A Gennaio 2012 Sensei P.Taigō Spongia, dopo una sessione di Zazen al Tora Kan Dōjō, ha offerto una lezione sul Sutra del Cuore di cui pubblichiamo un'estratto.
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Il Maka Hannya Haramita Shingyo è il ‘Sutra Cuore della Perfezione della Saggezza’, della ‘Saggezza Trascendente’ o della ‘Saggezza che va oltre’.
In una pagina condensa i 600 volumi della Prajña Paramita.
La letteratura della Prajña Paramita si è sviluppata tra il 200 e il 400 A.C.
La Saggezza a cui allude il titolo del Sutra non è l’ordinaria conoscenza ma la nostra innata, originale, intuitiva connessione con il Principio Fondamentale che in Sanscrito è definito Prajña.
Una Saggezza che non deriva dalla nostra piccola mente ma scaturisce intuitivamente dalla Grande Mente, dall’Ordine Cosmico, come amava definirlo Deshimaru Roshi.
Dobbiamo ‘usare’ il Sutra, viverlo, non leggerlo come si leggerebbe un documento archeologico…
I Sutra non vanno ‘vivisezionati’ con la mente analitica ma bisogna, in qualche modo, ‘respirarne’ il significato
Nel prologo del Sutra, Shariputra, discepolo del Buddha chiede al suo Maestro come poter ottenere la Perfetta Sapienza e il Buddha, come risposta, chiede ad Avalokiteśvara (Kannon in Giapponese) il Bodhisattva della Compassione e della Vera Libertà di spiegarlo per lui.
Si rivolge ad Avalokiteśvara perché questi vive profondamente, incarna la Prajña Paramita non si limita a farne oggetto di pensiero ma è in unità con essa.
Shariputra ascolta l’Insegnamento, non dice una parola, con l’animo assetato ascolta la parola del Maestro che conosce ciò di cui ha bisogno.
Quando sediamo in Zazen (e possibilmente anche dopo) stiamo praticando, esperendo, la Perfetta Saggezza.
Lo Zazen è il grande Maestro, ci insegna che se discriminiamo sulla base del nostro ego siamo destinati a soffrire.
Dunque il Sutra si apre così:
Kan jī zai Bōsa-tsu.
Gyō jin Han nyā Hā rā mi tā jī.
Shō ken gō on kai ku.
Dō is-sai kū yaku.
‘Il Bodhisattva della Compassione e della Vera Libertà
praticando profondamente la Perfezione della Saggezza
vede chiaramente che il corpo ed i Cinque Aggregati non sono altro che Vacuità,
e, grazie a questa realizzazione, supera la sofferenza (aiuta tutti gli esseri che soffrono)
‘Praticando Profondamente’ significa essere capaci di guardare oltre la superficie delle cose.
Riuscire a penetrarne l’essenza riconoscendola Vuota.
I 5 Skandhas, termine sanscrito per ‘aggregati’, sono: Forma, Sensazione, Percezione, Formazioni Mentali, Coscienza (o consapevolezza), sono anche definiti i 5 ruscelli o fonti dell’esistenza.
Abitualmente quando diciamo: ‘me’ o ‘mio’o ‘me stesso’ esprimiamo una qualche idea che abbiamo sul concetto di ‘essere’. Ma nel Buddha Dharma diciamo che non esiste un sé permanente, una realtà che può dirsi separata dal tutto.
Quel che incontriamo e che definamo ‘noi stessi’ o ‘qualcun altro’ è il risultato composito di forma, sensazione, percezione, fattori mentali e coscienza. E, all’interno di questa composizione, così come all’interno dei singoli aggregati, non può essere trovato alcun sé separato.
‘Il Bodhisattva Avalokiteśvara praticando profondamente la Prajña Paramita
vede chiaramente che i Cinque Aggregati nella loro essenza sono Vuoti,
e, grazie a questa realizzazione, fu salvato dalla sofferenza (aiuta tutti gli esseri che soffrono).
Nessuna esistenza ha un sé permanente ed è fondamentalmente vuota, vuota, per l’appunto di una realtà separata.
Vuoto, Śūnyatā, Kū 空 o Kara (termine che dovrebbe essere familiare ai karateka) vuol anche dire interdipendente.
