mercoledì 30 ottobre 2019

Penso al mio Maestro...

Valerio Proietti Sensei

Quelle parole tracciate come un filo che nasce
In un segno,
Un’ampia veduta cristallina
di un’idea forte di un’idea che vive;
contrapposta ad una visione reale,
ma rimane puro e semplice sogno;
divide le schiere che fronteggiano il tempo,
Un accenno d’amore di chi s’incammina verso
L’infinito..Maestro!

Sono parole nate senza volerlo, tutte quelle volte che in un silenzio obbligatorio attendevo un coraggio diverso. Entrai a far parte del Dōjō, e non sapevo; ora faccio parte del Dōjō e non so calcolare veramente fin dove può portare il credere in un’idea.

Lo spirito del Dōjō è vivo, è vero, grazie a quella forza che può far parlare semplici mura, grazie a quei cuori che fanno battere il cemento; e mentre, come tutti, ascolto le parole del Maestro, un vero Maestro, che il solo nominarlo mi rende fiero, penso in silenzio agli anni, ai giorni, ai momenti di pratica in cui ho desiderato, e desidero, percorrere la Via.

Quand’ero bambino vedevo il Dōjō e i compagni di pratica come il luogo e le persone che potevano darmi qualcosa che la scuola non avrebbe mai saputo insegnarmi. Da ragazzo ho poi scoperto che il Dōjō cresceva insieme a me, e nello stesso tempo mi insegnava a crescere, come un desiderio indecifrabile mi ha sempre accompagnato.

So che è difficile non arrendersi mai, ma so anche che il desiderio di crescere sempre donatomi, spinge il mio pensiero verso voi, che in parte siete il mio Karate. 
Colgo questo momento per dire una cosa che sono sicuro tutti noi allievi pensiamo:
Il Dōjō non morirà mai, perché tu hai reso il suo animo puro...”.

Concludo con le parole dell'uomo che ci ha sempre parlato attraverso la sua forza e il suo essere :

 
Sappiate che la nostra pratica non è quella di chi borbotta, mugugna e si lamenta,
ma è la pratica dell’azione, dell’entrare in gioco, incuranti della vittoria o della sconfitta ….
Vedremo se guardiamo verso lo stesso orizzonte, vedremo ….


Valerio Proietti Sensei

Anno VI N° 23 Estate/Autunno 2001




© Tora Kan Dōjō





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domenica 27 ottobre 2019

Incontrare la Vita


Pubblichiamo l'estratto di un Insegnamento offerto da Taigô Kônin Sensei durante la Pratica Zen.
Le lezioni hanno un carattere colloquiale del quale tener conto durante la lettura.



