venerdì 29 marzo 2024

La Via della non-paura

Pubblichiamo l'estratto di un Insegnamento offerto da Taigô Kônin Sensei durante la Pratica Zen.

Si dice che il grande dono che offre la Pratica Zen sia quello della non-paura.
La non-paura può verificarsi soltanto se si vive completamente nel presente.
Nel presente non può esserci paura, quanto meno non la paura che irretisce, che offusca il pensiero, offusca le scelte, irrigidisce il corpo.
La paura è una conseguenza della mente che è rimasta legata e condizionata da eventi passati o che è in ansia e proiettata verso il futuro. Se la mente è completamente concentrata sul presente non c’è spazio per la paura perché davanti ai nostri occhi appare chiaro quello che c'è da fare, e siamo spinti alla giusta fermezza, alla giusta determinazione.
Senza fermezza, senza determinazione, senza energia, non esiste nessuna pratica e nessuna vita degna di tale nome.
La vita non deve essere subita, deve essere vissuta... in ogni condizione possibile, nella salute come nella malattia. Non c'è nulla che siamo costretti o tenuti a subire; ogni occasione è occasione di pratica ed espressione  della realtà del momento presente.
Non c'è occasione che non sia una buona occasione, anche nelle condizioni apparentemente più svantaggiose e disagevoli. Il resto sono tutte scuse, siamo dei campioni nel trovare giustificazioni, vie di fuga...
La Pratica Zen, quella vera, autentica, spazza via la nostra necessità di trovare delle scuse.
Ogni mattina sedendo in Zazen riconosciamo la nostra fragilità, la nostra insicurezza, e contemporaneamente percepiamo il fondo di solidità che sostiene la nostra vita che non è limitata a noi, alla nostra fittizia identità e ritroviamo così la giusta fede e la giusta determinazione.
La cosa più importante è ricordarci costantemente, tutti i giorni, che non viviamo solo per noi stessi. È qualcosa che va ben oltre le nostre responsabilità familiari, nei confronti dei nostri compagni, dei nostri figli, dei nostri amici... ovvero questo ne è solo una naturale conseguenza.
Spesso anche le nostre relazioni diventano una buona scusa, una buona giustificazione.
La nostra responsabilità è quella di spazzare via dalla nostra mente ogni piano b, ogni possibilità di fuga; non esistono piani b nella vita... esistono solo soluzioni valide nel momento, che possiamo vedere solo con gli occhi della concentrazione, della presenza e della compassione e approfittandone istantaneamente, automaticamente, inconsciamente. Tutti i piani che sono nella nostra mente sono destinati a saltare in aria di fronte alla realtà, soprattutto le vie di fuga.
Il mio primo Maestro  diceva:
Quello che imparerete domani non vi potrà essere utile oggi…’
Ho notato che quando prendete una decisione vi lasciate sempre una via di fuga, un piano b, e questo, vi assicuro, genera sofferenza, disperde molta della vostra energia. L'80% della vostra energia è dispersa verso il piano b, e quindi anche quando fate un'esperienza la vivete in maniera molto limitata, nella vostra mente avete già preventivato la possibilità di sfuggire e quindi in parte siete già sfuggiti a quella esperienza, non siete totalmente presenti e disponibili.
Dovete bruciare completamente nell'esperienza che fate, come fosse l'ultima cosa fate nella vostra vita, il vostro testamento. Se foste impegnati a scrivere il vostro testamento, se foste consapevoli che quel gesto che state compiendo è l'ultimo della vostra vita, non pensereste minimamente a progettare un piano b. Capireste cosa vuol dire essere completamente presenti, implicati. Abbandonarsi totalmente al momento presente.
Senza questo atteggiamento (che va educato e coltivato) non esiste nessuna pratica, vi state prendendo in giro.
Vi esorto, ed è mio compito farlo, ad essere determinati, che non significa assolutamente infliggersi una pratica mortificante da cui metto sempre in guardia.
Essere determinati significa vivere la vita pienamente, e vi assicuro che è il modo migliore per trovare la massima energia che avete disponibile e vincere la paura.
La mia tentazione sarebbe quella di non dire nulla, non voglio forzare la mano in nessun modo, ma devo essere sincero ed onesto anche per la responsabilità che ho nel sedere qui con voi e farvi da guida come sembrate chiedermi.
Vi assicuro che la vita diventa molto facile quando non ci permettiamo vie di fuga e questo non significa essere rigidamente proiettati verso un progetto futuro senza avere la capacità di modificare le nostre azioni. Cammin facendo, se c'è necessità di cambiare, si cambia, ma si cambia nel presente, nel momento in cui la possibilità, il bivio, appare chiaramente, e allora si sceglie... intuitivamente, spesso non è neanche una scelta difficile da compiere.
Quando abbiamo chiaro l'orientamento nel nostro cuore e non vogliamo svicolare, allora tutto ci guida nella direzione giusta, eventualmente ci suggerisce anche gli eventuali cambi di direzione. È proprio tutto il contrario dell'essere rigidi.
Fate attenzione a non fraintendere queste parole, è difficile esprimere questi concetti, difficile anche comprenderli e afferrarli se non siete completamente disponibili e aperti; buttate via i vostri pregiudizi anche nei confronti delle parole, ascoltate col cuore, non col cervello.
Io riconosco in ognuno di voi questo potenziale... ed è doloroso vedere che spesso non viene espresso per paura, perché avete predisposto nella vostra mente un piano b, avete preventivato una via di fuga, sprecando un sacco di energie.
Tutte le persone che vivono con soddisfazione e pienezza la propria vita, lo fanno perché la loro passione per la vita non ha previsto nessun piano b.
C'è una frase che tempo fa avevo suggerito: "Quando senti di non avere scelta vuol dire che stai andando nella direzione giusta", molti non l'hanno capita, la gente ascolta col cervello, con tutti i suoi pregiudizi e filtri, è difficile comprendere questa frase se non si è fatto un certo genere di scelte ed esperienze nella propria vita.
Invece questa frase esprime proprio la massima libertà.
Ci priviamo della libertà quando non siamo determinati, quando non rispondiamo alla nostra vocazione, a quello a cui siamo chiamati, non siamo più liberi.
La nostra libertà si esprime solo in quello che noi, proprio noi, siamo chiamati a fare, tutto il resto è tempo, energia, vita persa... e quanta ne abbiamo persa fino ad adesso!
E’ per questo che Dōgen Zenji ci esorta continuamente... "Praticate con vigore, non sciupate il vostro tempo."
Dobbiamo spronarci ad uscire dalla nostra zona di comfort,  sono stato costretto a farlo tante volte nella mia vita e mi sono reso conto che ogni volta si è rivelata una benedizione. L'unico modo per fare un passo in più, un vero passo, nella direzione verso cui siamo chiamati.
E se abbiamo la fortuna di avere un Maestro che ci esorta ed insegna a farlo siamo molto fortunati e sarà un tesoro prezioso per il resto della nostra vita.

