domenica 14 luglio 2024

Uno spillo nell'oceano

Insegnamento offerto da Taigō Spongia Sensei presso il Tora Kan Dōjō durante la Pratica Zen e pubblicato nel libro : 'La Forma del Vuoto: Riflessioni su Zen e Arti Marziali' di Paolo Taigô Spongia ed. Mediterranee disponibile per l'acquisto in tutte le librerie e online:






Kōshō Uchiyama Roshi, già discepolo di Sawaki Roshi, abate di Antai-ji, definiva la Pratica dello Zazen con una frase giapponese che aveva coniato: 'Omoi no o tebanashi'. 
‘Omoi’: pensiero, 'te': mano, 'no o tebanashi': aprire la mano, lasciare la presa. 
Può essere tradotto con 'Aprire la mano del pensiero'. È una definizione a mio parere, molto azzeccata. 
Cosa significa 'Aprire la mano del pensiero'? 
Intanto, il carattere ‘Omoeru’ '思' che significa 'pensare' o 'pensiero', ha al suo interno dei radicali che rappresentano un campo dalle cui profondità si sviluppano delle erbe di vario tipo; può essere l'immagine di un campo di riso nel quale nascono e crescono vari tipi di erbe oltre al riso... ed è quello che accade nel terreno della nostra mente. 
E perché aprire 'la mano del pensiero'? 
Se vi osservate in Zazen, se osservate la vostra mente, se osservate i vostri pensieri, vi accorgerete che la mente ripercorre sempre gli stessi percorsi, quasi mai si produce un pensiero originale. 
Il pensiero sorge, ordinariamente, sulla base dei condizionamenti, delle esperienze vissute, delle memorie, e quasi mai è un pensiero fresco, intuitivo, sorprendente. 
In qualche modo, anche se non ce ne accorgiamo, esercitiamo un controllo sul pensiero, e questo controllo, questo filtro in realtà non fa altro che produrre altro pensiero condizionato.
Allora 'aprire la mano del pensiero' significa: concentrati sulla postura e sul respiro, abbandonare questa presa, lasciar cadere questo filtro. 
In un passaggio dello Zuimonki, Dōgen Zenji rispondendo alla domanda di un allievo riguardo alla Pratica, risponde: 
"La Pratica del Buddhadharma è solo sedere, esclusivamente sedere. Non cercate altro al di fuori di questo"... molto radicale in questa sua risposta. 
Perché la Pratica del Buddhadharma è conoscere se stessi, e conoscere se stessi è nell’essere ‘solo seduti’ (Shikantaza). 
Siamo attratti irresistibilmente dalle pratiche che ci offrono consolazione e distrazione, che ci offrono tanti giocattoli con cui distrarci... guardatevi intorno, oggi è pieno di queste offerte.
Oggi più che mai le persone cercano distrazione, ma la Pratica non è mai distrazione.
Pratica è immergersi completamente nel 'problema del nascere e morire' in maniera impellente, radicale. 
Sedere in Zazen non è facile, essere di fronte a questo muro per tanti anni, giorno dopo giorno, eppure... eppure è tutto lì. 
Tornare alla nuda essenza della nostra mente, attraverso la postura ed il respiro come punti d'osservazione, senza giocattoli (altra definizione che amava Uchiyama Roshi: ‘Zazen senza giocattoli’) senza distrazioni. 
È per questo che è una pratica molto matura e asciutta, per tutti e per nessuno. 
Bisogna essere davvero determinati ad andare al nocciolo della questione fondamentale della nostra vita senza distrazioni e senza girarci intorno. 
Deshimaru Roshi diceva "È prendere la via diretta per la cima della montagna, senza disperdersi passeggiandoci intorno". 
Quindi se vi sentite chiamati dallo Zazen non perdete questa opportunità.
Se vi sentite chiamati nonostante tutte le resistenze e le difficoltà che possiate incontrare, che sono fisiologiche e assolutamente normali, vuol dire che il vostro Karma vi ha predisposto a questo Incontro. Non perdete questa opportunità, non torna più... 
Dōgen Zenji fa degli esempi molto esplicativi della rarità di questo incontro: "Incontrare il Buddhadharma è così raro come trovare uno spillo in un oceano." E quindi esorta: "Non perdete questa occasione".


(registrazione e sbobinatura a cura di Monica De Marchi)

© Tora Kan Dōjō

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