di Paolo Taigō Spongia
E’ opinione
diffusa che il Karate sia un’Arte Marziale che predilige la lunga distanza nel
combattimento. Opinione affermatasi probabilmente in chi del Karate conosce
esclusivamente l’aspetto sportivo. Il Goju-Ryu di Okinawa è all’opposto un’arte
marziale che nella sua strategia di combattimento ricerca la corta distanza per
applicare le sue caratteristiche tecniche offensive.
Gran parte degli stili di Karate, compreso il Goju-Ryu di derivazione
giapponese, hanno perso nel loro bagaglio tecnico-tattico-motorio le abilità
necessarie, affinate attraverso apposite esercitazioni, per combattere alla
corta distanza, nel momento in cui si giunge in una situazione di contatto con
il corpo dell’avversario. Questa carenza è ancora più evidente nella riduzione
sportiva del combattimento di Karate dove la ricerca della spettacolarità e
dell’ampiezza del gesto, l’interruzione dell’azione da parte dell’arbitro
etc. non stimolano nessun interesse verso lo studio e la pratica del
combattimento ravvicinato, determinando così grandi limitazioni tecniche e
psicologiche nel karateka, allenato esclusivamente per il combattimento
sportivo, che si trovi a fronteggiare una situazione di combattimento reale o
più vicino alla realtà e comunque perdendo un prezioso tesoro di informazioni
per lo sviluppo della propria pratica.
Lo stesso Jigoro Kano (fondatore del Judo), che conosceva il Karate di
Funakoshi, rimase profondamente impressionato dalla dimostrazione che Chojun
Miyagi il (fondatore del Goju-Ryu) diede in suo onore in occasione della visita
di Kano ad Okinawa nel 1927.
Dopo la dimostrazione Kano chiese a Miyagi: "Ci sono ne-waza (tecniche
di lotta al suolo) nel Karate ?" Miyagi rispose che nel Goju-Ryu non solo
ci sono tecniche di ne-waza ma anche nage-waza(tecniche di
proiezione), shime-waza (tecniche di strangolamento) e Gyaku-waza (tecniche
di leva articolare) e ne dimostrò alcuni esempi sottolineando l’importanza del
controllo respiratorio nell’azione. Kano Sensei fu sorpreso dallo scoprire che
il Karate non comprendeva solo calci e pugni e scrisse a Miyagi da Shangai
(dove si era recato dopo la tappa ad Okinawa) una lettera di apprezzamento e
tra loro iniziò una ricca corrispondenza epistolare.
Il praticante di Goju-Ryu di Okinawa esercita continuamente le proprie abilità
nel combattimento ravvicinato sia attraverso l’uso di particolari attrezzature
d’allenamento che sviluppano la capacità di presa, di leva, di stabilità e
forza, nonché la capacità di usare tutto il corpo coordinato con il respiro e
l’energia (Ki) nelle applicazioni tecniche.
Inoltre pratica vari esercizi di combattimento: dal Randori (combattimento
rallentato finalizzato a migliorare la creatività d’azione e l’istintualità)
al Bunkai Kumite (applicazioni in coppia del Kata, con particolare
enfasi posta sullo Zanshin e sulla determinazione nell’azione),
allo Iakusoku e Renzoku (combinazioni più o meno complesse di
attacco-difesa), al combattimento libero nella forma dell’Iri-Kumi (termine
liberamente tradotto come ‘combattimento continuo’ o ‘combattimento a corta
distanza’, forma di combattimento con contatto pieno che permette, con o senza
protezioni apposite di applicare tecniche di calcio alle gambe e di ginocchio,
atemi a mano aperta e di gomito, prese, leve, proiezioni e Ne-Waza: lotta
a terra)1.
Infine, essenziale esercitazione al combattimento ravvicinato, definita dal
fondatore Chojun Miyagi: "L’autentico combattimento del Goju-Ryu", è
il Kakie.