Stendete bene la schiena, tendete la nuca. 
Mettete tutta la vostra passione nel vivere questo Zazen. Mettete tutto l’entusiasmo che un bambino potrebbe esprimere nell’esplorare una stanza piena di giocattoli che non ha mai visto. Esplorate la postura, percepite le tensioni, le distensioni muscolari, cercate di trovare il giusto equilibrio della postura seguendo le indicazioni generali che vi sono state suggerite. Osservate il respiro, rimanete centrati, lasciate che la piccola mente vada per i suoi percorsi senza seguirla, tornate costantemente alla postura ed al respiro, radicatevi nella grande Mente. Imparate a centrarvi, a rimanere presenti. Stabili come una montagna; la montagna sembra immobile a guardarla da lontano ma in realtà brulica di vita.
Se sediamo in Zazen con appassionata attenzione scopriremo che ogni giorno è un’esplorazione che ci offre nuove prospettive, visioni, orizzonti. Il nostro corpo e la nostra mente sono in costante trasformazione; non è mai la stessa persona che siede in Zazen, neanche per due momenti consecutivi.
Quando noi sediamo in Zazen riflettiamo la nostra immagine, osserviamo la nostra trasformazione, diventiamo testimoni di questa metamorfosi. E’ un’illusione quella di poter pensare di aver già vissuto questa esperienza, anche se sedete in Zazen da vent’anni, sarà sempre un nuovo Zazen. 
Vi invito nelle occasioni che abbiamo di incontro e di scambio a fare domande riguardo la Pratica. Non ci sono domande che potete considerare poco profonde soprattutto se riguardano l’esercizio. Bisogna chiarire i propri dubbi, le proprie incertezze e rettificare costantemente il nostro esercizio.
Lo Zazen è l’archetipo della nostra esistenza, e possiamo viverlo in due modi: subirlo, come un’esercizio di resistenza e una prestazione o viverlo appassionatamente, come una profonda esplorazione di noi stessi, della vita. Qualunque cosa incontriamo e nella nostra vita possiamo viverla nello stesso modo, qualunque cosa ci capiti.
Il nostro atteggiamento e la nostra predisposizione nell’incontrare la vita è quello che determina il risultato dell’incontro.
Spesso quando sediamo in Zazen, soprattutto agli inizi, il nostro corpo e la nostra mente si ribellano. Rifiutano di acquietarsi perché siamo stati condizionati a pensare che quando ci agitiamo, quando ci muoviamo, quando pensiamo, lì troviamo la nostra esistenza e la nostra identità. Invece lo Zazen spazza via radicalmente questa falsa credenza e ci mette di fronte al fatto che, anche se non facciamo nulla, e ci limitiamo a respirare, siamo pienamente impegnati nell’azione della Vita, non più limitata alle nostre piccole illusioni ma in un’azione senza confini, infinita.
Abbiamo così modo di scoprire il nostro vero volto, la nostra vera identità. Spesso offuscata dalla nostra agitazione, dal nostro afferrarci all’immagine che ci siamo dati di noi stessi.
Zazen fa cadere le maschere… cosa rimane? Alla fine deve rimanere uno zafu vuoto.  
Se non subiamo lo Zazen ma lo esploriamo, sarà divertente notare tutte le strategie che  mette in atto la nostra mente per fuggire via, per ritornare al clamore nel quale si è identificati. E per non cadere nelle trappole che la mente ci tirerà, per non essere trascinati via dalle onde che genera, dobbiamo affidarci completamente alla postura, al respiro che  diventano delle ancore che ci tengono qui, centrati.

Ricordo molti anni fa, forse venti, partecipavo ad una Sesshin che il mio primo Maestro aveva deciso non dovesse avere luogo nel Tempio. Praticammo questa Sesshin in un Monastero di Suore Francescane. Praticavamo Zazen in una chiesa molto piccola, ed eravamo in molti, per cui avevamo riempito tutti gli spazi. Ricordo che andai pur con la febbre, faceva piuttosto freddo, c’era la neve e la chiesetta era piuttosto fredda. Ricordo con grande chiarezza e con grande emozione le sensazioni che provai durante gli Zazen; la mia condizione fisica mi costrinse ad essere particolarmente presente.  Gestire il respiro nell’affanno del raffreddore o il naso che colava e che lasciavo colare… rimanevo fermo, immobile… “Si fermerà da sé” pensavo. Fu la prima volta che vissi da dentro con intensità la condizione del mio corpo senza rifiutarla , respingerla, senza vederla come un impedimento; semplicemente l’accettai, quello che in quel momento era/ero. Al termine della Sesshin ero guarito.  Vissi con profonda intensità quei periodi di Zazen, proprio perché potei esplorare una dimensione apparentemente disagevole, ma che in realtà mi favorì.
A volte qualche disagio può essere un buon maestro, una buona occasione. Il male alle gambe che spesso agli inizi in qualche modo malediciamo pensando che non sia parte del nostro Zazen, che sia un impedimento, in realtà ci tiene svegli, ci aiuta. E’ molto più faticoso mantenersi svegli e non cadere nel torpore quando si è seduti a proprio agio.  
Quindi qualsiasi cosa incontriate nel vostro Zazen sappiate che è il vostro Zazen e così com’è è perfetto. Non c’è niente che domani farà del vostro Zazen uno Zazen migliore.
Se vi impegnate con entusiasmo e partecipazione, il vostro Zazen, in questo momento e in qualsiasi condizione, è il miglior Zazen che potrete mai  praticare nella vostra vita. 
Se invece voi aspettate un altro momento o vivete lo Zazen senza partecipazione, senza slancio, o lo subite… allora non è che non sia un “buon Zazen”, semplicemente non state praticando Zazen.