Quando prepariamo un dolce dobbiamo unire gli ingredienti: farina, acqua, zucchero, uova, lievito… li mescoliamo, cuociamo ed abbiamo il dolce. Ovvero, diciamo di aver ottenuto una torta.
Mangiamo la torta e la torta è reale e la bocca con cui viene in contatto, la bocca che la gusta, è reale. Ma la torta è vuota e anche la bocca è vuota, sono entrambi vuoti di un sé indipendente e separato.
Quello che fa di una torta l’essere torta è la bocca che la gusta e ciò che fa la bocca è quel che vien gustato.
La torta è composta dei suoi ingredienti e la vediamo nella sua forma ma se la pensiamo come un’entità indipendente, questa è illusione.
La torta, come qualsiasi altra cosa, ha una momentanea esistenza in forma di torta.
Quello che fa la torta nella sua transitoria manifestazione non sono solo gli ingredienti ma anche il calore del forno che l’ha cotta, il tavolo su cui è stata impastata, il cucchiaio, le mani di chi l’ha impastata, il cielo e la terra… La torta per manifestarsi in questa forma dipende da ogni altra cosa dell’Universo. La torta è dunque manifestazione della vita universale tanto quanto lo è un essere umano, la forma non è che manifestazione del Vuoto e il Vuoto non è che forma.
Si potrebbe usare anche l’analogia dell’acqua e dell’onda.
L’onda è una espressione dell’acqua, l’onda non è altro che acqua e l’acqua non può essere altro che l’onda in quel preciso momento. Dunque l’onda non ha una sua entità separata, il suo ‘essere’ è acqua.
Questo è dunque quel che si intende quando si dice ‘essere vuoto’, essere vuoto significa pertanto ‘essere pieno’ di ogni altra cosa e vuoto di un sé separato.
Quando il Buddha afferma qualcosa il suo contrario è anche incluso nella sua affermazione.
Non-dualità della dualità.
Vedere le cose come realmente sono, impermanenti e vuote, è il Satori, il Risveglio, la fine della sofferenza.
Questo non significa che si sarà esenti dal dolore, la vita nella sua essenza è dolorosa, ma avremo imparato ad accettare la pena, il dolore, la gioia, come ingredienti della torta che è la nostra vita.
Se comprendiamo questo, e si tratta di una comprensione intima, esperienziale, a cui ci conduce lo Zazen, sapremo accettare ed apprezzare la nostra vita qualunque cosa ci porterà ad incontrare.
Questa maturità è quel che sperimentiamo in Zazen.
In Zazen accogliamo ad ogni momento quel che ci viene incontro: c’è gioia e siamo solo gioia, dolore e siamo solo dolore, con profondo apprezzamento inchinandoci in Gasshō.
Questa capacità di visione è Illuminazione, per questo diciamo che Zazen è la pratica dell’Illuminazione.
La pratica è nel non discriminare, non scegliere, non afferrare né respingere.
Nel Buddhismo Hinayana (Piccolo Veicolo) c’è il tentativo di coltivare il Nirvana evitando il Samsara: ma il Buddhismo Mahayana afferma che Samsara e Nirvana sono unità e che non si può trovare liberazione al di fuori della vita e della morte.
La Forma (il Samsara) è espressione del Vuoto.
Se vuoi conoscere il Vuoto non puoi mettere da parte la Forma. Se vuoi toccare il Vuoto, prenditi cura della Forma, del Vuoto nella sua manifestazione.
O Shariputra,
Ciò che vedi è vuoto, vuoto è ciò che vedi.
I fenomeni non sono diversi dalla Vacuità,
la Vacuità non è diversa dai fenomeni (Forma non è che Vuoto, Vuoto non è che Forma);
i fenomeni diventano Vacuità,
la Vacuità diventa i fenomeni;
e per la percezione, il pensiero, la volontà e la coscienza vale la stessa cosa.
o Shariputra (accetta!!)
ogni esistenza ha il carattere della Vacuità.
(ogni cosa del Vuoto è segno. E’ vuoto/segno):
non c’è nascita né morte,
non c’è impurità né purezza,
non c’è crescita né declino.