Le
arti marziali apprese da Kanryo Higaonna in Cina, nel Fuchao, alla
fine del 19° secolo e trasmesse a Chojun Miyagi che le ha a sua volta
affinate e trasmesse ad An’Ichi Miyagi insegnante dell’attuale
Caposcuola dell’International Okinawan Goju-Ryu Karate-Do Federation: Morio
Higaonna , sono ancora radicate nella realtà del combattimento e
caratterizzate da influenze spirituali del Buddhismo e del Taoismo.
A causa della loro 'fresca' relazione con il combattimento reale, che si decide
di solito in uno o due metri quadri, queste arti marziali contenevano molte
tecniche per il combattimento a corta distanza, come le cosiddette qinna o
tecniche di presa, incluse proiezioni, strangolamenti, attacchi ai vasi
sanguigni, leve articolari, attacchi ai punti vitali, etc. Tecniche che, oltre
a colpi di gomito, ginocchio calcio e attacchi di testa,tendono a giocare un
ruolo determinante in un combattimento reale dall’antichità fino ad oggi.
Le tecniche di presa menzionate sopra erano, ed ancora sono, praticate
nel bunkai kumite e kakie.
Molti esercizi per il combattimento della Cina Meridionale cominciano da una
situazione in cui i praticanti già sono in contatto con certe parti del corpo,
soprattutto l'avambraccio. Gli avambracci sono spesso denominati ‘ponti’ poichè
connettono i corpi dell'assalitore e del difensore e creano l’occasione per
entrare nella difesa dell'assalitore.
Oggi, ancora molti di questi esercizi esistono e sono praticati nelle arti da
combattimento della Cina Meridionale e di Okinawa. Ben noti esempi di questi
sono tuishou (‘mani che spingono’) del Taijiquan e chishou del Yongchun
quan. Nel Karate Goju-ryu di Okinawa questo genere di esercizi sono
raccolti sotto il nome di 'kakie’,pronunciato 'koki’ nel
dialetto del Fujian , e giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo delle
abilità nel combattimento2.
L'impatto della pratica del kakie sullo sviluppo delle abilità
del karateka, sia da una prospettiva marziale che terapeutica,può essere
enorme a causa dell’intenso, continuo e vivo feedback che ottiene il praticante
. Il Kakie è un interessante punto d’incontro di differenti esercizi
di karate-do, connette la fondamentale e profonda ginnastica
terapeutica e i principi meditativi del kata Sanchin, la ricchezza tecnica
del Bunkai kumite e la potente dinamica dell’Iri kumi.
Dalla prospettiva della ‘cinetica ed energetica’ il kakie ha un forte
impatto sulla capacità di radicare e stabilizzare la propria postura,
centrarsi; regolare il respiro, l’assorbire ed estendere la potenza, muchimi, chiru
nu chan chan (più avanti spiegherò il significato di questi termini)3 e
altre qualità di base.
Le tecniche di presa, incorporate nel bunkai kumite e nel kakie,
e derivate dai movimenti dei kata, sono dette tuite (tuidi)
o gyakute. Tuite può essere tradotto come ‘mani che
afferano’. Gyakute letteralmente significa ‘mani rovescianti’,
spiegando il suo carattere difensivo facendo riferimento al rovesciare,
allentare o rilasciare una presa dell’avversario con il significato di tecniche
di leva articolare, proiezioni, strangolamenti o altro.
Le stesse tecniche di tuite o gyakute possono anche essere
applicate contro attacchi di calcio o di pugno.
Le situazioni di combattimento a corta distanza richiedono delle abilità
specifiche che non possono essere sviluppate attraverso pratiche di
combattimento a lunga distanza. A corta distanza è più difficile parare e
attaccare con atemi, in particolare spesso gli attacchi non possono essere
percepiti con la vista perché l’avversario è molto vicino e sono lanciati da
una distanza ridotta (il che richiede una specifica capacità di sviluppare
potenza senza nessun caricamento del colpo: sun zuki), il tempo di
reazione è inoltre ridotto al minimo. In questa situazione di combattimento si
deve fare affidamento ad una sensibilità specifica al contatto con
l’avversario, una sensibilità che permetta letteralemente di intuire le sue
intenzioni sul nascere.