(registrazione e trascrizione a cura di Monica Tainin)

Tratto da : 'La Forma del Vuoto: Riflessioni su Zen e Arti Marziali' di Paolo Taigô Spongia ed. Mediterranee

disponibile per l'acquisto in tutte le librerie e online: https://www.amazon.it/forma-vuoto-Riflessioni-arti-marziali/dp/8827232230/




© Tora Kan Dōjō





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mercoledì 20 marzo 2024

Sedere in Zazen: questa è rivoluzione

Dalle note prese da Taigô Sensei durante la Sesshin da lui organizzata a Collevecchio e condotta dal suo Maestro Taiten Guareschi Roshi circa 20 anni fa.


“Chi ha la resposabilità del kyōsaku, il Jikidō, deve vigilare e cor­reggere le posture.
  Correggere la postura significa rettificare lo spirito, anche se nello spirito non c'è niente da rettificare. L'azione del kyōsaku, come quella dello spaventapasseri nei campi coltivati, deve essere impercettibile. Chi lo riceve e chi lo amministra sono uno.

L'uomo arcaico - che è vivo in noi - sentiva di pensare attraverso le più recondite e minute funzioni fisiologiche. Pensare è respirare. Non è solo il cervello che pensa. Sedendo in zazen, nutriamo quella coscienza arcai­ca o coscienza originale e primitiva. 

Zazen è l'esercizio di coscienza risvegliata, che è Buddha.  Che siate soli o insieme, sedete in un Dōjō  (in sanscrito, bodhimanda), luogo di Risve­glio.  La nostra pratica non è un'operazione privata. Per entrare in un Dōjō, si varca una soglia, che costituisce un inciampo, "l'inciampo dello scandalo". Il vostro corpo, la vostra coscienza, il vostro "io" inciampano. Per accedere, vi è richiesta una nuova visione-del-mon­do. Entrare significa formulare questa nuova visione. Shōken, che significa "giusta visione", è il primo degli Otto Sentieri.  