Tutti i dharma hanno il carattere della Vacuità, sono vuoto/segno recita il Sutra.
Il Vuoto è la possibilità della forma.
Come l’acqua assume la forma del contenitore così la forma dello Zazen ‘informa’ le sensazioni, le percezioni, i pensieri che durante Zazen sorgono.
Il nostro corpo e la nostra coscienza assumono la forma dello Zazen.
La forma scaturisce dall’assenza di forma e l’assenza di forma è la scaturigine di quel che è manifesto, e sono unità.
La vita e la morte sono unità (Shūshōgi)
Samsara e Nirvana non possono essere separati.
O Shariputra recita il Sutra, accetta tutto ciò, accetta che la natura delle cose sia l’apparire e lo scomparire e sarai libero dalla sofferenza.
In questa comprensione e accettazione tutte le paure scompaiono.
Lo zazen ci insegna che se discriminiamo sulla base del nostro ego siamo destinati a soffrire.
Nascita e morte sono solo concetti creati dalla mente, così puro e impuro.
Noi costruiamo l’idea della purezza e la conseguenza è l’impurità.
Il Buddha afferma che niente è contaminato e niente è immacolato.
All’Imperatore che gli chiedeva riguardo l’essenza dell’Insegnamento del Buddha, Bodhidharma rispose: ‘Kakunen Mushō’ ‘Un Vuoto insondabile e nulla di Sacro!”
Non c’è niente da migliorare. Questa vita non ha un obiettivo da raggiungere, è un puro viaggio, un gioco.
Il credersi sradicati dal Tutto (Avidyā, ignoranza) è all’origine della sofferenza.
Ci si percepisce come un frammento isolato in un Universo estraneo a causa della mediazione distorta del pensiero. Quel pensiero che misura e divide (mente da mensura= misurare).
Sebbene le cose sembrino apparire e scomparire, nulla è in realtà apparso o scomparso, come le onde del mare non appaiono e scompaiono ma si muovono.
Così puro e impuro: guardiamo alla spazzatura e diciamo che è impura poi guardiamo del cibo e diciamo che è puro… ma in realtà tutto è spazzatura così come tutto è puro cibo.
Ogni cosa si sta ‘decomponendo’ di momento in momento e, di momento in momento, sta venendo alla vita. Si compone e decompone nello stesso tempo.
Anche se in realtà le cose non sono pure né impure poiché viviamo nel mondo dei sensi dobbiamo prestare attenzione al puro ed impuro così siamo costretti a discriminare e dire: ‘Questo è bene’ e ‘Questo è male’, ‘Questo è giusto e questo, sbagliato’.
Nella nostra vita quotidiana non possiamo non fare uso di un pensiero dualista, è strumento necessario per muoversi nel mondo della forma, ma, dobbiamo essere in grado di vedere l’altro lato.
La nostra discriminazione non deve fondarsi sul nostro essere ego-centrati: mi piace questo, non mi piace quello. Dobbiamo imparare a spostare la nostra discriminazione da ‘me’ a ‘tutto’ decidendo, di momento in momento, a seconda di quello che la situazione richiede per il bene di tutti, non solo per il nostro beneficio.
In genere, quando siamo chiamati ad esprimerci nella maggior parte delle situazioni partiamo dal punto di vista del nostro guadagno invece dobbiamo cambiare la prospettiva.
non c’è crescita né declino (non cresce/decresce)
Tutto cambia e si trasforma ma, nel cambiamento, ogni cosa ‘è’ sé stessa di momento in momento.
Dōgen Zenji dice: “Il legno non diventa cenere così come la cenere non può tornare ad essere legno’. La cenere, sempre a causa della nostra discriminazione, ci sembra derivare dal legno ma in realtà il legno vive totalmente la vita del legno e la cenere la vita della cenere.
Se poteste chiedere alla cenere: ‘Lo sai che una volta eri legna da ardere? vi risponderebbe: ‘ Di cosa stai parlando? Non so nulla di legna da ardere.’
Così se qualcuno ci dicesse:’Sai che in passato sei stato una roccia in una foresta ?’ risponderemmo allo stesso modo.
Entrambi i punti di vista sono necessari: le cose sono quel che sono e allo stesso tempo sono in costante trasformazione.
