martedì 31 agosto 2021

Un Lampo è la Vita dell'Uomo



Un lampo è la vita dell’uomo, la sua essenza è un fluire continuo, indistinta la sua percezione, marcescibile è tutto il suo corpo, l’anima è come un turbinoso fantasma, indecifrabile il suo destino, ingiudicabile la fama.

In poche parole, ogni moto del corpo è come la corrente di un fiume, ogni impulso dell’anima sogno e illusione; la vita è guerra e soggiorno in terra straniera, la fama, dopo la morte, un sempiterno oblìo.

Qual è dunque la nostra difesa? Unica e sola, la filosofia. La cui essenza consiste nel conservare integro e puro il demone divino che abita dentro di noi, incurante dei piaceri e dei dolori, che agisce sempre a ragion veduta, indipendentemente da quel che gli altri fanno o non fanno e mai subdolamente e ipocritamente, sempre disposto ad accettare qualsiasi evento riservatogli dalla sorte come proveniente dal luogo da cui egli stesso è venuto; e soprattutto sereno di fronte alla morte che considera nient’altro che il dissolversi degli elementi di cui ogni essere vivente è composto.

E se per tali elementi, presi singolarmente, non c’è nulla di terribile nel loro continuo trasformarsi e risolversi l’uno nell’altro, perché si dovrebbe temere la trasformazione e il dissolvimento di essi nel loro complesso?

Ciò, infatti, è conforme a natura, e dunque non può essere un male.

 

Marco Aurelio
'Pensieri'


© Tora Kan Dōjō















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sabato 28 agosto 2021

Sull'Amore

 



Quanto più invecchiavo, quanto più insipide mi parevano le piccole soddisfazioni che la vita mi dava, tanto più chiaramente comprendevo dove andasse cercata la fonte delle gioie della vita. Imparai che essere amati non è niente, mentre amare è tutto, e sempre più mi parve di capire ciò che da valore e piacere alla nostra esistenza non è altro che la nostra capacità di sentire.

Ovunque scorgessi sulla terra qualcosa che si potesse chiamare “felicità”, consisteva di sensazioni. Il denaro non era niente, il potere non era niente. Si vedevano molti che avevano sia l’uno che l’altro ed erano infelici. La bellezza non era niente: si vedevano uomini belli e donne belle che erano infelici nonostante la loro bellezza.
Anche la salute non aveva un gran peso; ognuno aveva la salute che si sentiva, c’erano malati pieni di voglia di vivere che fiorivano fino a poco prima della fine e c’erano sani che avvizzivano angosciati per la paura della sofferenza.

Ma la felicità era ovunque una persona avesse forti sentimenti e vivesse per loro, non li scacciasse, non facesse loro violenza, ma li coltivasse e ne traesse godimento.
La bellezza non appagava chi la possedeva, ma chi sapeva amarla e adorarla.
C’erano moltissimi sentimenti, all’apparenza, ma in fondo erano una cosa sola.
Si può dare al sentimento il nome di volontà, o qualsiasi altro. Io lo chiamo amore.
La felicità è amore, nient’altro. Felice è chi sa amare.
Amore è ogni moto della nostra anima in cui essa senta se stessa e percepisca la propria vita.
Ma amare e desiderare non è la stessa cosa.
L’amore è desiderio fattosi saggio; l’amore non vuole avere; vuole soltanto amare.

Hermann Hesse



© Tora Kan Dōjō







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martedì 24 agosto 2021

Realizzare la nostra Vera Natura

 



"Il linguaggio può soltanto descrivere questa condizione, ma lo Zen pretende che noi la realizziamo – la nostra Vera Natura – attraverso questo corpo e mente.
Innanzitutto, impara come sedere in Zazen: raddrizza il tuo corpo; libera il tuo diaframma; respira dal basso addome; e osserva te stesso.
Poi, trasporta quello Zazen seduto nello Zazen dell’azione:
presta attenzione; pensa profondamente; sii generoso con il tuo tempo, la tua energia, e la tua abilità per essere di beneficio agli altri.
Riposati brevemente, e rigenerati sedendo in Zazen.
Sii paziente e diligente.
Quando i tempi saranno maturi, tutto sarà chiaro – inevitabilmente.”