L'esercizio dello Zazen non è riducibile ad una prova di pazienza nè ad una tecnica del benessere. Lo zafu è il Seggio del diamante, il seggio di Buddha, Issai Hōku , il vuoto di ogni dharma.  In Zazen sedete al centro dell'universo.  Il modo di entra­re, di uscire, di camminare, di sedere nel Dōjō è interpretare il Dharma, la Legge del Buddha. Questo Dharma o Legge del Buddha non è a sua volta riconducibile ad una prescrizione normativa, nè a delle istruzioni o a delle buone maniere.  Attraverso la non-istruzione, cogliete la totalità. Cogliendo la totalità, avete la possibilità di apprezzare voi stessi, di cono­scervi al di là di ogni impedimento.

Le indicazioni sulla postura dello Zazen - la concentrazione sulle mani, sui pollici, basculare il bacino, rientrare il mento, chiudere la bocca, i denti in contatto, la lingua contro il palato - potranno sembrarvi eccessivamen­te minuziose. In realtà, non dovreste pensare di concentrarvi sui singoli punti uno dopo l'altro, ma cogliere invece le indicazioni nella loro com­plessa totalità. Simultaneamente realizzerete che le spalle non ostrui­scono le ginocchia, le ginocchia non impediscono il respiro. Ciascun par­ticolare non ne ostruisce nessun altro, ma invece nella sua singolarità include ogni altro particolare.

Non continuate a pensare nei temini di "questo mio corpo", "queste mie mani", "queste mie gambe". Nulla di tutto ciò vi appartiene. Tutto è uni­tà.  Così vivono, tra loro, il bene e il male, le montagne e i fiumi, le stelle e le nuvole: co-esistono insorgendo simultaneamente interpenetrandosi senza impedirsi a vicenda. In un Dōjō, in un tempio Zen, l'educazione ruota attorno a questi elementi.  

La testa è ben dritta, il naso cade verticalmente sull'ombelico, i lobi delle orecchie cadono sulle spalle. Anche il pensiero pesa. Se passate di pensiero in pensiero la testa diventerà un masso insostenibile. Alleggerite la testa : pensate senza pensare (Hishiryō)!  

Nel Dōjō non si entra né si esce a proprio piacimento. Dovete trovare la forma per entrare ed uscire. Se siete ben concentrati sulla postura, pote­te recepire le mie esortazioni e poi elaborarle. Ma se, anche durante Zazen, vi chiudete nel vostro pensiero, vi isolate, non sarete capaci di nessuna vera elaborazione, resterete ancorati alle vostre convinzioni. 

Zazen è un abbraccio. Quando sedete, concentratevi sul mudra, che è sigillo del Sarnadhi cosmico (Hokkaijoin), sigillo dell'oceano sconfinato di ogni fenomeno.Il pensiero (shiryō) s'abbraccia, s'intreccia, al non-pensiero (fu-shiryō) come pensare senza pensare (hishiryō).

Ricevere un'educazione, vuoi dire intrecciare una relazione: le persona­lità del maestro e del discepolo devono intrecciarsi, formare una treccia, katto, le loro vite non possono semplicemente correre parallele; la sepa­razione e l'incontro sono altrettanto importanti. Sta a voi trovare il modo, la forma.  

I simboli, l'altare, la disposizione di questa piccola chiesa, corrispondo­no ad una cultura che ci è propria: non possiamo ignorarli. Dobbiamo studiare e capire per apprezzare. Questo luogo ha un orientamento e pre­senta un accesso principale ed uno secondario. Nel nostro caso entria­mo dall'ingresso posteriore, seguiamo un percorso preciso per sedere. Questo è uno spazio del sacro e come tale è universale. Dovremmo ca­pirlo come la dimora del Tathagata: il grande cuore della pietà e della compassione (issai shujō daijihi shin). 