Il combattente allenato a questo tipo di combattimento giunto alla corta
distanza cercherà di ‘aderire’ al corpo dell’avversario per percepirne le
intenzioni attraverso le tensioni e distensioni muscolari e le canalizzazioni
energetiche, soffocandone sul nascere l’azione o reindirizzando l’energia a
proprio vantaggio.
Morio Higaonna Sensei è solito dire: "Il kakie è particolarmente indicato
nel combattimento a corta distanza. Nel normale kumite sono per lo più gli
occhi che leggono le intenzioni dell’avversario. Nel combattimento ravvicinato,
invece, è vitale percepire il movimento dell’avversario attraverso il tatto."
Questo sviluppo della sensibilità, con e senza contatto, è strettamente
collegata all’affinare quella capacità che nel dialetto di Okinawa è definita ‘chiru
nu chan chan’.
Questo termine si riferisce ad una azione esplosiva che deriva da una perfetta
coordinazione nella contrazione e decontrazione dei muscoli e dei tendini, ma
ha connotati più profondi che comprendono la capacità di anticipare l’attacco
dell’avversario incrementando la propria sensibilità, il che permette di
esprimere azioni fulminee riducendo al minimo il tempo di reazione.
A livelli avanzati questa sensibilità si estende ad un livello mentale ed
energetico definito ‘kanken’, che può essere tradotto come intuizione o sesto
senso.
Questa capacità (chiru nu chan chan), anche muscolare, può essere ottenuta solo
a prezzo di un quotidiano allenamento ed è tenuta in grande considerazione dai
maestri di karate di Okinawa.
La realtà del combattimento impone inoltre al combattente che cerchi la corta
distanza di sviluppare la capacità di assorbire qualche colpo nel chiudere la
distanza. In altri termini, è necessario sviluppare l’abilità, di assorbire gli
attacchi in quelle aree del corpo che possono essere protette attraverso una
specifica contrazione muscolare e attraverso particolari cambiamenti della
posizione di guardia.
Il Goju-Ryu di Okinawa prevede molti esercizi che ‘forgiano’ il corpo e le
estremità affinché acquisiscano questa resistenza all’impatto e che inoltre
permettono di sviluppare la capacità di assorbire l’impatto nel modo più
razionale e meno dannoso attraverso la giusta coordinazione tra movimento,
contrazione e respiro.
Esempi di queste esercitazioni sono il: tai atari, l’ude tanren e
l’allenamento al makiwara.
Gli esercizi di Tai atari e di Ude tanren hanno la loro
origine nello stile luohan quan o ‘la boxe del monaco’. Il luohan
quan insieme al hu quan o ‘boxe della tigre’ e allo he
quan o ‘boxe della gru’, sono le fondamenta da cui si è evoluto il
Goju-ryu di Okinawa.
Fondamentale è inoltre sviluppare la capacità di incrementare la propria
energia vitale (Ki), accumularla nel Tanden e indirizzarla alle
aree che subiscono il contatto ‘fondendo il Ki’ nelle ossa, muscoli e tendini.
La base per lo sviluppo di queste ‘abilità energetiche’ è l’allenamento
del Kata Sanchin.
Il Kata Sanchin è finalizzato proprio all’unificazione della mente e
del corpo attraverso l’incremento e il controllo del respiro e dell’energia, ed
è a pieno titolo considerato una forma di Kiko, esercizio per
il Ki. Sanchin significa proprio risolvere i ‘tre conflitti’ tra
corpo-mente e respiro.
Un particolare tipo di pratica respiratoria esercitata nel Goju-ryu di Okinawa
e fondamentale nel combattimento a corta distanza è il metodo ‘noon’. In questo
genere di respirazione si impara a trattenere il respiro durante l’estensione
di energia, questo permette di assorbire colpi mentre si attacca con tecniche
di pugno, calcio, si proietta... Questa dinamica respiratoria richiede un alto
livello di controllo respiratorio, un forte sviluppo del tanden e
l’apertura dei meridiani energetici.
