In
giro per Latina oltre che per i social c’è chi dice: “Ma chi glielo ha fatto
fare? Come gli salta per la testa, a uno di Sezze, di andare fino sopra
all’Himalaya, al Nanga Narbat, con moglie e un figlio piccolo a casa? Non
glielo aveva detto pure Messner: rinunciate, non andateci?”. Be’, con tutto il
rispetto per Messner, credo però che non ci sia stato nessuno – tra tutti
quelli che lo hanno conosciuto sia a Sezze che a Latina, a cominciare dalla
madre – che non gli abbia detto chissà quante volte: “Non partire Danie’,
stàttene alla casa!”
Ma
lui ti guardava con quegli occhi bambini, e poi sorrideva: “Debbo andare per
forza”.
“Pìgliatela
in quel posto, allora, adesso” dicono sui social o in giro per i bar,
dimenticando che – prima o poi – si muore tutti a questo mondo, pure quelli che
restano a casa. Pure giovani giovani, magari in macchina sulla Pontina o una
Migliara, quando non proprio dentro il bagno di casa, scivolando sulla
saponetta. Muoiono perfino quelli che non fumano – quelli che non hanno proprio
mai fumato, mai drogato, mai bevuto, pensa tu! – mentre certi che fumano
arrivano pure a cent’anni. C’è poco da fare: prima o poi si muore tutti e non
conta – alla fine – come si muore, ma come si è vissuto.
Non
c’è essere umano che – da bambino o adolescente – non abbia sognato di fare, da
grande, ciò che nessun altro aveva mai fatto: nel lavoro, nello sport,
nell’arte, nella scienza o nell’avventura. Poi man mano, crescendo, la maggior
parte si adegua agli standard del reale e cerca una vita pressappoco uguale a
quella degli altri: “Perché chiedere di più?”
Ci
sono invece quelli – una minoranza – a cui il fuoco non si spegne con la
crescita, a cui il fuoco rimane.
A
loro non basta una vita normale.
Debbono
sempre osare e stirarla al massimo: sempre in cerca di guai, sempre in bilico
sull’orlo per superare il limite. Pensano un’impresa e subito la tentano, e più
è difficile e più gli viene voglia: “Non l’ha fatta mai nessuno? Be’, è per
questo che la debbo fare io. Se no chi la fa?”. Pensa solo a quanta gente è
morta, prima che imparassimo a volare.
Quelli
che vanno in cerca di guai ci servono come il pane. Svolgono una fondamentale
funzione cosmica, prima ancora che sociale. E’ una legge della fisica: non
possiamo essere tutti perfettamente uguali, non esiste in natura la normalità.
Pure se vai in spiaggia da Capo Portiere a Rio Martino e ti metti con il
microscopio, tu non troverai due chicchi di sabbia perfettamente identici.
Ora
noi umani siamo sostanzialmente tutti uguali e le spinte che animano il conscio
e l’inconscio di quella minoranza – quelli che, quando tutti guardano da una
parte, loro invece guardano da un’altra: per terra, di lato, per aria o
comunque oltre; i divergenti – quelle stesse spinte le abbiamo tutti, dentro.
La maggioranza poi le reprime, per il fortissimo impulso a conformarsi agli
altri, a sembrare in tutto e per tutto uguali per essere accettati dagli altri,
amati e rassicurati.
Per
fortuna però ci sono pure quelli come Daniele Nardi – ma come anche Tom Ballard
e Virginia Chimenti del resto, la volontaria Onu di Cisterna caduta l’altro
giorno col Boeing in Etiopia, mentre era in volo per Nairobi – che quelle
spinte non le hanno represse ed hanno vissuto fino in fondo la voglia di
divergere, di scoprire l’ignoto e superare i limiti imposti.
Se
non ci fossero al mondo quelli come loro – quelli che con gli occhi bambini e
col sorriso sulle labbra sfidano l’inviolabile – noi staremmo tutti ancora
all’età della pietra, anzi, pure prima: sopra le piante come ogni altra specie
di scimmie, nel centro dell’Africa, a mangiare banane. Quando il primo di noi –
un milione e mezzo d’anni fa – è sceso dall’albero, ha raccolto una pietra e
con questa pietra ne ha scheggiata un’altra per farne un utensile e s’è levato
in piedi in mezzo alla savana, a vedere se per caso passasse una gazzella, noi
tutti in coro, da sopra all’albero, gli strillavamo: “Che cazzo stai a fa’?
Torna subito qua sopra, che là sotto ti si mangiano i leoni”.
Invece
è lì che è nata la civiltà – la tèkne, lo sviluppo – il primo passo della
civilizzazione, con tutti noi che dietro a lui, mano mano, siamo scesi
dall’albero e un passo dopo l’altro, seguendo loro, siamo arrivati dove siamo,
alle navicelle spaziali oramai pronte per la conquista dello spazio. Ogni
singolo progresso dell’umanità è dovuto a quei pochi – come Daniele Nardi –
nati e cresciuti con il fuoco dentro e privi del normale senso del limite. Li
dovremmo solo ringraziare.
Ciao,
Daniele. Riposa in pace col tuo amico Tom Ballard. Vi sia lieve la neve che vi
copre.
Un
pensiero ai vostri cari.
Antonio
Pennacchi