I bambini sono dritti come steli e hanno occhi pieni di stupore. Sono in molti a pensare che l'istruzione, la cultura sia stare chini sui libri. Pensate spensieratamente. La testa, in equilibrio, deve spingersi verso l'alto. La schiena è dritta. L'uomo arcaico sviluppava il suo pensiero nelle più nascoste funzioni fisiologiche. Proviamo a guardarci allo specchio.. E guardiamo il viso di uno dei tanti uomini e delle tante donne che per tanti anni abbiamo imparato a definire sbrigativamente del "Terzo mondo". Osservate il loro sguardo, il carattere dei loro visi. Guardate quegli occhi. Provate a guardare la bellezza di una vecchia contadina indiana o afghana con il volto grinzoso e bruciato. Parago­natela con una giovane Miss dei concorsi di bellezza. Provate a vede­re dov'è la bellezza.

Sedere in Zazen: questa è rivoluzione, questo è ri-volgimento, e non quel che pensiamo del pensare, ma piuttosto quel che non-pensiamo del pensare. Non bisogna credere che entrare in un Dōjō ed entrare in una sala d'aspetto di una stazione ferroviaria siano la stessa cosa. Il Dōjō, come abbiamo visto, è la casa del Tathagata - il cuore della pietà e della compassione - ove trovano dimora tutte le esistenze (issai shujō). L'entrata è marcata da una soglia rialzata come un gradino. E necessa­rio quindi alzare bene il ginocchio, il piede, per non inciampare quando si entra... In alcuni casi ci si deve scalzare prima di entrare... In tutti i casi è necessario lavare i piedi prima di entrare e sedere in Zazen. Tutti questi elementi segnano una separazione, un'alterazione che sono quel­le del sacro.

Quando vi invito a concentrarvi sulla postura, dovete mettere in campo energie che vanno al di là del pensiero. Lo Zen non ha nulla a che vede­re con il nichilismo. Il nichilista pensa che il vuoto sia "qualcosa". Non ha la cultura del nulla. Per questa mentalità dispettosa, rivendicativa, il nulla è un "es­sere", è "qualcosa". Ma cos'è il nulla? "Les jeux sont fait, rien ne va plus!".  In questo mo­mento preciso, non c'è più nulla da fare. Il momento successivo rico­mincia da zero. Qui ed ora! La vita nasce ogni momento. Ogni momen­to muore. Qualunque cosa accada, siete in pace.”


© Tora Kan Dōjō




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giovedì 14 marzo 2024

SI VIVE SOLO GRATIS

Mushotoku: calligrafia di Taisen Deshimaru Roshi

“Se non pensiamo che al solo risultato, che al frutto, con la nostra coscienza personale, non possiamo concentrarci né lasciar manifestare pienamente la nostra energia.Se si produce solamente lo sforzo, allora, 
il più grande frutto apparirà inconsciamente, naturalmente."


Con queste parole Deshimaru Roshi, Patriarca dello Zen Europeo, esprimeva il principio Mushotoku : ‘senza scopo né spirito di profitto’.

Mushotoku è concetto abusato e spesso mal interpretato che si manifesta quanto mai attuale e ‘terapeutico’ per la nostra cultura.

Se non fareste anche gratis, con lo stesso entusiasmo e serietà il lavoro che fate, allora state perdendo la vostra vita.
Questo impegno entusiasta, privo di calcolo, è quel che determina la ‘purezza’ dell’azione.
'Il guerriero ha diritto all'azione ma non ai suoi frutti' recita il Baghavat Gita

Un’entusiasta impegno gratuito che sempre più raramente riesco a riconoscere nell’opera degli uomini che incontro.
Più facile è incontrare tanti piccoli, insoddisfatti, schiavi che svendono la propria vita al miglior offerente per un tozzo di pane, aspettando la paga di fine mese e il week-end liberatorio.
E non mi riferisco al genere di lavoro che svolgono ma allo spirito con cui lo 'subiscono'.

In questi giorni si fa un gran parlare di un personaggio dello spettacolo che avrebbe venduto il proprio corpo per trarre vantaggi economici di vario genere e tutti son lì a puntare il dito e gridare allo scandalo.
Ma quella su cui puntano il dito non è che l’espressione esponenziale, spettacolarizzata, del modo in cui la maggior parte della gente alle nostre latitudini conduce la propria vita.
Siamo sicuri che anche noi non ci stiamo in qualche modo vendendo per il nostro vantaggio spesso ben più misero di quello di tal personaggio ?
Siamo sicuri che sia più scandaloso mettere in vendita il proprio corpo in quella forma che non il proprio tempo, i propri ideali e comunque il proprio corpo-mente nelle molte altre forme di commercio possibili, legittimate dall'uso comune, ma non meno miserabili ?

