie alle simulazioni (agevolate dalla suddetta incapacità arbitrale) e altri punti portando solo una tecnica...

Detto questo, frutto di diretta esperienza da atleta e insegnante, la competizione nella forma che ho descritto, e che è quella che ancora impera nel mondo del Karate-sport, è a mio parere non solo l’espressione di uno sport da combattimento con tali limiti e aberrazioni da far fatica a rientrare dignitosamente nel novero dei suddetti sport (la continua esclusione dagli sport olimpici ne è la prova evidente) ma è assolutamente antieducativa sia sotto il profilo tecnico che quello etico e morale.

Fatta questa lunga ma necessaria premessa ecco il mio pensiero riguardo alla competizione:

L'esperienza competitiva può essere per i più giovani un importante strumento educativo e formativo, specie per quel che riguarda le qualità psicologiche ed emotive del Karateka.

Ma alle seguenti condizioni:

- Il regolamento di gara deve essere studiato e distillato da parte di Maestri molto esperti nell'ambito del programma tecnico e didattico della stessa Scuola e deve far sì che il Karateka non debba sacrificare alcun aspetto della propria preparazione globale nel vasto curriculum tecnico del Karate tradizionale di Okinawa al fine di specializzarsi in poche tecniche che fruttano punteggio.
Per far questo la competizione deve prevedere, per quel che riguarda il combattimento, se non il contatto pieno, quantomeno un significativo contatto (ad evitare tutte le aberrazioni e manipolazioni facilitate dal cosiddetto fantomatico e strumentale 'controllo dei colpi'), deve inoltre prevedere tutte le distanze del combattimento fin'anche la lotta a terra (entro certi limiti) in modo da ampliare il bagaglio dell'esperienza tecnica e strategica del Karateka e costringerlo a sviluppare una tecnica da combattimento vasta e completa e il più possibile vicina ad una situazione di combattimento reale.
Le gare di Kata le eviterei ma se proprio si volessero organizzare gli allievi dovrebbero essere premiati perchè eseguono il Kata qualitativamente e tecnicamente secondo i rigorosi canoni di valutazione che sarebbero adottati in occasione di un esame di passaggio di grado nell’ambito della stessa Scuola. Pertanto le competizioni di Kata dovrebbero essere solo nell'ambito dello stesso stile e della stessa scuola (altrimenti i parametri potrebbero variare di molto e si ricadrebbe in quella discrezionalità che favorisce le aberrazioni di cui sopra).
Nella IOGKF Italia e internazionale abbiamo sperimentato in alcune occasioni delle formule di gara che prevedevano il confronto nel combattimento e nel Kata durante ogni incontro, pertanto chi vinceva la gara doveva essere senza dubbio molto preparato in entrambe le espressioni di esercizio primarie del Karate: il Kata e il combattimento.

- I competitori devono essere valutati dagli stessi Maestri nell'ambito della stessa scuola con i parametri suddetti e la competenza richiesta e non ultima l'onestà e assoluta imparzialità del giudizio.

Vi assicuro che non è un'utopia.

Nella IOGKF Italia, non solo i giudizi sono stati sempre imparziali e corretti ma addirittura a volte ero costretto ad ammonire alcuni Maestri che tendevano a penalizzare eccessivamente i propri stessi allievi perchè non esprimevano il meglio di loro stessi nell'incontro...
Ma questo atteggiamento onesto e neutrale può esserci solo nell'ambito di una Scuola seria ed onesta, composta da veri Maestri e praticanti che si rispettano e stimano e che hanno a cuore il far fare un'esperienza formativa ed educativa ai propri allievi, Non può essere contemplata nessun'altra finalità e questo non può certamente avvenire in un ambiente ibrido federale dove la politica e gli interessi economici sono la finalità dell'organizzazione delle gare.

Per concludere ritengo che l'esperienza competitiva, se espressa nell'ambito da me descritto e secondo i severi parametri che ho illustrato, sia un'esperienza certamente positiva e uno degli strumenti da poter utilizzare per la formazione ed educazione dei giovani e non toglierebbe nulla alla preparazione completa e rigorosa del praticante di Karate tradizionale.

