Pubblichiamo il simpatico e interessante contributo di Emilio Chelini,
cintura verde 3° Kyu, del Tora Kan Dōjō di Roma.
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Certo dovresti calmarti un po’, alla tua età…
Basterebbe questo a mandarmi su di giri, se non fosse che l’affermazione inaspettatamente mi diverte.
Mia madre è persuasa di avere un figlio quarantenne che si dedica a delle pratiche sconvenienti e pericolose.
Quindi se ho uno strappo fastidioso, e fino a ieri doloroso, all’inguine è colpa del karate o di qualche altra diavoleria alla quale ogni tanto mi dedico.
Cosa mi diverte? Due considerazioni:
che non si finisce mai di essere figlio (e di conseguenza che non si smette mai di essere genitori), indipendentemente dal carattere, dall’anzianità e dalle ferite conseguite in battaglia.
E che nella testa di alcune persone, tra cui evidentemente mia madre, alcune pratiche siano considerate particolarmente pericolose.
Le arti marziali nello specifico, ma qualsiasi attività non convenzionale. Oserei dire qualsiasi esercizio che richieda un impegno non moderato. Mi vien da pensare che non si tratti di pericolosità fisica. In effetti non è tanto quello che uno fa, ma il fatto che ci dedichi tanto impegno.
L’apprensione in alcuni casi nasconde un malcelato fastidio. Il fastidio per la costanza di una pratica improduttiva e pericolosa considerata alla stregua di un comportamento asociale, futile, esagerato fanatico, un vezzo giovanilistico, un’immatura volontà di evitare la vita adulta. Come se la vita adulta dovesse conformarsi ad una tipologia ben precisa di attività. Comunque non pericolosa, e quantomeno utile, praticamente utile.
Cercare di evitare: lo scontro, il rischio, le situazioni di imbarazzo. E tutto questo cercare di tenersi lontano alla fine distrae. Vuole essere maturo, parla in nome della maturità ma non risponde alla domanda fondamentale. Evita la morte, per esempio. L’accettazione del dolore è pericolosa, secondo un ottica comune, distratta. Io trovo che ammonticchiare la laniccia sotto il letto nascondendola alla vista provochi solo reazioni di tipo allergico.
La dimensione della responsabilità contrapposta al gioco conduce alla negazione della vita. Chi è consapevole della legge fondamentale, solo attraverso il gioco nella sua accezione più ampia si gode la vita e manifesta un sano attaccamento all’esistenza. Attenzione però perché il gioco, così come l’attaccamento, può essere anche massima distrazione.
Il vero problema è che termini come Responsabilità, Gioco, Pericolo sono qui termini con una doppia valenza, ciò che li modula è l’autenticità. Il concetto di Responsabilità nasconde due visioni differenti e contrapposte. Responsabile è chi si prende carico del proprio compito. La differenza è quindi data dal compito che uno si sente chiamato ad assolvere. Così come uno dei pericoli più grandi, prima ancora di una scivolata in un canalone, può essere la perdita di vista del proprio centro.
Penso che ci si può lanciare con il parapendio per distrarsi ancora di più, per eccitarsi e cercare nelle scariche di adrenalina un senso alla vita. Il vero pericolo non è connaturato al gesto che si compie, ma al come lo si compie. Se mi lancio con il parapendio perché affronto le mie paure, non competo con il vento ma mi lascio portare. Non sfido la montagna quando sto in mezzo alle Alpi, così come il pescatore non sfida il mare. Al limite sfido me stesso e i miei limiti.
Fai ‘sto sport pericoloso.
(Pericoloso, secondo me, è che tu, mamma, affermi che l’attività che pratico, il karatedo tradizionale, l’Okinawa Goju Ryu Karatedo al suo meglio, il karate iogkf, insomma… che tu affermi che quello che faccio è uno sport, questo si che è pericoloso, soprattutto se ti sente chi dico io…)
Quindi la provoco:
Ma se non gioco a calcetto da più di un anno…
(Voglio sfatare però anche questa credenza popolare secondo la quale il calcetto sarebbe lo sport più pericoloso, prima del calcetto viene il giardinaggio. Gli ultimi infortuni che ho avuto, a parte questo, sono dovuti proprio alle cure del giardinetto di casa).
Ma no dico, - la prende alla larga - tutte ‘ste corse a Villa Pamphili, e poi il karate coi suoi movimenti bruschi…
Normale.. credo si figuri uno che combatte come un ninja in un b-movie anni settanta o un Samurai con lo spadone.
Ma sarebbe contrariata anche solo guardando il suo ragazzo, me, (lo so che non sono più un ragazzo ma che ci vuoi fare così mi vede ancora), con il gi bianco in riva al mare o al parco giochi di Trevignano. Qualsiasi esagerazione sarebbe criticata, ed è esagerato tutto quello che non rientra nella normalità. I colloqui con i genitori a scuola sono normali, la spesa il sabato mattina e le corse appresso agli impegni di lavoro e dei bambini.
Per come la vedo io è più imprudente fare una fila alla Gerit che un irikumi senza protezioni. La fila alla posta ti ingrigisce e non ti da alcuna speranza, invece un cazzottone in testa ti risveglia, magari non eleva lo spirito, ma quantomeno migliora la tecnica, la prossima volta vedi che non ti scordi di tenere su la guardia.
Quello che mia madre non sa, anche se glielo ho ripetuto mille volte, ma evidentemente non c’è verso che accetti di cambiare prospettiva, è che ‘sto benedetto strappo l’ho preso per colpa di una bellissima domenica di sole. La prima domenica di aprile, picnic con la famiglia a Villa Pamphili, insieme ad altre coppie di amici coi bambini.
Ho giocato e corso tutto il giorno. Incurante di questo fastidio nascente all’attaccatura della coscia.
I ragazzini sono contagiosi. Complice la primavera, il cielo blu e l’erba profumata, metti un pallone e l’energia dei bambini e la frittata è fatta. La vita è pericolosa fintanto che uno si lascia sorprendere dalla vita stessa. Nessun freno. Il gioco, lo sport che preferisco, richiede coraggio. E quando pratico, qualsiasi cosa pratichi, cerco di unire la tecnica, anche se rozza, a quello che è l’entusiasmo del principiante.
Riesco a intravedere un unico rischio in questa situazione, che ‘sto strappo non guarisca in tempo per il gasshuku di Sensei Yamashiro. Ecco questa sarebbe veramente una iattura. Fortunatamente dicono che questo tipo di infortunio richieda riposo, ma che guarisca in fretta. Non vedo l’ora, intanto lucido le protezioni.