Perciò nella Vacuità non vi sono
né fenomeni, né percezione, né pensiero, né volontà, né coscienza,
né occhi, né orecchie, né naso, né lingua, né corpo, né mente,
né colori, né suoni, né odori, né gusti, né sensazioni tattili, né concetti,
né conoscibile,
né conoscenza,
né ignoranza,
né fine dell'ignoranza,
né degenerazione e morte,
né fine della degenerazione e della morte,
né Sofferenza, né Causa, né Cessazione, né Via,
né saggezza,
né profitto,
né non-profitto.
Il Sutra del Cuore è il Sutra della negazione: spazza via ogni cosa per mostrare l’essenza.
Nel Vuoto non c’è occhio-orecchio- naso-lingua-corpo-mente, non più colore-suono-olfatto-gusto-tatto-pensiero…
Senza oggetto della visione l’occhio non è un occhio. Al fine di avere la coscienza c’è bisogno di un organo e di un oggetto e tutti e tre, organo, oggetto e coscienza sono interdipendenti.
L’occhio, l’oggetto della vista e la coscienza, insieme, fanno sì che io riconosca questo come un libro. Anche se possiamo considerarlo un oggetto in realtà non c’è un oggetto che esiste di per sé nell’accezione comune del termine. L’oggetto è parte della coscienza perché la coscienza ‘crea’ l’oggetto.
“non c’è naso-occhio…” significa che ogni cosa dipende da qualsiasi altra. Il naso è un naso perché c’è l’odore e la coscienza olfattiva, quindi un naso è un naso ma è anche l’universo intero.
Ci vuole l’Universo intero perché ci sia un orecchio.
Non potrete mai cantare né danzare davvero se non capite questo.
‘Non vita né morte…’
Il Buddha dice che non c’è inizio né fine al fiume della vita. E’ circolare quindi solo arbitrariamente possiamo stabilire un inizio ed una fine, ma si tratta di una convenzione arbitraria, in realtà stiamo convenzionalmente scegliendo due punti di una circonferenza.
Rinascita, che non ha niente a che vedere con la paura di morire che ci fa sperare di reincarnarci, è trasformazione di energia in altre forme. A volte, è paragonato all’accendere una candela con un’altra. Possiamo dire che una fiamma nacse dall’altra ma non possiamo dire che si tratta della stessa fiamma.
E’ una continua trasformazione in cui nulla può essere realmente trattenuto.
La causa della sofferenza risiede nel tentativo di trattenere il flusso della vita.
Per il Bodhisattva,
grazie alla Perfezione della Saggezza
che conduce al di là (senza velo della mente),
non esistono né ostacoli né paura;
illusione ed attaccamento vengono allontanati,
e può così raggiungere il Nirvana.
Tutti i Buddha dei tre Tempi,
grazie alla Perfezione della Saggezza,
ottengono
il completo Risveglio.
Si potrebbe anche rendere così:
‘Con nulla da ottenere un Bodhisattva si fonda sulla Prajña Paramita e la mente non è più d’ostacolo’.
Pratica e Realizzazione coincidono (Shū Shō Ichinyo)
Non andiamo a scuola per imparare abbastanza per poi andare all’università per poi trovare un buon lavoro per mantenere una famiglia e così via… Così come non mangiamo allo scopo di defecare, affermava Sawaki Roshi parlando agli studenti universitari.
Nella pratica lo ‘scopo’ è tornare a dove sei. Non c’è nessun luogo dove andare. Il Risveglio è essere dove sei, pienamente, e permettere alla tua mente illuminata di esprimersi.
Così non è che Grande d’Incanto il Mantra,
Grande di Sapienza il Mantra, Mantra Supremo,
Impari Mantra, non falso invero da ogni miseria salva, la Prefetta Sapienza.
Il Mantra si dispiega e dice:
Gyate(i) Gyate (i)
Hara Gyate(i), Hara so Gyate(i)
Boji Sowaka
Andare, andare,
andare insieme al di là,
andare al di là dell'al di là,
fino al Satori.
Sutra del Cuore della Saggezza.