 Dōgen Zenji


© Tora Kan Dōjō







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sabato 21 agosto 2021

Il Grande Pazzo buono e generoso

 



"Il maestro (Ryōkan 良寛) era diverso da tutti.

Non si poteva essere insensibili alla superiorità del suo spirito, ma quello che ci toccava di più era la sua dolcezza.
Gli capitò di passare qualche giorno nella mia famiglia.
La sera dalle sue parole emanava tutta la purezza del suo cuore.
Non parlava di testi buddhisti, neppure di letteratura e ancor meno dava consigli di moralità. Bene, un giorno ha acceso il fuoco, un giorno ha meditato in sala.

Sempre calmo e disteso, la dolcezza che emanava dalla sua persona era contagiosa. Quando era qui, l'atmosfera diventava molto piacevole. Tra tutti noi regnava una vera armonia che si percepiva ancora per molti giorni dopo la sua partenza... è qualcosa di difficile da spiegare."

Kera Yoshishige

Ryōkan Taigu (良寛大愚 Ryōkan Taigu), nato come Eizo Yamamoto (山本栄蔵 Yamamoto Eizo), (Echigo, 2 novembre 1758 – 18 febbraio 1831) è stato un monaco buddhista e poeta giapponese, seguace della scuola Sōtō-shū. Ha vissuto gran parte della sua vita da eremita ed è ricordato per la sua poesia e la calligrafia, con le quali ha rappresentato l'essenza della vita Zen.

Con riferimento al nome Ryōkan Taigu col quale è stato ordinato, Ryō significa "buono", Kan significa "generoso", Tai significa "grande", e Gu significa "scemo"; si potrebbe quindi tradurre Ryōkan Taigu come "Buono e generoso, grande scemo", evidenziando ciò che il lavoro e la vita di Ryōkan hanno incarnato.

Alcuni dei suoi contemporanei lo consideravano un santo, (per certi aspetti la sua figura era paragonabile a Francesco d'Assisi).

Per altri era un grande poeta e per alcuni era soltanto un monaco pazzo, in ottemperanza al nome che aveva assunto. In Giappone vengono tramandati numerosi aneddoti sulla sua vita.

È pratica comune per un monaco l'astenersi dal mangiare carne. Un giovane monaco che stava cenando con Ryōkan lo sorprese mentre stava mangiando pesce. Quando gli chiese perché, Ryōkan rispose: "Mangio pesce quando mi è offerto, ma non mi disturba nemmeno che durante la notte le pulci e le mosche festeggino con il mio corpo". Tra l'altro viene riportato che Ryōkan dormisse avvolto in una zanzariera in modo da non far male agli insetti che lo tormentavano.

Ryōkan non disdegnava neppure il vino di riso e a volte ne beveva fino all'eccesso.

«Mando uno dei bambini in paese a comprare del vino
e dopo che sarò ubriaco butterò giù un paio di righe di calligrafia»

Ryōkan

A Ryōkan inoltre piacevano molto le feste che si tenevano durante l'estate nei villaggi, alle quali però si recava travestito da donna perché un monaco non avrebbe potuto parteciparvi.

Una sera un ladro irruppe nella misera capanna di Ryōkan alla base della montagna, ma non trovò niente da rubare. Ryōkan gli disse: "Hai fatto un lungo cammino per farmi visita e non puoi tornare a mani vuote. Ti prego di prendere in regalo i miei vestiti". Quando il ladro sconcertato fuggì con i suoi vestiti, Ryōkan si sedette nudo, guardando la luna e pensando: "Pover'uomo, avrei voluto dargli anche questa bella luna".