Vedo tanta gente che, solo se retribuita, è capace di esprimere uno sforzo, è capace di sottoporsi ad un minimo di disciplina (per non parlare di quelli che nemmeno se retribuiti riescono a farlo).
In Giappone riesco ancora a incontrare quell’entusiasmo, quell’impegno ingenuo e puro nel far le cose, nel prendersi cura del proprio incarico, fosse anche quello di lucidare il vetro di una scala mobile, come se sulla trasparenza di quel vetro si reggesse tutta l’azienda.
La cura per il proprio lavoro dell’ultimo commesso di un supermercato giapponese mi ha sempre fatto pensare che la sua attenzione per il suo incarico non fosse minore di quella che doveva avere il direttore per il proprio.

Nel Dojo questo diventa estremamente evidente.

Molte delle azioni nel Dojo a partire dallo stesso allenamento o esercizio richiedono uno sforzo gratuito e sono pochi, molto pochi, quelli che comprendono quanto possa nutrire la loro vita quest'azione gratuita, i più sono pronti a metterla immediatamente in secondo piano non appena si presenta l’occasione di un'attività ‘più esplicitamente remunerativa’, ‘apparentemente più economica’.

A mio parere uno sforzo, una disciplina, nutriti dalla motivazione del guadagno sono ‘atti impuri’ che non solo non possono dare buon frutto ma che in qualche modo contaminano la vita di chi li produce creando cattivo Karma.

Io ho, da molti anni, una postazione di osservazione privilegiata: lo Zazen.
Sedere in silenzio e raccoglimento, limitandosi solo ad essere (forse la santa povertà di cui parlava Frate Francesco): c’è qualcosa di più gratuito e apparentemente più anti economico ?
Lo Zazen è gratuità radicale, l’offrirsi totalmente così come siamo, senza riserve, di fronte al momento che ci è dato vivere.
Una pratica e una realizzazione che trovano immediato riverbero nell’azione quotidiana.

Per certi versi, anche se in modo apparentemente meno radicale, è gratuita anche l’azione del praticare il Karate-Do.
Sì, certo, si può obiettare che c’è chi lo pratica per applicarlo alla ‘difesa personale’, chi per ‘scaricare lo stress’…  d’altronde anche lo Zazen viene oggi venduto come metodo antistress, ma nessuno di questi continuerà a lungo la propria pratica né raccoglierà alcun significativo e duraturo frutto da essa se non sarà in grado di scoprire la gratuità dell’esercizio.

Anche lo stesso sport nasceva come azione gratuita (desporter, il termine francese da cui deriva sport, significa divertimento, svago..) per ritrovarsi oggi schiavo della medaglia, del risultato, del primato.
Così, su questa deriva, i bambini sono definiti nelle federazioni sportive pre-agonisti come se la pienezza e ricchezza della loro età fosse solo un momento di preparazione alla prestazione futura, che per molti non arriverà mai perché frustrati nelle loro legittime necessità e aspettative, abbandoneranno prima.

La stessa, pericolosa, impostazione mi sembra di constatarla nella scuola.
Non è nemmeno immaginata la possibilità di poter insegnare ai bambini che si possa fare qualcosa solo per amore senza vederne un immediato profitto.
Un insegnante che osasse tanto sarebbe considerato politicamente scorretto e violentemente avversato dai genitori che invece vogliono che il loro figliolo impari ad usare ogni mezzo per primeggiare sugli altri nella fallimentare speranza che possa vendicarli per la vita grigia da schiavi che stanno conducendo.  
Anche nella scuola è privilegiato il primato, il primato del bambino che vince la gara di matematica tra scuole è menato a vanto piuttosto che una classe intera che cresce armoniosamente.
Non vedo una scuola dove ai bambini più ‘dotati’ venga fatto capire che a volte è necessario rallentare il passo per procedere assieme ai loro compagni ‘più lenti’ per non isolarsi e perché godere di un panorama condiviso è ben più appagante e gioioso che trovarsi da soli sulla cima di una montagna.

Quale società stiamo costruendo insegnando questo ai nostri bambini?
Il bambino, archetipo della gratuità, verrà ben presto corrotto da questa educazione alla furbizia ed al profitto.