© Tora Kan Dōjō







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mercoledì 23 ottobre 2019

Camminare col Buddha

Gridhrakūṭa; la cima di una delle colline attorno a Bodh Gaya,
luogo in cui il  Buddha raggiunse l’Illuminazione. 

Il Buddha non si trova solo sul Gridhrakūṭa, il Picco dell'Alvoltoio: 
se alla radio annunciassero che il Buddha sta per riapparire sul Picco dell'Avvoltoio e che il pubblico è invitato a unirsi a lui in una meditazione camminata, si riempirebbero tutti gli aerei per l'India; potresti rimanerci male, perché anche tu vorresti andarci. Ma anche fossi abbastanza fortunato da trovare un posto su un aereo, potrebbe essere che tu non riesca a goderti una meditazione camminata insieme al Buddha; ci sarebbe tantissima gente, gran parte della quale non sa camminare inspirando ed espirando in presenza mentale e dimorando nel momento presente. 
A cosa ti servirebbe andare fin là?
Osserva in profondità la tua intenzione. Vuoi volare all'altro capo del mondo per poter dire, in seguito, di essere stato col Buddha? Molti vogliono proprio questo; arrivano in un luogo di pellegrinaggio, incapaci di essere "qui e ora", guardano il luogo e pochi minuti dopo corrono alla meta successiva. Fanno fotografie per dimostrare che sono stati proprio là, e non vedono l'ora di tornare a casa per mostrarle agli amici: 
<<Io c'ero. Ho le prove. Eccomi qui in piedi di fianco al Buddha>>. Sarebbe questo il desiderio di molte delle persone lì riunite: incapaci di camminare con il Buddha, incapaci di essere qui e ora, vogliono soltanto poter dire: 
<<Io c'ero, questo sono io, in piedi vicino al Buddha>>. Ma non è vero. 
In realtà non erano lì. E quello non è il Buddha.
"Esserci" è un concetto, il Buddha che vedi è mera apparenza. 
Non puoi fotografare il Buddha reale neanche se possiedi una macchina fotografica costosissima.

Se non puoi prendere un aereo e volare in India, per favore pratica la meditazione camminata a casa tua: lì potrai davvero tenere per mano il Buddha, camminando.
Cammina felice e in pace: basta questo perché il Buddha sia lì con te.
Colui che vola avanti e indietro dall'India e mostra le sue foto a fianco del Buddha non ha visto il vero Buddha. Tu hai la realtà, lui ha solo un segno. 
Non correre di qua e di là cercando occasioni per fare fotografie: entra in contatto col Buddha reale, lui è disponibile; prendilo per mano e pratica la meditazione camminata. Quando puoi raggiungere la dimensione assoluta, cammini insieme al Buddha. L'onda non ha bisogno di morire per divenire acqua: è già acqua.
Questa è la Concentrazione come viene descritta nel Sutra del Loto.
Vivi a fondo ogni momento della tua vita e, mentre cammini, mangi, bevi e guardi la stella del mattino, potrai entrare in contatto con la dimensione assoluta della realtà. 

Thich Nhat Hanh
Tratto da “Il Cuore dell’Insegnamento del Buddha
Traduzione di D. Petech
Ed. Neri Pozza, 2000.
© Tora Kan Dōjō









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domenica 20 ottobre 2019

I miei inizi a Soji-ji


Sesshin condotto da Kodo Sawaki Roshi. 
Al centro, in kimono nero da sinistra a destra: Taisen Deshimaru Roshi e Kodo Sawaki Roshi.