Una delle abilità che l’esercitazione Kakie permette di acquisire nel
combattimento ravvicinato è proprio questa capacità di sospendere il respiro al
culmine dell’azione.
Anche nel superiore Kata Suparinpei troviamo in varie fasi questa
particolare dinamica respiratoria ‘noon’.
In altri eventuali articoli mi propongo di illustrare altri aspetti della
pratica del Goju-Ryu di Okinawa tra i quali gli esercizi di potenziamento
muscolare-energetico, Bunkai Kumite, Iri Kumi....
Torniamo per ora a parlare dell’esercitazione Kakie.
Nell’esercitazione Kakie i due (a volte tre) praticanti partono da
una situazione di contatto dell’avambraccio anteriore e cercano una forte
stabilità attraverso il ‘radicamento’ (definito rooting in inglese) sviluppato
con l’allenamento del Kata Sanchin abbinato alla necessità di essere
estremamente mobili e paradossalmente ‘leggeri’ negli spostamenti (questo fa
perfettamente comprendere i principi ‘Go’ e ‘Ju’) quindi cominciano a
‘spingere’ verso il corpo del compagno. La ‘spinta’ (che può trasformarsi
in atemi) può avvenire sul piano orizzontale o su quello verticale.
La risposta alla spinta sarà quella di deflettere la forza attraverso il
corretto movimento delle anche e di tutto il corpo centrato nel tanden con
particolare attenzione al controllo del respiro e alla sensibilità che nasce
dalla giusta alternanza di tensione e rilassamento. La spinta verticale viene
‘assorbita nel tanden’. Varie possono essere le modalità di questo esercizio di
base del Kakie: occhi chiusi e reazione alle rotture di ritmo del
compagno, ammortizzazione muscolare della spinta per redirigere l’energia e
sviluppare la forza nei distretti muscolari interessati all’azione e altre
forme di esecuzione. In ogni caso il fondamento della pratica è : trovare il
proprio centro e agire a partire da lì. In seguito si cominciano ad applicare
leve, proiezioni, atemi, prese e pressioni a punti vitali a partire da questa
situazione di contatto reagendo all’azione d’attacco del compagno. Fino ad
arrivare ad applicare liberamente, in una sorta di combattimento libero, le
tecniche e le relative risposte di liberazione, contrattacco, controleva...
La capacità di controllare e redirigere la forza dell’avversario, nel
combattimento a corta distanza, richiede di saper controllare, assorbire,
deflettere ed evadere la forza stessa. Tutte queste abilità si allenano
nel Kakie. La capacità di controllare la forza dell’avversario è
sviluppata attraverso i movimenti muchimi che si trovano oltre che
nel Kakie anche nei Kata. Muchimi nel dialetto di Okinawa
viene definito un movimento ‘appiccioso-pesante eppur fluido’ ed è
caratteristico di tecniche di presa e di parata evolute che oltre a deflettere
l’energia dell’attacco tengono sotto controllo e disturbano l’equilibrio
dell’avversario per il tempo sufficiente al contrattacco.
La capacità di assorbire l’energia, da non confondere con la capacità di
assorbire un colpo, è allenata nelle esercitazioni di base del kakie in
cui si ‘assorbe’ la spinta dell’avversario nel Tanden, da dove riparte poi la
forza di ritorno.
Le abilità richieste in quest’azione sono chiamate nelle arti marziali cinesi:
‘tunjin’ e ‘ tujin’.
Tunjin significa ‘abilità nell’inghiottire o assorbire’ e tujin significa
‘abilità nel risputare o restituire’.
Nel movimento verso l’avversario la potenza è ‘penetrante’ e ‘sovrabbondante’
mentre nel movimento di ricezione della forza viene utilizzata energia
sufficiente ad assorbire la forza e redirigerla verso il suolo o il tanden.
