martedì 13 dicembre 2016
lunedì 5 dicembre 2016
venerdì 25 novembre 2016
Educare i sensi

Le lezioni, che prendono le mosse dalla pratica dello Zazen, hanno un carattere colloquiale di cui tener conto durante la lettura.
Pubblicheremo a breve anche la seconda parte.
Il
Tai Taikō è un capitolo dell’Eihei Shingi, la regola di Eiheiji, il Tempio
fondato da Dōgen Zenji tra le montagne del Fukui.
Fui folgorato da questo testo all’inizio della mia pratica. Mi fu suggerito dal mio Maestro e immediatamente raccolsi il suo invito ed il testo fu tra le mie mani.
Il Tai Taikō è una raccolta di indicazioni-esortazioni rivolte ai monaci riguardo l’etichetta da osservare in ogni loro comportamento in relazione agli anziani del Tempio, di quelli che potrebbero essere considerati degli Insegnanti (Taikō sta per anziano o insegnante). Ma in senso lato si tratta di un’educazione profonda da mettere in pratica in ogni situazione e insegna a relazionarsi agli ambienti, alle situazioni, un’educazione alla sensibilità, alla capacità di comprendere il ritmo, il tempo e lo spazio di ogni situazione e l’armonizzarsi con essa: l’essenza della consapevolezza in azione.
Il testo mi è stato di grande ispirazione. in esso ho ritrovato quegli elementi dell’educazione Zen che con ogni probabilità a suo tempo attrassero i Samurai, i quali colsero in essi l’occasione per affinare il proprio Zanshin (presenza totale). Si tratta di un testo che ogni artista marziale dovrebbe studiare.
L’articolo 4 dice: “ Davanti ad un Taikō, sedetevi ben eretti (in seiza), senza pendere all’indietro, e non guardatelo negli occhi con insistenza.”
Come usare gli occhi, come usare i sensi? Questo diventa la base di tutta l’educazione Zen ed è roba che non si studia sui libri ma concentrandosi sulle maniere mentre ci si relaziona agli altri, allo spazio, agli oggetti durante la pratica nel Dōjō. Questo deve poi trasparire in ogni comportamento.
Lo sguardo deve essere franco, sincero, deve sapersi abbassare al momento opportuno per non essere aggressivo senza però per questo perdere la visione. Bisogna imparare a vedere con tutto il corpo e usare lo sguardo con misura e decisione.
Ogni artista marziale dovrebbe sottoporsi ad una ri-educazione di questo genere.
Sawaki Roshi, rivolgendosi ai praticanti di Arti Marziali, affermava: “La vera tecnica del corpo deve essere la sostanza dello spirito… non bisogna guardare il corpo dell’avversario, ma dirigere il nostro spirito. In realtà non esiste nessun nemico…”.
Possono sembrare norme di comportamento banali, come non sbadigliare in faccia alla gente, che però a ben vedere stanno a segnalare la ricerca di una sensibilità nel capire il contesto, il tempo, il ritmo di ogni situazione. Ogni gesto, a seconda del contesto, a seconda del luogo, del momento, può essere un gesto costruttivo così come distruttivo; può essere un gesto amichevole come aggressivo. A seconda del tempo e del luogo lo stesso gesto può avere effetti diametralmente opposti.
Se volete attaccare, se siete aggressivi, lo testimoniate con un gesto, col vostro modo di muovervi.
In altri tempi, quando il pericolo era all’ordine del giorno, un certo modo di utilizzare i sensi divenne molto naturale ed importante. E questo vale per l’artista marziale come per il monaco: saper pazientare, saper vedere oltre l’apparenza senza essere condizionati dai suoni, dal tatto, dalla vista, dallo stesso pensiero.
Nell’Hannya Shingyō questo è descritto chiaramente:
Mu
Gen Ni Bi Ze Shin I.Fui folgorato da questo testo all’inizio della mia pratica. Mi fu suggerito dal mio Maestro e immediatamente raccolsi il suo invito ed il testo fu tra le mie mani.
Il Tai Taikō è una raccolta di indicazioni-esortazioni rivolte ai monaci riguardo l’etichetta da osservare in ogni loro comportamento in relazione agli anziani del Tempio, di quelli che potrebbero essere considerati degli Insegnanti (Taikō sta per anziano o insegnante). Ma in senso lato si tratta di un’educazione profonda da mettere in pratica in ogni situazione e insegna a relazionarsi agli ambienti, alle situazioni, un’educazione alla sensibilità, alla capacità di comprendere il ritmo, il tempo e lo spazio di ogni situazione e l’armonizzarsi con essa: l’essenza della consapevolezza in azione.