Lo spirito dovrebbe essere quello espresso dal termine 'Shiai' ovvero: mi confronto con l'altro, grazie all'altro, per confrontarmi con me stesso, a prescindere dal risultato.
Tanto che e gare potrebbero anche essere organizzate a porte chiuse, senza pubblico (che porta sempre ad una ricerca di spettacolarizzazione fine a sé stessa), come tentò di fare il Maestro Barioli per il suo Judo-Educazione

Ma se la competizione assume le forme aberranti e diseducative che ho descritto lungamente all'inizio di questo articolo allora se ne può tranquillamente fare a meno, anzi se ne deve fare a meno, sfruttando appieno altri strumenti educativi nel Dojo...

Mi aspetto già l'obiezione da parte di qualche insegnante di 'Karate Tradizionale' (che con ogni probabilità non ha mai fatto l'esperienza della competizione e di un confronto reale) che l'arte marziale punta al combattimento reale e che quello di gara non potrà mai essere un
combattimento reale, per ovvi motivi di salvaguardia dei combattenti.
Verissimo, ma è anche vero che nel Dojo di Karate Tradizionale si adottano già varie forme di esercizio che puntano all'esecuzione di tecniche adatte ad un combattimento reale e pertanto l'esercizio competitivo, dello Shiai, nella forma più completa possibile che ho sopra descritto, servirebbe come esrecizio per confrontarsi con alcuni aspetti psicologici ed emotivi con i quali è difficile confrontarsi nell'ambiente familiare del Dojo, per quanto possa essere dura e realistica la pratica, e che sono determinanti anche in una situazione di cosiddetta ‘difesa personale’ o ‘combattimento reale’.
Solo un Maestro di grande esperienza e personalità, che a sua volta sia stato educato con tali mezzi (e non ne vedo molti in giro), può essere in grado di portare gli allievi nel Dojo a toccare quel limite e quella profondità di esperienza psico-emotiva che viene dall'aleatorietà e rischio di una situazione come quella competitiva.

Ricordate che quello che fa la differenza in un combattimento, ancor più in una situazione reale, è l'atteggiamento mentale, la capacità di controllare l'emozione quando si è sotto pressione di fronte all'aleatorietà e al rischio reale di rimanere feriti se non uccisi e conterà per l'80% al fine del risultato, la tecnica conterà il 20%... il resto sono chiacchiere e scuse per coprire la propria mancanza di esperienza.

Sono certo che un gran numero di cinture nere di karate e maestri che non si sono confrontati con sé stessi a sufficienza in situazioni in cui questi aspetti psicologici diventano predominanti, in una situazione di reale rischio rimarrebbero bloccati o comunque non sarebbero in grado di esprimere pienamente il potenziale che sono convinti di possedere e soccomberebbero.
Né è anche la prova il complesso di inferiorità che dimostrano i karateka che si dicono tradizionalisti nei confronti di discipline di combattimento in cui ci si confronta duramente come ad esempio le mma (che considero assai discutibili sotto il profilo educativo) come quando condividono sui social video di tali combattimenti nell'intento di dimostrare che nei loro Kata ci sono anche quelle tecniche… la dice lunga sull'insufficienza della loro preparazione di cui sono pienamente consapevoli, pur non ammettendolo per ovvi interessi di mercato.

"Puoi combattere solo nel modo in cui ti sei allenato..."
affermava Miyamoto Musashi

Spero di aver chiarito il mio pensiero al riguardo una volta per tutte.

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Le foto che seguono sono state scattate a Bergamo durante le semifinali e finali del Campionato Italiano di Kick Boxing Full Contact Wako del 1988. Spongia Sensei è quello in pantaloni blu. I
l suo avversario in semifinale (quello in pantaloni bianchi) sei mesi dopo vinse i giochi del Mediterraneo e meno di un anno dopo divenne campione del mondo dei mediomassimi …in gara il valore degli avversari e la sincerità dello scontro sono fondamentali per il valore dell’esperienza. 






 

© Tora Kan Dōjō















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venerdì 8 dicembre 2023

ll suono del fuoco

Proponiamo un articolo scritto da Maura Garau e pubblicato nel 2006 sul giornale del Tora Kan Dōjō 




Diversi anni fa, durante un seminario di Shiatsu, appresi i suoni associati ai 5 elementi naturali che sono alla base della Medicina Tradizionale Cinese (legno, acqua, metallo, terra, fuoco).

In seguito mi dimenticai dei suoni e del loro uso; non ne avevo capito a fondo il significato.

Un paio di anni fa [nel 2004 n.d.r.], quando partecipai per la prima volta ad una lezione di karate al Tora Kan Dojo, venne eseguito il kata Sanchin. E fu un esplosione di sibili, rumori e aspirazioni. Pe me un'esperienza molto strana. Venivo da una pratica di karate Shorin Ryu dove il suono quasi esclusivo era il Kiai... 

