Pubblichiamo l'estratto di un Insegnamento offerto da Taigô Kônin Sensei durante la Pratica Zen.
Le lezioni hanno un carattere colloquiale del quale tener conto durante la
lettura.
Stendete bene la
schiena, tendete la nuca.
Mettete tutta la vostra passione nel vivere questo
Zazen. Mettete tutto l’entusiasmo che un bambino potrebbe esprimere
nell’esplorare una stanza piena di giocattoli che non ha mai visto. Esplorate
la postura, percepite le tensioni, le distensioni muscolari, cercate di trovare
il giusto equilibrio della postura seguendo le indicazioni generali che vi sono
state suggerite. Osservate il respiro, rimanete centrati, lasciate che la piccola
mente vada per i suoi percorsi senza seguirla, tornate costantemente alla
postura ed al respiro, radicatevi nella grande Mente. Imparate a centrarvi, a
rimanere presenti. Stabili come una montagna; la montagna sembra immobile a
guardarla da lontano ma in realtà brulica di vita.
Se sediamo in Zazen con
appassionata attenzione scopriremo che ogni giorno è un’esplorazione che ci
offre nuove prospettive, visioni, orizzonti. Il nostro corpo e la nostra mente
sono in costante trasformazione; non è mai la stessa persona che siede in Zazen,
neanche per due momenti consecutivi.
Quando noi sediamo in
Zazen riflettiamo la nostra immagine, osserviamo la nostra trasformazione,
diventiamo testimoni di questa metamorfosi. E’ un’illusione quella di poter
pensare di aver già vissuto questa esperienza, anche se sedete in Zazen da
vent’anni, sarà sempre un nuovo Zazen.
Vi invito nelle
occasioni che abbiamo di incontro e di scambio a fare domande riguardo la
Pratica. Non ci sono domande che potete considerare poco profonde soprattutto
se riguardano l’esercizio. Bisogna chiarire i propri dubbi, le proprie
incertezze e rettificare costantemente il nostro esercizio.
Lo Zazen è l’archetipo
della nostra esistenza, e possiamo viverlo in due modi: subirlo, come
un’esercizio di resistenza e una prestazione o viverlo appassionatamente, come una profonda
esplorazione di noi stessi, della vita. Qualunque cosa incontriamo e nella
nostra vita possiamo viverla nello stesso modo, qualunque cosa ci capiti.
Il nostro atteggiamento
e la nostra predisposizione nell’incontrare la vita è quello che determina il
risultato dell’incontro.
Spesso quando sediamo
in Zazen, soprattutto agli inizi, il nostro corpo e la nostra mente si
ribellano. Rifiutano di acquietarsi perché siamo stati condizionati a pensare
che quando ci agitiamo, quando ci muoviamo, quando pensiamo, lì troviamo la
nostra esistenza e la nostra identità. Invece lo Zazen spazza via radicalmente
questa falsa credenza e ci mette di fronte al fatto che, anche se non facciamo
nulla, e ci limitiamo a respirare, siamo pienamente impegnati nell’azione della
Vita, non più limitata alle nostre piccole illusioni ma in un’azione senza
confini, infinita.
Abbiamo così modo di
scoprire il nostro vero volto, la nostra vera identità. Spesso offuscata dalla
nostra agitazione, dal nostro afferrarci all’immagine che ci siamo dati di noi
stessi.
Zazen fa cadere le
maschere… cosa rimane? Alla fine deve rimanere uno zafu vuoto.
Se non subiamo lo Zazen
ma lo esploriamo, sarà divertente notare tutte le strategie che mette in atto la nostra mente per fuggire via,
per ritornare al clamore nel quale si è identificati. E per non cadere nelle
trappole che la mente ci tirerà, per non essere trascinati via dalle onde che
genera, dobbiamo affidarci completamente alla postura, al respiro che diventano delle ancore che ci tengono qui,
centrati.
Ricordo molti anni fa, forse venti,
partecipavo ad una Sesshin che il mio primo Maestro aveva deciso non dovesse avere
luogo nel Tempio. Praticammo questa Sesshin in un Monastero di Suore Francescane.
Praticavamo Zazen in una chiesa molto piccola, ed eravamo in molti, per cui
avevamo riempito tutti gli spazi. Ricordo che andai pur con la febbre, faceva
piuttosto freddo, c’era la neve e la chiesetta era piuttosto fredda. Ricordo
con grande chiarezza e con grande emozione le sensazioni che provai durante gli
Zazen; la mia condizione fisica mi costrinse ad essere particolarmente
presente. Gestire il respiro
nell’affanno del raffreddore o il naso che colava e che lasciavo colare…
rimanevo fermo, immobile… “Si fermerà da sé” pensavo. Fu la prima volta che
vissi da dentro con intensità la condizione del mio corpo senza rifiutarla ,
respingerla, senza vederla come un impedimento; semplicemente l’accettai, quello
che in quel momento era/ero. Al termine della Sesshin ero guarito. Vissi con profonda intensità quei periodi di
Zazen, proprio perché potei esplorare una dimensione apparentemente disagevole,
ma che in realtà mi favorì.
A volte qualche disagio
può essere un buon maestro, una buona occasione. Il male alle gambe che spesso
agli inizi in qualche modo malediciamo pensando che non sia parte del nostro
Zazen, che sia un impedimento, in realtà ci tiene svegli, ci aiuta. E’ molto
più faticoso mantenersi svegli e non cadere nel torpore quando si è seduti a
proprio agio.
Quindi qualsiasi cosa
incontriate nel vostro Zazen sappiate che è il vostro Zazen e così com’è è
perfetto. Non c’è niente che domani farà del vostro Zazen uno Zazen migliore.
Se vi impegnate con
entusiasmo e partecipazione, il vostro Zazen, in questo momento e in qualsiasi
condizione, è il miglior Zazen che potrete mai
praticare nella vostra vita.
Se invece voi aspettate un altro momento o
vivete lo Zazen senza partecipazione, senza slancio, o lo subite… allora non è
che non sia un “buon Zazen”, semplicemente non state praticando Zazen.
© Tora Kan Dōjō
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