Il testo mi è stato di grande ispirazione. in esso ho ritrovato quegli elementi dell’educazione Zen che con ogni probabilità a suo tempo attrassero i Samurai, i quali colsero in essi l’occasione per affinare il proprio Zanshin (presenza totale). Si tratta di un testo che ogni artista marziale dovrebbe studiare.
L’articolo 4 dice: “ Davanti ad un Taikō, sedetevi ben eretti (in seiza), senza pendere all’indietro, e non guardatelo negli occhi con insistenza.”
Come usare gli occhi, come usare i sensi? Questo diventa la base di tutta l’educazione Zen ed è roba che non si studia sui libri ma concentrandosi sulle maniere mentre ci si relaziona agli altri, allo spazio, agli oggetti durante la pratica nel Dōjō. Questo deve poi trasparire in ogni comportamento.
Lo sguardo deve essere franco, sincero, deve sapersi abbassare al momento opportuno per non essere aggressivo senza però per questo perdere la visione. Bisogna imparare a vedere con tutto il corpo e usare lo sguardo con misura e decisione.
Ogni artista marziale dovrebbe sottoporsi ad una ri-educazione di questo genere.
Sawaki Roshi, rivolgendosi ai praticanti di Arti Marziali, affermava: “La vera tecnica del corpo deve essere la sostanza dello spirito… non bisogna guardare il corpo dell’avversario, ma dirigere il nostro spirito. In realtà non esiste nessun nemico…”.
Possono sembrare norme di comportamento banali, come non sbadigliare in faccia alla gente, che però a ben vedere stanno a segnalare la ricerca di una sensibilità nel capire il contesto, il tempo, il ritmo di ogni situazione. Ogni gesto, a seconda del contesto, a seconda del luogo, del momento, può essere un gesto costruttivo così come distruttivo; può essere un gesto amichevole come aggressivo. A seconda del tempo e del luogo lo stesso gesto può avere effetti diametralmente opposti.
Se volete attaccare, se siete aggressivi, lo testimoniate con un gesto, col vostro modo di muovervi.
In altri tempi, quando il pericolo era all’ordine del giorno, un certo modo di utilizzare i sensi divenne molto naturale ed importante. E questo vale per l’artista marziale come per il monaco: saper pazientare, saper vedere oltre l’apparenza senza essere condizionati dai suoni, dal tatto, dalla vista, dallo stesso pensiero.
Nell’Hannya Shingyō questo è descritto chiaramente:
Mu
Shiki Shō kō Mi Soku Hō.
Mu Gen Kai Nai Shi Mu I Shiki Kai…
Mu Gen Kai Nai Shi Mu I Shiki Kai…
In
Zazen non ci sono occhi, orecchie, naso, lingua, corpo, coscienza, né i loro
oggetti e rispettive coscienze.
Tradizionalmente
l’altare del dōjō Zen, dello Zendō, è più o meno al centro del dōjō.
Una
struttura, su cui in genere è posata la statua di Manjusri Bosatsu a cavallo di
un leone. Rappresenta lo Zazen: seduti sulle nostre illusioni, sulle nostre
manie, agitazioni mentre il leone (la mente) è irrequieto, il monaco è seduto
calmo in Zazen (la postura che unifica corpo-mente) e cavalca il leone.
Quando
ci si muove nel Dōjō non si deve mai tagliare la linea che congiunge l’altare
con il posto dell’insegnante, si deve percepire sulla pelle questa linea, come
un raggio laser, che non va oltrepassato.
E muovendosi nel Dōjō tutti i sensi devono essere attivati, si deve vedere con la pelle, pensare con i piedi, con le mani. Il Jikidō deve muoversi come una tigre nella foresta, rilassato ma estremamente vigile.
Sono molti i percorsi simbolici che nel Dōjō educano potentemente a questa vigilanza e sensibilità.
E muovendosi nel Dōjō tutti i sensi devono essere attivati, si deve vedere con la pelle, pensare con i piedi, con le mani. Il Jikidō deve muoversi come una tigre nella foresta, rilassato ma estremamente vigile.
Sono molti i percorsi simbolici che nel Dōjō educano potentemente a questa vigilanza e sensibilità.