Questa storia può essere una interpretazione di una poesia haiku di Ryōkan:

 «Il ladro ha lasciato
alle spalle la luna
alla mia finestra.»


tratto dalla pagina facebook del Dōjō Zen Chūshin "Nel Centro"



© Tora Kan Dōjō







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martedì 17 agosto 2021

La purezza del Cuore

 


Un gruppo di mendicanti malati di lebbra giunse al grande raduno del maestro zen Bankei, un generoso benefattore del popolo.

Egli li accolse tra i suoi seguaci e, impartendo loro l'iniziazione, li lavò e li rasò con le proprie mani.

Alla cerimonia era presente un nobile, rappresentante di un feudatario che aveva fede in Bankei e che aveva già costruito un tempio in cui il maestro educava i discepoli e insegnava al popolo.
Disgustato dalla vista di Bankei che radeva le teste di quei miserabili, il nobile gli portò di corsa una bacinella perché si lavasse le mani.

Ma il maestro si rifiutò e disse: «Il tuo disgusto è più sporco delle loro piaghe».


© Tora Kan Dōjō

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Tratto da : ‘104 Scherzi Zen’ di Thomas Cleary ed. Oscar Mondadori


sabato 14 agosto 2021

Lo Zen è incontro di cuori

Pubblichiamo l'estratto di un Insegnamento offerto da Taigô Kônin Sensei durante la Pratica Zen.

Non ribadirò mai abbastanza l'importanza del Sangha, della Comunità che condivide la Pratica.
Non è un caso che sia considerato nel Buddhismo uno dei Tre Tesori, considerato di pari importanza al Buddha stesso e al suo Insegnamento.
I buoni amici con cui si condivide l'esercizio dello Zazen e 'l'educazione' ovvero la ri-educazione che avviene nel Dōjō sulla base dell’Insegnamento del Buddha, sono talmente parte integrante e necessaria alla Pratica da poter affermare che non esiste autentica Pratica al di fuori di una Pratica condivisa.
Questo non esclude ovviamente l'esercizio quotidiano solitario dello Zazen, ma questo esercizio si innesta nel cuore della condivisione, e da questa è sostenuto e rinforzato.
Il Sangha, per essere un vero Sangha e non come lo ha definito Sawaki Roshi ‘un luogo dove rinforzare la stupidità di gruppo…’ dev’essere una Comunità matura e consapevole e, soprattutto, amorevole.
Nella mia pluridecennale esperienza nella Pratica dello Zen ho conosciuto e praticato in diversi Sangha e so bene quanto sia d’impedimento e causa di profonda sofferenza un Sangha non armonioso, non amorevole, non maturo (maturità che ha poco a che vedere con la ‘tecnica dello Zen’).
E’ incontestabile che il carattere del Sangha sia determinato in buona parte da quello che dovrebbe essere il ‘Fratello maggiore’, la guida, o usando un termine più pomposo: ‘l’insegnante’.
E’ molto facile che accada che colui che al quale viene riconosciuto (spesso a seguito di un’auto-investitura) il ruolo di guida confonda la preziosa opportunità che gli viene offerta di mettersi al servizio, offrendo amorevolmente la propria esperienza a chi si avvicina alla Pratica, con un’occasione di autoaffermazione (tesa spesso a compensare vere e proprie patologie) e questo, con un effetto domino, ha una disastrosa ricaduta sul carattere del Sangha che diviene un mezzo anziché essere un fine.
Anche i membri del Sangha hanno un’importante responsabilità in questa drammatica deriva.
Si deve essere in grado di sostenere il proprio insegnante e i compagni di Pratica con maturità e amorevole e costruttivo spirito critico (che non ha niente a che vedere con il rancore di chi, smaltita la sbornia della fascinazione, si accorge di essere caduto in una trappola perversa e patologica di cui lui stesso è stato corresponsabile) proprio come ci si rapporterebbe a dei fratelli e ad un padre, consapevoli della sua maturità ed esperienza ma nello stesso tempo amorevolmente consapevoli della sua perfettibile umanità.
Attenzione a non farvi affascinare dalla ‘tecnica’ dello Zen, e da chi vi offre attraverso di essa uno strumento di compensazione e affermazione (magari vendendovela online), ma cercate il Cuore caldo e pulsante del Dharma nello Zen anche se questo vi costringerà a cercare lontano.
D’altronde, se studiate la storia di questa Trasmissione da Cuore a Cuore che definiamo Zen, vedrete che la ricerca di un Sangha e di una Guida maturi è un passaggio fondamentale e che al di fuori di un sincero e amorevole incontro di cuori non esiste alcuno Zen che possa essere Trasmesso.
Insieme si cammina sulla Via dell’abbandono di sé per riconoscersi in ogni esistenza.
Solo insieme, in cordata, si scala la Montagna senza Cima (che è proprio il nome della nostra Comunità allargata) che porta a riconoscere, durante il Cammino, il nostro volto più puro ed autentico che non riusciremmo mai a vedere se non riflesso negli occhi degli altri.
Una Pratica matura in un amorevole Sangha ha come naturale conseguenza il riconoscersi fratelli di tutte le esistenze e il mettersi spontaneamente e gioiosamente al loro servizio coltivando, come suggerisce Dōgen Zenji: un Cuore gioioso, materno e vasto.