Ho iniziato ad insegnare per la passione ed amore che nutro per l’arte che pratico e continuo a farlo gratis.
Il compenso che ne può derivare è un frutto che non ho preventivato né saprei quantificare, un’offerta che mi viene e che mi porta ad interrogarmi costantemente se io ‘sia degno di questo dono’ (come recita il Gyohatsu Nenju, le strofe che si recitano durante il pasto Zen).
Faccio del mio meglio perché il Dojo, la nostra scuola, possa vivere e per poter vivere ha necessità di cura e nutrimento.
Sento di aver ricevuto incarico di essere custode di questa creatura che si nutre dei nostri sogni e del nostro gratuito entusiasmo. 
Questo è il mio compito, questo è quello che la vita mi ha chiamato a fare, forse per le mie caratteristiche che chissà, possono essere un buon veicolo per la trasmissione dell’arte portando beneficio ad altri… 
Di certo non per lo stipendio.

“Se apriamo le mani, possiamo ricevere ogni cosa. 
Se siamo vuoti, possiamo contenere l’universo”

Tratto da : 'La Forma del Vuoto: Riflessioni su Zen e Arti Marziali' di Paolo Taigô Spongia ed. Mediterranee

disponibile per l'acquisto in tutte le librerie e online: https://www.amazon.it/forma-vuoto-Riflessioni-arti-marziali/dp/8827232230/



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© Tora Kan Dōjō








domenica 3 marzo 2024

Un'unica vita, un solo respiro

Pubblichiamo l'estratto di un Insegnamento offerto da Paolo Taigō Kōnin Sensei durante la Pratica Zen.


Riportate costantemente l’attenzione alle mani che non perdano il contatto con il basso addome.  Le dita sono ben unite, i pollici devono avere un contatto delicato ma costante.

E’ veramente un Mudra molto sensibile e molto potente. A volte si dice: portate la vostra mente nel palmo della mano sinistra. Nel tenere le mani ben aderenti all’addome, nell’area che si trova più o meno quattro centimetri sotto l’ombelico, dovete abbassare le spalle, spingere i gomiti un po’ in avanti come se dovessero allinearsi ai polsi e fare in modo di aprire le braccia dal corpo, come in un inizio d'abbraccio. L’attenzione a questa posizione delle mani e delle braccia permette di rilassare le spalle ed aprire le articolazioni, creare spazio. L’addome è rilassato e qui si stabilisce fermamente il contatto con le mani.

Osservate il respiro e in particolare concentratevi sull’espirazione. L’espirazione è lunga e scende molto in basso, arriva al contatto delle mani con l’addome e poi va giù come se dovesse spegnersi nel terreno che ci sostiene. Non dovete fare uno sforzo particolare per allungare l’espirazione; a mano a mano che la postura si rettifica, e che il corpo e la mente si unificano nella postura di Zazen, il respiro si approfondisce spontaneamente, ed in particolare l’espirazione diventa più lunga e più profonda.

Abbandonatevi alla sensazione del respiro che va e viene come quando siete su una barca, come su di un materassino in mezzo al mare, e lasciate che le onde vi cullino.
Il respiro è un’onda, va e viene, a volte è più profondo, a volte è più superficiale.
Godete di questo momento così prezioso in cui potete diventare consapevoli della vita così com’è, ancora prima di quello che noi di solito identifichiamo con l’essere la nostra vita, la nostra attività, la nostra identità.

Nello Zen ci si riferisce spesso al ‘volto originale’, ‘il tuo volto ancora prima che i tuoi genitori nascessero’.
Quando ci perdiamo nella percezione del respiro, quando ci abbandoniamo alla vita così com’è entriamo in contatto con questo volto originale, possiamo farne la diretta esperienza, ed esso diventa il fondamento reale della nostra vita e delle nostre azioni. Per questo lo Zazen è così importante. A poco a poco diventiamo consapevoli di questa dimensione, diventa la nostra condizione naturale, siamo tornati a casa e abbiamo preso coscienza della vita così com’è prima ancora delle nostre fantasie su di essa; questa è la vera Illuminazione che offre lo Zazen.
Diveniamo consapevoli del fatto che c’è un fondamento di grande pace e grande profondità che è alla base della nostra vita e che è sempre presente. Questo cielo profondo, limpido, è sempre presente dietro le nuvole delle nostre illusioni, delle nostre preoccupazioni. Lo Zazen ci insegna a tornare spontaneamente e a prendere dimora in questo blu profondo. Ci accorgiamo che questo volto originale è il volto che ci accomuna a tutte le esistenze. È la vita che unisce ogni altra vita. E’ la vita che unisce tutte le forme attraverso le quali si esprime.

