di Emilio Chelini
Mi è capitato di
entrare in una chiesa, di queste moderne, per un funerale. Di fronte a me, alla
destra dell’altare, era impossibile non notare un dipinto fuori misura, che
occupava un terzo dell’intera paretona in cemento. Ritraeva la vita e le opere
del Santo cui la Chiesa è dedicata. Nonostante molti mostrassero apprezzamento
per quest’opera, a me quei tratti non dicevano nulla. Inseriti in un
contesto architettonico cemento e legno, non riuscivano proprio a
regalarmi calore. Per niente aiutati in questo da due finestrone triangolari, dietro
l’altare, che si aprivano su un panorama desolato. A completare il quadro
d’insieme, per i restanti due terzi della grande parete posta dietro l’altare
un enorme muro bianco, che conteneva il tabernacolo.
Questo bianco assoluto
ha pian piano catturato la mia attenzione durante la funzione. Era un bianco
con un grado di calore, uniforme, ben steso e lavorato. Ai miei occhi la
capacità dell’artigiano che aveva saputo stenderlo così perfettamente sembrava
nettamente superiore a quella dell’artista del dipinto. La vita del Santo, il
mistero della santità perdevano nettamente nel confronto con l’abile lavoro
dell’imbianchino.
Non so se vi è mai
capitato di modificare qualche foto operando sulla regolazione della luminosità
e del contrasto, o sull’intensità dei colori. Quell’enorme parete bianca stava
diventando nella mia mente una stampa, o una visualizzazione, di una foto,
portata al massimo grado di luminosità. Un nulla ripieno di luce. Uno sfondo, inteso
come condizione di possibilità di qualsiasi tratteggio. Il luogo da dove nasce
il segno. Facciamo un esperimento mentale. Pensate di giocare con qualche app o
programma di ritocco fotografico e di portare piano piano alla luce un’immagine
inizialmente bruciata dal bianco. Dallo schermo bianco emergerà gradualmente un
segno, un ritratto, una composizione. Unica e differente da qualsiasi altra.
Come dal silenzio nasce la musica. Dalla quiete il movimento. Nella musica l’insieme delle
note armoniche o dissonanti, il ritmo del loro susseguirsi non è altro che
un balletto, un contrappunto del suono con il silenzio. Così come i quadri i
disegni, i segni, le fotografie non sono altro che un gioco di luci, colori,
riflessi e oscurità. Riportare la raffigurazione di una vita al suo bianco
originario è riportarla a casa, dove tutto è possibile.
Anche quando eseguiamo
un kata, dall’insieme dei movimenti possibili stiamo scegliendo dei gesti
efficaci, marziali, che la storia e la tradizione ci hanno tramandato; un
insieme di gesti e movimenti codificati, selezionati e limati con cura che
rappresentano l'essenza, l’espressione dello spirito del movimento marziale
legato ad uno stile. Delle molte possibilità, l’una che abbiamo scelto, o che
ci ha scelto.
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Sensei Morio Higaonna |
Non dimentichiamo che noi abbiamo la fortuna di attingere alla
vita e allo studio di un uomo eccezionale, il Maestro Morio Higaonna che ha fatto della sua passione una
vita, Tesoro Nazionale Vivente (titolo concesso in Giappone volto a preservare come fossero monumenti persone portatrici di valori culturali intangibili). Dall’incontro del Maestro Paolo Taigō Spongia con la tradizione del
karatedo di Okinawa così come è stato tramandato da Higaonna Sensei è nata
quella scuola unica e bellissima che è la IOGKF Italia nei cui Dojo continuiamo
a sudare e a praticare ogni giorno da trent’anni.
Ecco allora che anche l'opera che raffigura la vita e le opere del Santo acquisisce una sua dignità.
Magari non artistica. Messa in relazione con lo sfondo bianco anche quella raffigurazione assume un valore suo proprio, che è proprio l'emergere dallo
sfondo, il manifestarsi. Una vita come una foto, immortalata e compresa in
un unico segno, un unico gesto.
La nostra vita è un
progressivo aumentare del livello di contrasto. Vivendo ci definiamo sempre più
marcatamente, creando un unico. L’errore sarebbe considerare la nostra
specificità, il nostro essere individui e persone, come se fossimo eroi che si
ergono contro il mondo dal quale e nel quale sono nati, mantenendosi in lotta
con lo sfondo, acquisendo anzi senso solo dal contrapporsi della determinatezza
contro le infinite possibilità. Certo ogni determinatezza è tale proprio in quanto si staglia su uno sfondo, in quanto si definisce attraverso
l’identità a se stesso e la differenza dal resto. Ma essere consapevoli
ed accettare il legame che esiste fra il segno e l’infinita totalità dei segni
possibili, fra la manifestazione effettiva e la possibilità, ci permette invece
di cogliere in pieno il senso del nostro danzare, suonare, dipingere, vivere.
Allora abbiamo una
grande responsabilità. Partendo dal silenzio siamo noi a scegliere che musica o
che rumore fare, quale foto scattare,
come impressionare i negativi, se ballare o eseguire dei gesti scomposti
e sgraziati, quali rumori quali vite scellerate e sciatte vivere. La nostra
vita è nelle nostre mani, scegliamo il bello o ci lasciamo andare allo spreco e
alla sciatteria? Siamo sicuri che questa musica, la musica che ascoltiamo riempiendo il nostro tempo sia
bella? Che ogni nostra distratta occupazione sia degna di imbottirci
l’esistenza, o che non sia meglio piuttosto che ogni nostra seppur minima
occupazione profumi del tutto al quale appartiene?
L’inferno o il paradiso
sono questioni di gusto personale. Regolando il contrasto appare una vita,
quella che viviamo e che ci meritiamo.