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martedì 10 agosto 2021

Lo Zen è saltare nel Vuoto

 



Questa è la mia sensazione riguardo ognuno di voi.
Vivi qui da tempo immemorabile, da un’eternità; è impossibile che tu non abbia mai incontrato quel vuoto, è impossibile che tu non sia mai arrivato dove il mondo finisce.
Sei fuggito via; ti faceva troppa paura, era spaventoso, terrificante.
Ancora un passo e ti saresti illuminato; ancora un solo passo, uno soltanto.
Lo Zen insegna come fare quel passo, come saltare in quel nulla.
Quel nulla è il nirvana, quel nulla è il divino.
Quel caos non è soltanto caos; il caos è solo un lato del cartello. Sull’altro lato, quel caos si trasforma in un’immensa creatività.
È soltanto dal caos che nascono le stelle, è soltanto dal caos che nasce il creato; il caos è un altro aspetto della stessa energia. Il caos è potenziale creativo. Il nulla è l’altro lato del Tutto.
Lo Zen consta di un solo passo, è un viaggio che accade in un solo passo. […]
L’intero insegnamento dello Zen consiste in questo soltanto: come compiere il salto nel nulla, come arrivare fino ai confini della tua mente, vale a dire là dove il mondo finisce, come stare in piedi su quel dirupo, fronteggiare l’abisso e non soccombere alla paura, come trovare abbastanza coraggio per fare quell’ultimo salto.

 Osho



© Tora Kan Dōjō







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sabato 7 agosto 2021

Zazen, un fuoco che purifica

Nella Bibbia si legge:

"Il nostro Dio è un fuoco che consuma".
È un'immagine usuale a molte religioni.
Sedere durante una sesshin è come sedere dentro un fuoco che purifica.
Eido Roshi diceva: "Lo Zendō non è un paradiso di pace ma una fornace dove vengono bruciate le illusioni egoistiche".
Lo Zendō non è un luogo di beatitudine e di rilassamento, ma una fornace per bruciare le illusioni dell'io. Di che attrezzi abbiamo bisogno? Di uno soltanto: ne abbiamo sentito parlare, ma lo usiamo raramente. È l'attenzione. L'attenzione è la spada affilata e rovente, e la pratica sta nell'usarla il più possibile. Nessuno è troppo disposto a usarla;
ma se la impugniamo, anche per pochi minuti, qualcosa viene tagliato e bruciato.
La pratica vuole renderci sempre più attenti,
non solo in Zazen ma in ogni momento della giornata. Sedendo comprendiamo che il pensiero concettuale è una fantasia; più lo capiamo più aumenta la capacità di prestare attenzione alla realtà.
Un grande maestro cinese, Huang Po, diceva: 
"Se soltanto vi potete liberare dal pensiero concettuale, avrete realizzato ogni cosa. Ma se voi studiosi della Via non vi liberate in un lampo dal pensiero concettuale, anche se vi sforzaste per un eone dopo l'altro, non lo realizzerete mai."