Sanchin mi fulminò. Ci misi un po' di tempo ad ''interiorizzarlo'' e poi, all'improvviso, durante un altro seminario di Shiatsu, mi resi conto che la vibrazione sonora di Sanchin corrisponde al suono dell'elemento FUOCO ASSOLUTO secondo la Medicina Tradizionale Cinese [MTC].

Decisi di fare una piccola ricerca per capire se il mio pensiero avesse delle basi fondate. 

Per primo contattai Sensei Spongia e gli chiesi di raccontarmi del suono di Sanchin.

Mi rispose con le seguenti parole: 

“...Il nostro suono viene dalla gola"  :-)

Le mie uniche informazioni sono le indicazioni che dà costantemente Higaonna Sensei sul terminare l'espirazione nella fase di kime  (questo anche in alcuni esercizi di Junbi Undo) aprendo la gola e quando questo viene fatto correttamente si produce il suono hat oppure uat.

Naturalmente visto che per produrre quel suono si deve atteggiare la gola in un certo modo è vero anche l'inverso (dal suono risalire all'esecuzione).

Dalla mia personale ricerca risulta che in alcuni esercizi Yoga di Pranayama è richiesto lo stesso tipo di espirazione, con apertura della gola, per liberare dei canali energetici. Inoltre l'inspirazione del Sanchin: stringendo le narici e spingendo l'aria in un punto in alto nel naso, coincide sempre col Pranayama che sostiene che in questo punto in cui si dirotta l'aria, e che spontaneamente si utilizza quando si 'annusa', per esempio un fiore, è il punto in cui viene intercettato il Ki dell'aria...”

Poi contattai Eva Maria Schulze, insegnante di Shiatsu dell'Istituto Europeo di Shiatsu in Svizzera, la quale per prima mi fece sentire i diversi suoni degli elementi alla base della MTC; le chiesi se la vibrazione sonora che avevo sentito in Sanchin - “hat” o “uat” - potesse essere interpretata come suono del Fuoco Assoluto.

Segue la traduzione della sua risposta:

“Ho imparato i "suoni degli elementi" dagli insegnanti di Ohashiatsu [il Centro di Shiatsu di Sensei Ohashi a New York n.d.t.], mentre ero una studentessa e poi quando sono diventata assistente-istruttore a New York. Tutti loro conoscevano i suoni e li insegnavano con speciali indicazioni quali la pronuncia e come lasciare andare il respiro fino alla fine del suono anche se questo non è quasi più udibile. Dalle mie ricerche personali ho notato che i suoni assomigliano molto a quelli usati da Mantak Chia nel Qi Gong terapeutico, ma con delle sfumature diverse.

Riporto di seguito la pronuncia di questi suoni nel codice fonetico internazionale per l’apprendimento delle lingue:

Metallo = hsss, come il suono di un serpente

Terra = whoo, come u; come il suono scuro di un flauto di bambù

Fuoco assoluto = xo (oppure ch come nel tedesco "ach") la o è aperta come nell’inglese 

"often", e l’inizio è brusco per spingere la x

Acqua = fhhhh, come il rumore del risucchio attraverso una cannuccia – pulisce i polmoni

Fuoco supplementare = xiiii... (come il Tedesco ich), una “i” alta – si attorciglia intorno come la fiamma di un fuoco che non si può approcciare 

Legno = morbido, shhhhh (come nel tedesco "schon") a volte diventa un fischio leggero come un soffice vento primaverile”

Anche se la grafia è differente, sentendo pronunciare il suono “xo” si nota una forte somiglianza con “hat” o “uat”.

In seguito contattai Pauline Sasaki, (fondatrice del Quantum Shiatsu), chiedendole se i suoni utilizzati nello Shiatsu potevano ricondursi ai suoni della MTC e del Qi Gong, e se il suono “hat” o “uat” potesse essere quello del Fuoco Assoluto. Mi rispose che lei conosce i suoni del Qi Gong e che sono un po’ diversi da quelli definiti nello Shiatsu e MTC, tuttavia, a volte la differenza nasce solo da una grafia diversa. 

In questo senso il suono “hat” o “uat” potrebbe ricondursi  a quello del Fuoco Assoluto.