E’ come se il corpo si espandesse e contraesse.
La capacità di assorbire la forza, allenata nell’esercizio del Kakie, è
anche utilizzata in particolari parate ‘morbide’ (ju) spesso combinate
con tenshin, tai sabaki e o taihiraki ( spostamenti,
schivate con tutto il corpo o solo col busto).
La capacità di deflettere un attacco può essere combinata con la capacità di
‘assorbire’ o ‘far rimbalzare via’ la forza dell’attacco.
L’evasività utilizzando tai sabaki, tai hiraki e tenshin è
difficile da padroneggiare nel combattimento a corta distanza, ed è allenata
attraverso il kakie, permettendo di ottenere attraverso lo spostamento di
tutto il corpo o parte di esso una migliore posizione strategica rispetto
all’avversario trasformando la difesa in contrattacco.
Il confronto con il Kakie apriva talvolta ad Okinawa le ‘sfide’ tra
Karateka (kake-dameshi) permettendo così ai contendenti di percepire il livello
dell’avversario ed eventualmente riconoscerne la superiorità rinunciando al
combattimento.
Ho percepito personalmente questa realtà praticando in più occasioni kakie con
Higaonna Sensei.
Nonostante ritengo di aver acquisito una discreta abilità in questo esercizio
mi sono sentito completamente sovrastato dalla potenza e dal controllo del
Maestro.
Un divertente episodio è accaduto durante un allenamento con Higaonna Sensei.
Un body builder, pluri-decorato campione anche di distensioni su panca, che ci
aveva osservato praticare Kakie con Higaonna Sensei ci ha
chiesto di poter provare con il Maestro.
Al momento opportuno, durante una pausa, il body builder è stato presentato a
Higaonna Sensei che con il solito spirito cordiale e modesto ha accettato di
eseguire l’esercizio con lui.
Ebbene ho visto il Pesista, che misurava il doppio del Maestro, essere spinto
in tutte le direzioni della stanza in balia del controllo e della potenza di
Sensei come un bambino condotto per mano.
Scherzando il Maestro gli ha detto: "sei forte, ma se vuoi diventare più
forte devi cominciare a praticare Karate".
E’ difficile esprimere a parole ciò che può essere compreso solo attraverso la
pratica corporea.
Spero comunque di aver trasmesso qualche impressione ed informazione attraverso
questo mio scritto se non altro per ricordare a tutti i Karateka, spesso delusi
da una pratica finalizzata esclusivamente all’agonismo, che esiste un tesoro di
informazioni che si sta irrimediabilmente perdendo.
Che esiste una pratica completa ed appagante che permette di ‘crescere’ per
tutta la vita non solo nello sviluppare la propria capacità combattiva ma anche
e soprattutto che permette attraverso i propri preziosi strumenti educativi di
conoscersi e perfezionarsi come uomini completi.
Note al testo:
1: Chojun Miyagi
era estremamente interessato a sviluppare delle metodiche di allenamento al
combattimento che permettessero al praticante di applicare liberamente, a
contatto pieno, le proprie tecniche in combattimento libero. Nel 1930 ordinò ad
un negoziante di Osaka degli equipaggiamenti protettivi per i suoi allievi
consistenti in protezioni per la testa, mani, busto e genitali. Il casco per la
testa era simile all’elmetto del ricevitore del baseball, ingombrante, con una
pesante griglia metallica per proteggere il volto. Il corpetto assomigliava
all’armatura del Kendo.
Gli allievi di Miyagi della scuola superiore Shogyo e del club di karate Kenkyu
furono impazienti di applicare le loro tecniche in combattimento libero con le
nuove protezioni. Purtroppo la pesantezza ed inadeguatezza delle protezioni
causò numerosi infortuni in particolare lla nuca e alle dita tanto che Miyagi,
dopo circa un anno, conscio dell’inadeguatezza di questo equipaggiamento per il
combattimento a contatto pieno decise di interrompere quest’esercizio in
attesa di avere a disposizione protezioni più adeguate.