Charlotte Joko Beck











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martedì 3 agosto 2021

E' tutto qui da sempre (Ita/Fra)

 


Quando ero piccolo e poi giovane praticante mi è sempre stato insegnato che Dio è dentro di noi, o che la natura di Buddha ci abita, che bisogna cercarlo o realizzarlo...

Invecchiando e col tempo ho capito che sono in Dio, che sono presso di Lui, qualunque esso sia il suo nome, ed è Lui che mi cerca e mi desidera.

Quando sono seduto in zazen non è altro che la natura di Buddha che mi siede e mi rende conto.

Tutto è perfetto. E va tutto bene. Tutto è molto più grande delle mie ricerche e dei miei sforzi.

Non c'è bisogno di inginocchiarsi nelle cattedrali, scalare il Tibet o costruire un dojo, una moschea, stabilire templi, ashram e sinagoghe.... Né seguire una religione, un dogma, per trovare questo ′′ Infinitamente bello ′′ che ci supera e disciplina i battiti della vita.

Siediti, stai fermo e guardati dentro. È tutto qui. Da sempre.

È nella più meravigliosa storia d'amore che possiamo sperimentare - la storia d'amore con noi stessi - che nasce l'unica religione che sia: l'amore dell'altro e l'amore del mondo.

È nello spazio pacifico e sereno della nostra presenza placata e sincera che diventiamo tempio dove viene celebrato ogni giorno il sacro mistero della vita, Cattedrale dove si alza ogni preghiera, Sinagoga e Moschea dove risuona la lode, dojo dove vibra intenso il silenzio amorevole... 

Paese in cui ogni essere vivente e ogni cosa possano sentirsi liberi, amati e protetti.


Federico Isahak Dainin Jôkô


Versione in Francese

Quand j’étais petit puis jeune pratiquant on m’a toujours enseigné que Dieu est en nous , ou que la Nature de Bouddha nous habite, qu’il faut le chercher ou le réaliser ...... en vieillissant et avec le temps j’ai compris que je suis en Dieu . Que je suis pris en Lui, quel qu’il soit son nom, et que c’est Lui qui me cherche et me désire.

Quand je suis assis en zazen ce n’est autre que la Nature de Bouddha qui m’assied et me réalise.

Tout est parfait. Et tout va bien.

Tout est bien plus immense que mes recherches et mes efforts.

Il n’est pas nécessaire de s’agenouiller dans les cathédrales ou de gravir le Tibet ou encore de franchir un dojo, bâtir une mosquée où établir temples, ashrams et synagogues.... , ni de suivre une religion, un dogme, pour trouver cet "Infiniment Beau" qui nous dépasse et qui régit les battements de la vie . Asseyez-vous, restez immobile et regardez en vous. Tout est là. Depuis toujours. C’est dans la plus merveilleuse histoire d’amour dont nous puissions faire l’expérience - l’histoire d’amour avec nous même - que naît la seule religion qui soit : l’amour de l’autre et l’amour du monde. C’est dans l’espace réconcilié et serein de notre présence apaisée et sincère que nous devenons Temple où est célébré chaque jour le sacré Mystère de la Vie , Cathédrale où s’élève toute prière, Synagogue et Mosquée où résonne la louange, dojo où vibre intense le silence aimant.... Contrée et Pays où tout être vivant et toute chose puissent se sentir libres, aimés et protégés.

Federico Isahak Dainin Jôkô

© Tora Kan Dōjō

www.iogkf.it

www.torakanzendojo.org









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