Il Sutra termina dunque con un Mantra:
Gyate(i) Gyate (i)
Hara Gyate(i), Hara so Gyate(i)
Boji Sowaka
oppure
Gate, Gate
Paragate, Parasamgate
Bodhi Svaha
Che viene definito: Mantra Supremo, Mantra di Sapienza.
Il Mantra favorisce l’assorbimento o la concentrazione (un vento puro che scaccia via i pensieri).
Ma in realtà nei 600 volumi della Prajña Paramita non ci sono Mantra così dovremmo chiederci perché il Sutra del Cuore termina con un Mantra.
La nostra vita nella pratica è un Mantra.
La ripetizione, l’esercizio, nella concentrazione della pratica, non è qualcosa di ‘ripetitivo’, proprio come recitare un Mantra non è ‘ripetizione’.
Si crea un dinamismo energetico da questo tornare a Zero attraverso la forma e questo tornare a Zero genera un potere spirituale.
Il programma quotidiano di un dojo, di una Sesshin, è un Mantra.
Attraverso il potente, dinamico, Mantra della forma, la Prajña Paramita si manifesta e può essere esperita.
Quando offriamo un bastoncino d’incenso, invitiamo Prajña a permeare la nostra pratica, invitiamo il Buddha ad unirsi a noi.
La nostra vita ha un ritmo, per quanto rozza o evoluta possa essere, e questo ritmo è un Mantra.
Sta a noi scegliere che Mantra recitare nella nostra vita.
‘Andato, andato…’ andato dalla materia, dal corpo, dal tangibile, dalla vita e dalla morte, oltre la mente ed il pensiero, oltre il ‘sé’, l’ego, ‘andato completamente al di là’: ha fatto ritorno a casa, Che Risveglio ! Che Gioia !
L’andare costantemente ‘al di là’ deve divenire il modo di condurre la nostra vita, al di là di ogni nome e forma. Questo, potrebbe essere il messaggio, condensato in poche parole, di tutto l’Insegnamento del Buddha.
Tu sei un Buddha, e se non ti riconosci tale, soffrirai.
English Version
(thanks to Maura Garau)
In January 2012 Sensei P.Taigō Spongia, after a session of Zazen at the
Tora Kan Dōjō, offered a lesson on the Heart Sutra. We publish an
extract of it.
Maka
Hannya Haramita Shingyo is the 'Heart Sutra of the Perfection of Wisdom' or
'Transcendent Wisdom' or 'Wisdom that goes Beyond'. On
one single page, it condenses the 600 volumes of Prajña Paramita. The
Prajña Paramita literature developed between 200 and 400 b.C. The
Wisdom to which the title of the Sutra alludes is not the ordinary knowledge
but our innate, original, intuitive connection with the Fundamental Principle
which in Sanskrit is called Prajña.
A
Wisdom that does not derive from our little mind but flows intuitively from the
Great Mind, from the Cosmic Order, as Deshimaru Roshi loved to call it. We
must 'use' the Sutra, live it, do not read it as if it was an archaeological
document... The Sutras are not to be 'vivisected' with the analytical mind, but
we must somehow 'breathe' their meaning.
In
the prologue of the Sutra, Shariputra, a disciple of the Buddha asks his Master
how to obtain Perfect Wisdom and the Buddha, as an answer, asks Avalokiteśvara
(Kannon in Japanese) the Bodhisattva of Compassion and True Liberty to explain
it for him.
Buddha
asks Avalokiteśvara because he lives the Prajna Paramita deeply, it embodies it
and is not limited to make it an object of thought - he is in unity with it.
Shariputra
listens to the Teaching, does not say a word - with a thirsty soul listens to
the Master's words because the Master knows what he needs.
When
we sit in Zazen (and possibly even later) we are practicing, perfecting, the
Perfect Wisdom.
Zazen
is the great Master, he teaches us that if we discriminate on the basis of our
ego we are destined to suffer.
So
the Sutra opens like this:
Kan
jī zai Bōsa-tsu.
Gyō
jin Han nyā Hā rā mi tā jī.
Shō
ken gō on kai ku.
Dō
is-sai kū yaku.