Uno
straordinario addestramento per i cosiddetti ‘artisti marziali’ contemporanei
che praticano ormai in un ambiente addomesticato che poco permette di affinare
queste qualità.
Oggi
il Budō ha bisogno dello Zen tanto quanto lo Zen ha bisogno del Budō, affermava
il mio Maestro.
Mentre
ai monachelli Zen delle nostre parti farebbe assai bene una rigorosa pratica
del Budō.
Qualche
giorno fa sono stato invitato a condurre un Gasshuku e ho fatto visita ad un
Dōjō della nostra Scuola. Recentemente il Dōjō era stato ripulito e ampliato ma
ho notato qualcosa, che già avevo segnalato al mio allievo che conduce il Dōjō,
come inadeguata: sul lato d’onore, dove sono esposte le immagini dei Patriarchi
della nostra Tradizione (Kannryo Higaonna Sensei, Chojun Miyagi Sensei e
An’Ichi Miyagi Sensei) erano montate due mensole di laminato, bruttissime, e
sopra di esse una candela tutta storta e una piantina di plastica.
Allora,
visto che non tollero l’approssimazione da parte dei miei allievi, ho spiegato
che c’è un significato profondo dietro questi linguaggi simbolici e che non
devono essere trattati con superficialità, c’è una cultura che va studiata e
assimilata profondamente per poter padroneggiare questi linguaggi, altrimenti
si rischia di mettere in atto delle imitazioni caricaturali, ridicole quanto
irritanti. Non ce lo possiamo permettere. Non ci possiamo permettere di essere
approssimativi quando ci facciamo interpreti di una tradizione, assolutamente!
Volete
capire che anche la mensola che scegliete, la cura con cui la installate, gli
oggetti che scegliete di disporre su di essa, tutto fa parte della vostra
offerta? Non solo quel fiore che offrite, quando ve lo ricordate!

Se fate caso a queste mensole [il Maestro indica le belle mensole in legno che arredano l’altare del Tora Kan Dōjō] non è che sono proprio delle mensoline così a tirar via. Ogni mensola di queste è costata molto in termini di sforzo, anche economico, perché io le ho volute lavorate in questo modo, martellate, laccate in un certo modo… e non è che ci avanzassero i soldi, però sapevo che dovevo farle così, non poteva essere altrimenti. Dev’essere una cosa bella, preziosa, perché è un’offerta.
Chiunque entra in questo Dōjō o in un Tempio Zen, non può non rimanere in qualche modo toccato profondamente, seppur inconsciamente, da come è disposto l’altare, dalla cura che trasuda ogni parete, ogni dettaglio di questi spazi. Perché tutto è disposto in un modo che trasmette potenza e armonia, è una tradizione millenaria che trasmette questo. Non si può improvvisare, mettere su due mensoline storte con sopra una piantina di plastica… non è così che funziona.
Devi fare lo sforzo di capire qual è il senso a monte di tutto questo. E il senso è quello dell’offerta: innanzitutto offro me stesso con la pratica, lo studio, la cura e faccio offerta per mantenere viva la memoria e la gratitudine nei confronti di chi è venuto prima di me e mi ha offerto la preziosa possibilità di accedere a questa tradizione.
Io, che ho maturato negli anni una certa avversione verso le chiese e le istituzioni religiose, riconosco però che le chiese, così come erano costruite, pensate, erano delle offerte, erano una celebrazione alla grandezza di Dio, non si poteva fare una cosa approssimativa.
Anche una chiesina umile come la Porziuncola di Francesco d’Assisi è stata costruita da Francesco e dai suoi primi frati pietra su pietra, elemosinando a piedi nudi le pietre nei dintorni di Assisi. Non si deve trattare necessariamente di una basilica ma è una cosa ben diversa dal mettere lì due mensoline di Ikea. E’ qui che innanzitutto si esprime lo spirito religioso, il senso profondo della pratica. In che modo tu stai offrendo qualcosa, stai offrendo te stesso? Le tue capacità, le tue risorse? Se non hai gli elementi culturali, economici… ti attivi, studi, lavori, elemosini… perché tutto questo diventa la tua offerta.
Altrimenti quando poi inviti il tuo Maestro nel Dōjō le tue mensole posticce saranno un insulto alla sua Tradizione e denunceranno la tua scarsa cura. Questo influenzerà chiunque entrerà nel tuo Dōjō ben più di tutti i diplomi che potrai attaccare al muro, parlerà chiaramente dello spessore della tua pratica e della tua sincerità.