Questa storia ebbe un effetto totalmente inatteso. 
Ribollivo d’impazienza, dovevo assolutamente rivedere il Maestro. 
Finalmente giunse la tanto sospirata domenica. 
Mi presentai con molto anticipo e andai direttamente nella sua stanza. 
Questa volta era circondato da un gruppo di monaci e di discepoli laici.  
Mi presentò sorridendo: “E’ un discepolo che viene da Saga. Durante una Sesshin a Enkaku-ji, ha picchiato un Junko(1). Vi prego dunque di trattarlo con riguardo”. 
Parlava di me come se fossi un pericoloso bandito. Poi mi fece conoscere un certo Abe Yutaka che aveva un’aria molto scaltra. Probabilmente pensava che i nostri caratteri si accordassero. Non s’ingannava: Abe Yutaka divenne uno dei miei amici più intimi, e dopo la sua morte mi presi cura dei suoi bambini. 
Osservai con curiosità il modo in cui sapeva ottenere il rispetto dalla sua cerchia, ridendo e mettendo tutti a proprio agio. Ma qualcuno, un certo Saito, pose infine una domanda seria: “L’anima è immortale?”. 
“L’anima è inesprimibile, ma lo spirito che appartiene a ciascun individuo può adottare molteplici aspetti. D’altronde il Buddhismo primitivo non utilizzava questo concetto di Reikon(2)” rispose Abe Yutaka con gravità. 
L’ora dello zazen era giunta, tutti si alzarono. Solo io rimasi seduto. 
Allora il Maestro Sawaki si rivolse a me, dicendo: “Ebbene, che cosa aspetti a seguirli? Osservali e imitali, e anche se le gambe ti faranno male, pensa alla tua postura”. 
Ubbidii con gioia, raggiungendo gli altri: Abe mi venne vicino e mi spiegò con gentilezza come comportarmi, mentre attraversavamo il corridoio. 
Arrivammo alla grande sala si meditazione. Ciascuno fece Gassho(3), chinando la testa davanti al capo del tempio, poi andammo a sederci nella parte sinistra della sala. 
Entrò allora il Maestro Sawaki, s’inchinò anch’egli, le mani giunte, davanti al capo del tempio, accese l’incenso dinanzi al quale si prostrò per tre volte, poi cominciò a fare il giro della sala per verificare le posture. Infine si sedette e diede tre colpi di campana per indicare che lo zazen era incominciato. 
L’atmosfera era completamente diversa da quella dell’Enkaku-ji. 
Certo, il silenzio era teso e suggestivo, ma anche sereno. Inoltre non era turbato dal martellamento ininterrotto ed esasperante dei colpi di kyosaku(4). 
Dopo trenta minuti, la parola Kusen(5) pronunciata dal Maestro risuonò attraverso l’intera sala. Come un sasso gettato nell’acqua calma di uno stagno, risvegliava la mia coscienza in cerchi concentrici. L’intensità delle inflessioni di ogni parola del Maestro sembrava provenire dalle profondità del suo corpo. 




Zazen, è diventare intimi con se stessi. Zazen, è saper essere soli in seno all'Universo, è apprendere a conoscersi, a familiarizzare perfettamente con se stessi.
In Zazen, non si deve attender nulla, si deve essere completamente Mushotoku(6). 

Non bisogna ricercare il Satori, né la soluzione dei propri dubbi; non bisogna neppure sforzarsi di scacciare i pensieri importuni, perché niente è importante.
Zazen, è una disciplina di tutto il corpo. È con i propri sensi, non con la mente, che bisogna percepire la Via di Buddha. Questa disciplina fisica è essa stessa il Satori. 

La postura è sufficiente per raggiungere il Satori.
Durante lo Zazen, ciascuno conosce l'universo, arriva a contemplarlo con un solo sguardo. Fare Zazen, per decine d'anni senza comprenderne l'essenza è un'impresa futile, che non ha alcun rapporto con la Via del Buddha.
La postura deve essere maestosa, imponente; non deve somigliare a quelle tigri di carta a cui la testa si muove in tutte le direzioni
.
 

Avevo l’impressione che la sua osservazione fosse rivolta a me, per cui corressi la mia postura quanto più potei. Le gambe piegate mi facevano soffrire le pene dell’inferno, e fortunatamente suonò la campana che segnava la fine della seduta. Mi affrettai a uscire. 
Non avevo ricevuto un solo colpo di kyosaku: forse il Maestro usava riguardi con i nuovi venuti. Mi sentivo un po’ frustrato, perché da lui avrei sopportato qualsiasi cosa. 
Ci recammo poi in un anfiteatro dove ci tenne una conferenza sullo Shodoka(7). 
Le parole fluivano con naturalezza dalla sua bocca, non doveva cercarle, l’ispirazione gli veniva dagli argomenti più inattesi. Questa assoluta spontaneità mi sorprendeva.