'The
Bodhisattva of Compassion and True Liberty practicing profoundly the Perfection
of Wisdom clearly sees that the body and the Five Aggregates are nothing but
emptiness, and, thanks to this realization, he overcomes suffering (he helps
all beings who suffer)'
'Practicing
profoundly' means being able to look beyond the surface of things.
Being
able to penetrate their essence by recognizing it as Empty.
The
5 Skandhas, the Sanskrit term for 'aggregates', are: Form, Sensation,
Perception, Mental Formations, Consciousness (or awareness), also defined as
the 5 streams or sources of existence.
Usually
when we say 'me' or 'my' or 'myself' we express some idea we have about the
concept of 'being'. But in the Buddha Dharma we say that there is no permanent
self - no reality that can be said to be separated from the whole.
What
we find and define 'ourselves' or 'someone else' is the composite result of
form, sensation, perception, mental factors and consciousness. And within this
composition, as well as within the individual aggregates, no separated self can
be found.
'The
Bodhisattva Avalokiteśvara practicing deeply the Prajna Paramita clearly sees
that the Five Aggregates in their essence are Empty, and, thanks to this
realization, he was saved from suffering (he helps all the suffering beings).'
No
existence has a permanent self - it is fundamentally empty, empty precisely of
a separate reality.
Emptiness,
Śūnyatā, Kū 空
or Kara (a term that should be familiar to karatekas) also means
interdependent.
When
we prepare a cake we must combine the ingredients: flour, water, sugar, eggs,
yeast ... we mix them, cook them and get the cake. That is: we say we have the
cake. We eat the cake and the cake is real and the mouth with which it comes in
contact, the mouth that tastes it, is real. But the cake is empty and even the
mouth is empty, both are empty of an independent and separate self.
What
makes a cake is a mouth that tastes it, and what makes the mouth is that which
is tasted.
The
cake is made of its ingredients and we see it in its shape but if we think of
it as an independent entity, this is an illusion.
Like
anything else, the cake has a momentary existence in the form of a cake.
What
makes the cake in its transient manifestation are not only the ingredients but
also the heat of the oven that cooked it, the table on which it was kneaded,
the spoon, the hands of those who kneaded it, the sky and the earth... The cake
- to manifest itself in this form -depends on everything else in the Universe.
The cake is therefore a manifestation of the universal life as much as a human
being is, the form is only a manifestation of the Void and the Void is nothing
but form.
The
analogy of water and wave could also be used.
The
wave is an expression of water, the wave is nothing but water and the water can
only be the wave at that precise moment. So the wave does not have its own
separate entity, its 'being' is water.
This
is therefore what is meant when we say 'being empty': 'being full' of everything else and empty of
a separate self.
When
the Buddha affirms something, his opposite is also included in his statement.
Non-duality
of duality.
Seeing
things as they really are - impermanent and empty - is Satori, Awakening, the end
of suffering.
This
does not mean that you will be free from pain, life in its essence is painful,
but you will learn to accept the pain, sorrow, joy, as ingredients of the cake
that is our life.
If
we understand this - and it is an intimate, experiential understanding toward
which Zazen leads us - we will know how to accept and appreciate our life
whatever it takes us to meet.
This
maturity is what we experience in Zazen.
In
Zazen, in every moment we welcome what comes to us: there is joy and we are only
joy, pain and we are only pain, with deep appreciation, bowing in Gasshō.
This
ability to see is the enlightenment, so we say that Zazen is the practice of
enlightenment.
The
practice is in not discriminating, not choosing, not grasping nor rejecting.
In
Hinayana Buddhism (Small Vehicle) there is an attempt to cultivate Nirvana by
avoiding the Samsara (the Form). Mahayana Buddhism states that Samsara and
Nirvana are unity, and liberation cannot be found outside of life and death.
The
Form (Samsara) is an expression of the Void.
If
you want to know the Void you cannot put the Form aside. If you want to touch
the Void, take care of the Form, of the Void in its manifestation.
O
Shariputra, what you see is empty, empty is what you see.
The phenomena are not
different from Emptiness.
Emptiness is not different from phenomena (Form is
nothing but Void, Void is but Form).
The
phenomena become emptiness, Emptiness becomes the phenomena;
and for the
perception, the thought, the will and the conscience it is the same thing.
O
Shariputra (accept !!)
every
existence has the character of Emptiness.