I fiori devono essere sempre freschi, senza cercare scorciatoie mettendoci una piantina in vaso o peggio di plastica, ti devi scomodare e far sì che quell’offerta diventi nutrimento quotidiano e non una noiosa incombenza da mettere in atto di tanto in tanto.
Questi gesti quotidiani nutrono il nostro spirito, la pratica è Gyōji, impegno quotidiano, continuo: Shū Shō Ichinyō, Pratica e Realizzazione/Risveglio coincidono.
In questo luogo (Tora Kan Dojo) sono più di venticinque anni che ci sono sempre fiori freschi sull’altare, disposti con grande cura, che il dōjō sia aperto o chiuso. E’ una cosa bella, importante, è un segno del cuore che anima questo posto. Non è che lo facciamo solo per noi, è chiaro che nutre anche noi vedere la bellezza dei fiori, la cura con cui son disposti, sicuramente, ma lo facciamo a prescindere dal fatto che qualcuno li veda, è la nostra offerta.
Il
gesto stesso di scegliere la mensola, di montarla ben dritta utilizzando la
livella, il mettere con cura l’acqua ai fiori, tutto questo ti offre il senso
compiuto di ogni altra tua azione nel Dōjō,
Sull’altare sono rappresentati gli elementi del cosmo, c’è il fuoco, che è nutrito dall’aria, c’è l’acqua, c’è il verde, la natura… c’è tutto… c’è l’immagine di un uomo alla ricerca, un Buddha.
Quando offri un incenso di fronte a questo altare in quel momento celebri la totalità della vita.
Sull’altare sono rappresentati gli elementi del cosmo, c’è il fuoco, che è nutrito dall’aria, c’è l’acqua, c’è il verde, la natura… c’è tutto… c’è l’immagine di un uomo alla ricerca, un Buddha.
Quando offri un incenso di fronte a questo altare in quel momento celebri la totalità della vita.
venerdì 18 novembre 2016
IOGKF una famiglia nel Budo
lunedì 7 novembre 2016
Anniversario VII Dan

Questa sera, durante il
Sayonara Party che ha chiuso il nostro Chief Instructor's Gasshuku, Higaonna
Sensei mi ha riconosciuto il Nanadan (7° dan) a seguito dell'esame sostenuto
mercoledì scorso. Ringrazio il mio Maestro e la commissione internazionale
composta da Sensei Tetsuji Nakamura, da Sensei Bakkies al quale faccio le mie
congratulazioni per il suo 9° dan (Bakkies Laubscher Sensei è l'allievo più
anziano di Higaonna Sensei), Sensei Henrik Larsen (congratulazioni per il suo
8° dan) e Sensei Ernie Molyneux. Li ringrazio per avermi, ancora una volta,
concesso la loro fiducia e attribuito un grado così alto che faccio fatica a
pensare di meritare appieno e che mi sprona ad impegnarmi ancora di più nel mio
perfezionamento per esserne all'altezza.
Ringrazio tutti i miei
allievi di ogni livello e in particolare coloro che mi accompagnano in questo
affascinante viaggio da molti anni. Vi ringrazio perché non sarei mai arrivato
a questo, che non è un punto d'arrivo ma di passaggio, senza di voi. Voi siete
diventati degli ottimi praticanti ed insegnanti e la vostra crescita è stata la
mia crescita. Non potrebbe essere altrimenti. E' solo insegnando con passione a
degli allievi appassionati che si può continuare a crescere. E' solo ricercando
insieme l'eccellenza che ci si può avvicinare ad essa. Il nostro non è un
Cammino che si può percorrere da soli, è più simile ad una cordata di montagna,
chi è avanti e traccia il sentiero è legato e sostenuto da tutti gli altri e
nessuno rimane indietro, un passo di uno è un passo di tutti e, in fondo, non
c'è nessuna vetta da raggiungere perché il traguardo è già tutto nel comune
sforzo appassionato e nella condivisione di un paesaggio unico e meraviglioso.

domenica 6 novembre 2016
La Vera Trasmissione di una Tradizione
La Vera Trasmissione di una Tradizione
A fine Gennaio su invito del Capo
Istruttore Mondiale IOGKF, Tetsuji Nakamura Sensei, si riuniranno per una
settimana di pratica all'Honbu Dojo di Okinawa gli allievi di Higaonna Sensei
dal 7° dan in su, ovvero i Capo Istruttori che rappresentano la IOGKF nelle
varie nazioni e i Senior Instructors.