Imparate a trascendere la storia. 
Non perché un uomo è altolocato può dirsi grande, né il possesso di molto denaro lo farà saggio. “Perché avete fede?” ho l’abitudine di chiedere. Il più delle volte mi si risponde: “Perché non voglio andare all’inferno”. “Ma come sapete che si sta meglio in paradiso che all’inferno?”. Allora il mio interlocutore non sa più cosa rispondere. “All’inferno, dopo tutto, potreste fare delle belle bevute con i diavoli, vostri fratelli!”.



Questo mi ricordò che la domenica precedente ero precisamente stato uno di quei fratelli diavoli con i quali aveva bevuto. 

E poi i demoni e gli angeli hanno la medesima origine. E anche gli alberi, i fiori, i fiumi e le montagne. L’illuminato è senza ego, non è privo di personalità. Il cielo e la terra sono uno e infinito, nessuno esiste al di fuori di se stesso e l’io non esiste al di fuori degli altri. Nella nostra epoca, gli uomini preferiscono il denaro alla religione, e così inevitabilmente precipitano all’inferno. L’atteggiamento dell’uomo che cade in un fiume e che si dibatte con tutte le sue forze per non annegare, è totalmente diverso da quello di colui che si tuffa nel fiume per salvarlo. Lo stesso vale per l’inferno. Colui che ci cade e colui che vi entra per salvarlo, hanno atteggiamenti diametralmente opposti. È quanto insegna la Via del Bodhisattva(8) nel Buddhismo Mahayana. 
Non c’è comportamento più propizio del darsi totalmente agli altri, dimenticandosi completamente di se stessi. Fino a oggi, io ho fuggito la fama. 
Che cos’è, infatti, la fama? E di denaro non ne ho bisogno per vivere. 
Tuttavia mi sono sempre battuto con passione. Ho rifiutato di fare della mia vita un’avventura soltanto intellettuale. È nello sforzo che ho trovato la misura di me stesso. 
Ho evitato la gloria così come la gelosia, che non conosco. 
Il principe Satta, prima di essere divorato da una tigre, pronunciò le seguenti parole: Ogni atto è effimero; ogni essere vivente è ineluttabilmente condannato a scomparire; noi non fuggiamo a questa legge. La solitudine della morte deve diventare la nostra gioia”. 
Sono parole che possono suonare strane alle vostre orecchie, ma esse dimostrano la passione di Satta nella sua ricerca della Verità. Gli importava poco della sua vita, di fronte all’urgenza della sua ricerca. Il principe Fuse Daishi, uno dei discepoli di Buddha, si ritirò un giorno su una montagna, abbandonando moglie, figli, rango e ricchezze. 
E tutto questo a un unico scopo, semplicemente per scoprire le profondità di se stesso, 
perché fino a quel momento non si era mai veramente conosciuto”. 





Note al Lavoro:

(1)Junko: Monaco incaricato di sorvegliare che i partecipanti dello zazen mantengano la dovuta concentrazione.
(2)Reikon: Termine giapponese che si compone di due caratteri: rei, l’anima, e kon, lo spirito.
(3)Gassho: Gesto di saluto che consiste nel congiungere le mani in verticale davanti al petto; è il simbolo dell’unità dell’esistenza e dello spirito.
(4)Kyosaku: Da kyo, attenzione, e saku, bastone. Bastone piatto destinato a favorire la concentrazione, e utilizzato durante lo zazen dal maestro su richiesta di colui che medita, o per iniziativa dello stesso maestro.
(5)Kusen: Breve sermone che si tiene durante lo zazen e che costituisce la trasmissione orale dell’insegnamento del Maestro.
(6)Mushotoku: Senza scopo né spirito di profitto.
(7)Shodoka: Ossia Canto dell’immediato Satori, del Maestro Yoka Daishi (649-713) che fu discepolo di Houei-neng, il sesto patriarca.
(8)Via del Bodhisattva: o Bosatsu Do, la dottrina che insegna che la perfezione personale deve accompagnarsi alla compassione universale.


Taisen Deshimaru Roshi
Tratto da "Autobiografia di un Monaco Zen"
Traduzione di Guido Alberti,
Ed. SE