(everything
is a sign of the Void. It is empty/sign):
there
is no birth or death,
there
is no impurity or purity,
there
is no growth or decline.
All
dharmas have the character of Emptiness, I am empty/sign recites the Sutra.
The
Void is the possibility of the form.
As
water assumes the shape of the container so the form of the Zazen 'informs' the
sensations, perceptions, thoughts that arise during Zazen.
Our
body and our consciousness take the form of Zazen.
The
form springs from the absence of form and the absence of form is the source of
what is manifest, and they are unity.
Life
and death are unity (Shūshōgi) Samsara and Nirvana cannot be separated.
O
Shariputra recites the Sutra, accept all of this, accept that the nature of
things is to appear and disappear and you will be free from suffering.
In
this understanding and acceptance, all
fears disappear.
Zazen
teaches us that if we discriminate on the basis of our ego, we are destined to
suffer.
Birth
and death are only concepts created by the mind, and so are pure and impure.
We
build the idea of purity and the consequence is impurity.
The
Buddha states that nothing is contaminated and nothing is immaculate.
To
the Emperor who asked him about the essence of the Buddha's Teaching,
Bodhidharma replied: 'Kakunen Mushō' 'An unfathomable emptiness and nothing
sacred! "
There
is nothing to improve. This life does not have a goal to achieve, it is a pure
journey, a game.
To
believe oneself as uprooted from the Whole (Avidyā, ignorance) is at the origin
of suffering.
One
perceives oneself as an isolated fragment in a foreign Universe because of the
distorted mediation of thought. That thought which measures and divides (mind
from mensura = to measure).
Although
things seem to appear and disappear, nothing has actually appeared or
disappeared, as the waves of the sea do not appear and disappear but move.
So
pure and impure: we look at the garbage and say it is impure then we look at
food and say it is pure ... but in reality everything is rubbish as well as
everything is pure food.
Everything
is decomposing from moment to moment and from moment to moment it is coming to
life. It is composed and decomposed at the same time.
Although
in reality things are not pure or impure since we live in the world of the
senses we must pay attention to the pure and impure so we are forced to
discriminate and say: 'This is good' and 'This is bad', 'This is right and this
wrong'.
In
our daily life we cannot but make use of a dualistic thought, it is a necessary
tool for moving in the world of form, but we must be able to see the other
side.
Our
discrimination should not be based on our ego-centered being: I like this, I do
not like that. We must learn to shift our discrimination from 'me' to
'everything' by deciding, from moment to moment, depending on what the
situation requires for the good of all, not just for our benefit.
In
general, when we are called to express ourselves in most situations we start
from the point of view of our gain, but we have to change that perspective.
There
is no growth or decline (it does not grow/decrease)
Everything
changes and transforms but, in changing, everything 'is' itself from moment to
moment.
Dōgen
Zenji says: "Wood does not become ash as ash cannot return to wood."
Ash - again because of our discrimination - seems to derive from wood but in
reality, wood lives the life of wood and ash the life of ash.
If
you could ask the ashes: 'Do you know that you were once firewood?' it would
answer: 'What are you talking about? I do not know anything about firewood.'
So
if someone told us: 'Do you know that in the past you were a rock in a forest?'
we would reply in the same way.
Both
points of view are necessary: things are what they are and at the same time
they are in constant transformation.
Therefore
in Emptiness there are
neither phenomena, nor perception, nor thought, nor
will, nor conscience,
nor eyes, nor ears, nor nose, nor tongue, nor body, nor
mind,
no colors, no sounds, no smells, no tastes, no tactile sensations, no
concepts,
nor knowable,
nor
knowledge,
nor
ignorance,
nor
end of ignorance,
neither
degeneration nor Death,
nor
end of degeneration and death,
neither
Suffering, nor Cause, nor Cessation, nor Way,
neither
wisdom,
nor
profit,
nor
non-profit.
The
Heart Sutra is the negation Sutra: it sweeps away everything to show the
essence.
In
the Void there is no eye, ear-nose-language-body-mind, nor color-sound-smell-taste-tact-thought...
Without
the object of vision, the eye is not an eye. In order to have the conscience
there is the need of an organ and of an object, and all three, organ, object
and consciousness, are interdependent.