Questo raduno è stato istituito due
anni fa quando Nakamura Sensei fu nominato da Higaonna Sensei Capo Istruttore
mondiale.
Nakamura Sensei, Sensei Henrik
Larsen e Sensei Ernie Molineux, nominati a loro volta Vice Capo Istruttori
mondiali, si riunirono una prima volta all'Honbu Dojo per confrontarsi in
dettaglio sulla loro personale esperienza di insegnanti e come allievi di
Higaonna Sensei in modo da rendere perfettamente uniforme il loro insegnamento
(e parliamo di Maestri che da una vita già si allenano insieme sotto la guida
di Higaonna Sensei).
Fu un'esperienza illuminante e
fruttuosissima che decisero di condividere ogni anno con tutti gli allievi
'anziani' di Higaonna Sensei, creando un 'laboratorio' di eccellenze che si
confrontano e perfezionano.
Nelle parole di Nakamura Sensei con
particolare riguardo al Kata (tratte dalla lettera d'invito pervenutami):
"Kata
is the essence of our style. I believe that it is very important now that we
share the same detailed information of the kata among all senior instructors so
that we can carry this culture for the future generation without changing kata,
the essence of the art. "
trad.: " Il Kata è l'essenza
del nostro stile. Io credo che sia molto importante in questo momento che
ognuno di noi condivida le stesse, dettagliate informazioni riguardo ogni kata
con gli altri Senior Instructors così da favorire la corretta trasmissione di
questa cultura alle future generazioni senza che i kata, l'essenza dell'Arte,
subiscano modifiche."
C'è da sottolineare che la IOGKF, in
confronto ad altre scuole di Goju-Ryu e con ogni probabilità anche di altri
stili, già presenta un livello tecnico altissimo e un'uniformità e coerenza di
programma e di esecuzione tecnica, in particolar modo riguardo al Kata, essenza
dell'arte come sottolineato da Nakamura Sensei.
Qualità e uniformità che sono state coltivate in decenni di intensi Gasshuku che riuniscono centinaia di praticanti sotto la guida di Higaonna Sensei e dei suoi migliori Insegnanti.
Nonostante questo la serietà della Scuola e la grande onestà dei suoi rappresentanti più eccellenti non si accontenta e pretende che questa trasmissione sia ineccepibile.
La posta in gioco, la corretta trasmissione dell'Arte, è troppo preziosa per accontentarsi di un risultato mediocre.
Qualità e uniformità che sono state coltivate in decenni di intensi Gasshuku che riuniscono centinaia di praticanti sotto la guida di Higaonna Sensei e dei suoi migliori Insegnanti.
Nonostante questo la serietà della Scuola e la grande onestà dei suoi rappresentanti più eccellenti non si accontenta e pretende che questa trasmissione sia ineccepibile.
La posta in gioco, la corretta trasmissione dell'Arte, è troppo preziosa per accontentarsi di un risultato mediocre.
Per la mia conoscenza
quest'impostazione responsabile e rigorosa della IOGKF è davvero rara se non
unica nel panorama mondiale del Karate tradizionale.
In genere, anche nelle scuole più
conosciute guidate da famosi maestri gli insegnanti più seri, nella migliore
delle ipotesi, si allenano personalmente con il caposcuola con poche occasioni
di confronto con altri insegnanti allievi dello stesso Maestro e per lo più i raduni
tecnici tra i membri della scuola nascono sulla scia dell'organizzazione di
gare (niente di più lontano dalla trasmissione di un'arte marziale). Così
quando i vari rappresentanti del Maestro in questione si incontrano tra di loro
per praticare scoprono che ognuno fa una cosa diversa.
Come si può trasmettere un'Arte in tal modo?
Come si può parlare di Scuola ?
Come si può trasmettere un'Arte in tal modo?
Come si può parlare di Scuola ?
Per non parlare poi di quelli che
dopo aver seguito un maestro, quando va bene, per qualche anno, pensano di aver
capito tutto e liquidato il maestro (che è sempre scomodo da seguire perchè ci
corregge e continua ad insegnarci...) e gli altri insegnanti con cui
confrontarsi (meglio cantarsela e suonarsela da soli), continuano ad insegnare
una roba distorta e personalizzata ad allievi che non hanno voglia di
implicarsi in uno studio serio in una scuola seria.