Sensei Meitoku Yagi ricorda: "Quando iniziai il mio allenamento chojun
Sensei stava collaudando nuove protezioni. Il casco era simile alla maschera
del Kendo. Sbarre metalliche coprivano il volto lasciando scoperti solo gli
occhi. L’allenamento all’Iri Kumi con queste protezioni era pericoloso. Per
esempio, quando la testa veniva colpita con Furi zuki (colpo di pugno
circolare a braccio disteso), si causavano seri danni alla cervicale...."
L’Iri Kumi praticato oggi nei Dojo I.O.G.K.F. è l’evoluzione dell’idea del
Chojun Miyagi.
2: Molti termini cinesi
importati ad Okinawa si sono modificati secondo la pronuncia okinawense nel
leggere gli ideogrammi cinesi così il Kata Sanchin era nel cinese del Fuzhau
chiamato Sanchen mentre in dialetto mandarino San Zhan, o ancora
il Kata Saifa nel Fuzhau era chiamato Choy Po e in
mandarino Sui Po, così rispettivamente il Kata Sepai era So Pak o Shi
Ba, il Kata Sesan era Sake Sang o Shi San, il Kata
Seiyunchin era Chak in Chen o Zhi San Zhan, il Kata Suparinpei
era rispettivamente So Pak Ling Pak e Yi Bai Ling Ba.
3: Va ricordato che
l’opera di diffusione in territorio giapponese del Goju-Ryu di Okinawa operata
dalla stesso Chojun Miyagi ha fatto si che lo stile di Okinawa assimilasse
molta della terminologia già in uso in altre discipline del Budo giapponese.
Ricordiamo che il Karate di Okinawa era considerato dai giapponesi una rozza
tecnica da combattimento, opinione dettata più da un sentimento di superiorità
e da un certo razzismo nei confronti del popolo okinawense, che non da
un’effettiva conoscenza dell’arte stessa.
Solo l’opera di diffusione di grandi maestri quali Funakoshi, Miyagi...permise
al Karate di Okinawa di venire apprezzato dai giapponesi nella sua autentica
dimensione e valore. Continuare ad utilizzare i termini del dialetto di Okinawa
avrebbe probabilmente rallentato quest’opera di divulgazione.
Ricordo inoltre come Chojun Miyagi facesse continuo riferimento allo spirito
del Budo che permeava la sua arte e teneva molto a far si che il Goju-Ryu fosse
annoverato a pieno titolo tra le arti del Budo giapponese. La volontà di Miyagi
è ben espressa nelle parole rivolte al suo discepolo J. Shinzato: " L’uomo
deve ingrandire il proprio essere attraverso la pratica del Budo..., voglio
rendere il karate degno di essere al rango del Budo mediante la sua qualità.
Tu, mio discepolo, lo capisci e vuoi seguirmi a questo scopo?"
Anche la pratica nei dojo di Okinawa era organizzata in modo simile alle scuole
cinesi. Non c’erano orari prestabiliti delle lezioni e si lavorava spesso
divisi in gruppi o individualmente, c’era chi lavorava agli attrezzi, chi
praticava Kata, chi esercizi in coppia o Kihon. L’influenza del Budo giapponese
si è fatta sentire anche in questo, portando i dojo di Okinawa ad assimilare
molti aspetti delle metodiche educative in uso nei dojo di Budo giapponese
anche se tuttora è mantenuta molta parte del sistema di pratica in uso in Cina.
A mio parere il risultato di questo doppio influsso cinese e giapponese sul
terreno fertile della mentalità okinawense ha reso il karate di okinawa un’arte
unica nel suo genere seppur fondata sugli elementi tecnici ed educativi di
entrambe le culture.
Articolo tratto dal Notiziario informativo dell' Honbu Dōjō IOGKF Italia Tora Kan
Anno V N° 17 Autunno
1999
© Tora Kan Dōjō
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