The
eye, the object of sight and the conscience, together, make it possible for me
to recognize this as a book. Even if we can consider it as an object, in
reality there is no object that exists by itself in the common meaning of the
term. The object is part of the consciousness because the consciousness
"creates" the object.
'there
is no nose-eye...' means that everything depends on any other. The nose is a
nose because there is the smell and the olfactory conscience, so a nose is a
nose but it is also the whole universe.
It
takes the whole Universe to have an ear.
You
can never really sing or dance if you do not understand this.
'No
life nor death ...'
The
Buddha says that there is no beginning or end to the river of life. It is
circular therefore only arbitrarily can we establish a beginning and an end,
but it will be an arbitrary convention. In reality we are conventionally
choosing two points of a circumference.
Rebirth,
which has nothing to do with the fear of dying that makes us hope to
reincarnate, is the transformation of energy into other forms. Sometimes, it is
likened to lighting a candle with another. We can say that one flame is born
from the other but we cannot say that it is the same flame.
It
is a continuous transformation in which nothing can really be held back.
The
cause of suffering lies in trying to hold back the flow of life.
For
the Bodhisattva,
thanks to the Perfection of Wisdom that leads beyond (without
the veil of the mind),
there are neither obstacles nor fear;
illusion and
attachment are removed,
and thus it is possible to reach Nirvana.
All
the Buddhas of the three Temples,
thanks
to the Perfection of Wisdom,
obtain
the complete Awakening.
One
could also say it this way: 'With nothing to obtain a Bodhisattva is based on
the Prajña Paramita and the mind is no longer an obstacle'.
Practice
and Realization coincide (Shū Shō Ichinyo).
We
do not go to school to learn enough in order to go to university and then find
a good job to support a family and so on... And we do not eat to defecate,
Sawaki Roshi said, speaking to university students.
In
practice, the 'purpose' is to go back to where you are. There is no place to
go. Awakening is being where you are, fully, and allowing your enlightened mind
to express itself.
So
it is Full of Enchantment the Mantra,
Full
of Wisdom the Mantra, Supreme Mantra,
Uncomparable
Mantra, not false, it will save from any misery, the Perfect Wisdom.
The
Mantra unfolds and says:
Gyate(i)
Gyate (i)
Hara
Gyate(i), Hara so Gyate(i)
Boji
Sowaka
Going,
going,
going
together beyond,
going
beyond the beyond,
up
to the Satori.
Sutra
of the Heart of Wisdom.
The
Sutra therefore ends with a Mantra:
Gyate
(i) Gyate (i)
Hara
Gyate (i), Hara so Gyate (i)
Boji
Sowaka
or
Gate,
Gate
Paragate,
Parasamgate
Bodhi
Svaha
Which
is defined: Supreme Mantra, Mantra of Wisdom.
This
Mantra favors absorption or concentration (a pure wind that drives away
thoughts).
But
in reality, in the 600 volumes of Prajña Paramita there are no Mantras so we
should ask ourselves why the Heart Sutra ends with a Mantra.
Our
life in the practice is a Mantra.
Repetition,
exercise, in the concentration of the practice, is not something 'repetitive',
just like reciting a Mantra is not 'repetition'.
An
energetic dynamism is created from this return to Zero through the form and this
return to Zero generates a spiritual power.
The
daily program of a dojo, of a Sesshin, is a Mantra. Through the powerful,
dynamic Mantra of the form, the Prajna Paramita manifests itself and can be
experienced. When we offer an incense stick, we invite Prajña to permeate our
practice, we invite the Buddha to join us.
Our
life has a rhythm, however crude or evolved it may be, and this rhythm is a
Mantra.
It
is up to us to choose which Mantra we want to recite in our life.
'Gone,
gone ...' gone from matter, from the body, from the tangible, from life and
death, beyond the mind and the thought, beyond the 'self', the ego, 'gone
completely beyond': he returned at home, What an awakening! What a joy!
Going
constantly 'beyond' must become the way to lead our lives, beyond any name and
form. This could be the message, condensed in a few words, of the whole
Teaching of the Buddha. You are a Buddha, and if you do not recognize yourself
as such, you will suffer.
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