O quelli che si autodefiniscono
'ricercatori' che, senza mai studiare seriamente sotto la guida di un maestro,
si sono affacciati qua e là in qualche dojo (anche ad Okinawa) e si proclamano
detentori della tradizione.
Queste, insieme alla degenerazione
agonistica del Karate, sono le cause primarie della drammatica perdita del
prezioso patrimonio culturale del Karate antico, a cui è legata
indissolubilmente anche la sua efficacia formativa, terapeutica e marziale.
Sono dunque estremamente orgoglioso
ed onorato di far parte di questa nobile congrega di sinceri ed autentici
artisti marziali e sono certo che quel che potrà preservare e trasmettere il
prezioso tesoro che ci è stato tramandato sarà solo la nostra rigorosa e
sincera pratica e insegnamento nei Dojo che ha formato e formerà altrettanto
sinceri e preparati insegnanti.
lunedì 31 ottobre 2016
Bun Bu Ryodo al Tora Kan Zen Dojo - Incontro con l'artista Marco Fioramanti

L'incontro
ha visto protagonista l'artista Marco Fioramanti che ha parlato
appassionatamente della sua Arte, vissuta come pratica, nelle sue molteplici
forme espressive.
Ringraziamo
Marco Fioramanti perché ancora una volta ci ha consentito di rimarcare il legame
che intercorre tra la nostra disciplina e il mondo artistico a tutto tondo, e
ci ha mostrato, con la sua particolare esperienza di vita, l'imprenscindibile
importanza della passione e dell'entusiasmo alla base di ogni vera pratica
autentica.
Queste
le parole con cui Sensei Paolo Taigō Spongia, insegnante del Tora Kan Dōjō ha
introdotto la serata e presentato Marco Fioramanti:

Quest’incontro
è organizzato a cura della Sezione di Studio e Pratica Zen del nostro Dojo e si
inserisce nell’ambito delle lezioni che abbiamo denominato ‘Bun Bu Ryōdo’.
Bun,
sta per cultura, letteratura, ovvero la coltivazione della mente e del cuore,
Bu, sta per guerriero, formazione guerriera, Ryōdo significa sono
complementari.
Ringrazio
Marco per aver accettato il nostro invito e averci onorato con la sua presenza.
Marco
Fioramanti è un artista interdisciplinare.
Sperimenta
nelle sue creazioni artistiche differenti materiali, attingendo a simbologie e
riti, recuperando segni, componenti e riti d'iniziazione delle culture
extra-europee.
La
sua espressione artistica si esprime in differenti ambiti: dalla pittura alle
installazioni, performance, teatro, poesia ed editoria (è art director in una
casa editrice ed ha una rivista d'arte lui stesso, NIGHT ITALIA,
glamour/underground, referente europeo della rivista newyorkese NIGHT Mag di
Anton Perich con Andy Warhol)
Proprio
la sua attività editoriale ha offerto l’occasione del nostro incontro.

Il
filo conduttore del suo lavoro artistico può essere identificato nello svelare
l’alone metafisico che avvolge ogni gesto quotidiano, e il gesto artistico che
diventa parte dell’azione quotidiana.
Così
nella pratica Zen ogni gesto quotidiano richiama ad una dimensione che lo
ricollega all’ordine universale.
Anche
l’azione più intima e apparentemente banale richiama l’espressione di una mente
cosmica non ridotta alle egoistiche esigenze del singolo.
Espressione
dell’essere e del fare che lo Zen definisce come ‘il modo infinito di fare cose
finite’.
Il
gesto quotidiano diventa dunque partecipazione dell’uomo alla continua creazione
del mondo.
Affinare
il gesto diventa dunque arte, la vita stessa come opera d’arte.
L’altro
aspetto che lega la ricerca artistica di Marco con la nostra pratica è la
‘disciplina’ , la ricerca della pienezza attraverso la pratica quotidiana.
Nello
Zen si afferma: Shū Shō ichinyō : Pratica e realizzazione coincidono.
Il
suo legame artistico nello specifico legato al Giappone avviene attraverso
l'elaborazione del giardino zen e la pratica degli Haiku.
Scrissi
questa dedica a Marco in occasione dell’uscita del numero 10 di night Italia a
lui dedicato:

Questa
sera Marco ci racconterà come nascono i suoi lavori, le sue performance, e in
particolare la costruzione dei suoi haiku."
_______________________________________
Questo blog non rappresenta una testata giornalistica
in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale
in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale
ai sensi della legge n. 62 del 07 Marzo 2011
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