Poco fa abbiamo recitato l’Hannya Shingyo, il Sutra del Cuore, in un importante passaggio recitiamo: “ shiki soku ze ku ku soku ze shiki ”, “la forma non è che vuoto, il vuoto non è che forma”…

Si potrebbe anche tradurre come: la grande vita si manifesta nelle molteplici forme che non esistono di per sé; non sono altro che un’espressione, un movimento della grande vita. 

C’è una bella e divertente storiella che si racconta nello Zen. A Fudenji c’era anche un dipinto con delle vignette che rappresentavano questa storia:    

C’è un monaco che sente delle grida che vengono dall’orto del monastero. Va a vedere cosa succede e trova delle zucche che litigavano e si insultavano a vicenda dicendo: “tu sei piccola!” “tu sei brutta!” “tu sei storta!” “tu hai un brutto colore!”. Il monaco arriva e con voce decisa dice: “Fate silenzio, silenzio e sedetevi!”. Le zucche rispondono sedendosi in silenzio … Il monaco gli fa fare Zazen per una mezz’ora, poi, quando vede che si sono calmate ed il loro respiro è più profondo, gli suggerisce di poggiare una mano sulla loro testa e dirgli che cosa hanno trovato. Le zucche fanno quello che gli ha suggerito di fare il monaco… mettono la mano sulla testa e si accorgono che c’è una protuberanza che sporge. Allora il monaco dice: “Sentite bene, è come una corda, un ramo … seguitelo!”. Le zucche scorrono con la mano questa cordicella e si accorgono di essere tutte unite l’una con l’altra e di fare parte della stessa vita, di nutrirsi della stessa linfa.

E’ quello che facciamo quando sediamo in Zazen: tornando al nostro volto originale, tornando alla nostra vita prima ancora dei nostri pensieri, prima ancora di pensare essere una zucca speciale, diversa dalle altre, d’identificarci in quell’immagine di noi stessi, lo Zazen ti fa mettere una mano sulla tua testa e ti dice “Senti qui, vedi come il tuo respiro è il respiro dell’universo? Non potresti essere qui, il tuo sangue non circolerebbe, il tuo respiro non potrebbe andare e venire se tu non fossi unito a tutte le altre esistenze!”

Questa è la realizzazione più preziosa, il dono più prezioso che ci offre lo Zazen ogni giorno e non può che trasformare la nostra vita. Noi sediamo ogni giorno per ricordarci di questo. Come diceva Sawaki Roshi: “l’essere umano brancola nel buio con uno sguardo intelligente”… Facilmente ricadiamo nelle nostre illusioni, nei nostri condizionamenti che ci fanno pensare di essere un’entità separata, di essere una bella zucca o di essere una brutta zucca … Lo Zazen ci richiama a questa memoria e ci dice: “Attento! Ricorda che sei parte di tutta la vita, attento a non cadere nell’illusione della separatezza, abbi un’incrollabile fiducia perché tutta la vita ti sostiene.
Anche quando la vita ti sembra così difficile e tutto sembra essere contro di te, in realtà è tutta la vita che ti sostiene, ed è più quello che ti sostiene che quello che ti ostacola. Questa è una presa di coscienza molto importante. Questo ci da una grande forza ed una grande fiducia in qualsiasi situazione possiamo trovarci.

La Pratica costante e continua significa costantemente rammemorarsi, costantemente tornare a ricordaci questo. A poco a poco questa memoria diventa parte delle nostre cellule, difficile poi dimenticare.
Abbiamo però sempre bisogno di rinforzare e richiamare questa memoria; è come quando si torna a casa tra le nostre cose e ci sentiamo a nostro agio, ci rilassiamo e sentiamo che comunque abbiamo quel rifugio sicuro, lo stesso avviene con lo Zazen. Ogni giorno torniamo a questo rifugio sicuro, a questa certezza, a questa percezione del nostro volto originale. 

Sentite gli uccelli che cantano … quando noi recitiamo i nostri Sutra ci uniamo al canto di questi uccelli, ci uniamo al canto della vita. Non è, come spesso abbiamo interpretato in Occidente, una preghiera che noi esprimiamo per chiedere qualcosa in cambio, ma è un’espressione della nostra più profonda gratitudine, per aver riconosciuto questo legame e questo sostegno che non viene mai a mancare.

registrazione e trascrizione di Monica Tainin

© Tora Kan Dōjō

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