E parlando di Qi Gong, durante il seminario di Sensei Leijenhorst a Roma, la scorsa primavera, chiesi anche a lui se il suono di Sanchin potesse essere classificato come suono del Fuoco.

Mi rispose che secondo lui era molto plausibile. Inoltre, aggiunse, il percorso della respirazione di Sanchin è il percorso di Fuoco quindi ha senso pensare che il suono di Sanchin esprima l’elemento Fuoco. 

Segue illustrazione sul percorso di Fuoco dell’energia. Nel Qi Gong, questo percorso è considerato la via naturale in cui l’energia circola nel corpo; nella meditazione chiamata “piccola circolazione” il respiro accompagna l’energia attraverso il percorso di Fuoco (in breve, dal punto Huiyin, fra la zona genitale e anale, l’energia sale lungo la parte esterna al centro della schiena e testa, transita, attraverso la lingua, nella zona frontale e addominale per tornare al punto Huiyin e ripartire).


Illustrazione tratta da “The root of Chinese Chi Gong” del  Dott. Yang Jwing-Ming, Edizioni YMAA

Volli approfondire con un ultima breve intervista e contattai Paola Wu Min, direttrice del Centro di Tai Chi “Cielo e Terra” a Roma.

Essendo di madrelingua cinese, mi chiarificò il fatto che in queste discipline molto spesso la grafia cambia rispetto al suono ma la radice rimane e che secondo lei il suono “uat” o “hat” può corrispondere a quello del Fuoco Assoluto nella MTC.

A questo punto, qualcuno si chiederà, perché è così importante sapere se il suono di Sanchin corrisponde al Fuoco Assoluto??

Secondo la MTC e il sistema dei meridiani dello Shiatsu di Sensei Masunaga, il Fuoco Assoluto “è legato alla funzione di interpretazione e assorbimento/assimilazione. Ci concede la facoltà di portare informazioni e stimoli nel nostro “centro”, interpretarli, integrarli e convertirli in modo da esprimere noi stessi a partire dal nostro “centro”. (Istituto Europeo Di Shiatsu - Roma)

A livello fisico, coinvolge il sistema nervoso centrale ma soprattutto (secondo la MTC) l’intestino tenue e il cuore. Nella medicina occidentale, stimoli e informazioni vengono trasmessi al cervello (“centro” del sistema nervoso centrale); il cervello interpreta ed integra  le informazioni ricevute, elabora una risposta appropriata e la trasmette all’esterno; nella Medicina Tradizionale Cinese, è soprattutto l’intestino tenue che, (come con la scelta e assimilazione delle sostanze nutritive), sceglie le informazioni che possiamo integrare, “fare nostre”, e quelle che non ci appartengono. In tal modo l’intestino tenue “protegge” il cuore e, quando c’è equilibrio, “assimila solo ciò che è in linea con il sentire del cuore, in modo che poi il cuore possa esprimersi a pieno, con integrità”. Il cuore è il vero centro della nostra assimilazione.

A livello emotivo il Fuoco Assoluto rappresenta la consapevolezza di noi stessi: sentire quali sentimenti, valori e virtù ci appartengono e quali no; sentirci in pace con noi stessi e con  l’universo.

A livello mentale il Fuoco Assoluto rappresenta la coscienza e la consapevolezza: sapere chi siamo, avere una chiara idea di noi stessi e dell’Universo.

A livello spirituale, il Fuoco Assoluto (il Cuore) è la residenza dello “Shen degli Shen” (lo Spirito degli Spiriti) o della consapevolezza: dimora dello Spirito, o Mente più alta e più luminosa che ci accompagna. Lo Shen ci fa essere in armonia con noi stessi e ci rende Uno con l’Universo (integrazione totale di tutte le nostre parti, e di noi stessi con l’Universo). Espressione spirituale del Fuoco Assoluto è la meditazione.

In senso più alto, quando c’è equilibrio, il Fuoco Assoluto corrisponde all’allineamento fra i nostri pensieri e le nostre azioni. Fra le nostre azioni e i valori più profondi del nostro centro. 

Comunità di azione e intenti. Senza frammentazione. 

Sembra una cosa ovvia, ma non sempre lo è.

Così adesso, ogni volta che mi capita di praticare il kata Sanchin, mi ricordo del suono, mi ricordo della respirazione, mi ricordo del Fuoco... mi ricordo della comunità di azione e intenti... e mi ricordo chi sono... e anche se non so dove vado, so che agire con integrità e unità fa un’enorme differenza…


© Tora Kan Dōjō


















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