Pubblichiamo l'estratto di un Insegnamento offerto da Taigô Sensei durante la Pratica Zen.
Mi viene in mente l’esempio del nostro fratello e Maestro Francesco d’Assisi.
Era estremamente radicale nel modo in cui ha voluto vivere imitando Gesù, era
radicale, non facile né da comprendere né da seguire, non faceva sconti a
nessuno; andando oltre l’immagine addomesticata che ci è stata trasmessa.
Francesco con la sua lieve, delicata presenza, era di
un’energia spaventosa che scuoteva le radici della vita di chi lo incontrava,
come succedeva a chi incontrava Cristo, o il Buddha.
Una delle cose sulle quali Francesco era totalmente
radicale, e non scendeva a nessun compromesso, era la povertà. Sorella Povertà,
che riteneva la condizione essenziale, la prima condizione per i compagni della
comunità che si era riunita intorno a lui. Anche questa idea di povertà è stata
addomesticata perché è spesso confusa soltanto con la rinuncia a beni
materiali.
Nel momento in cui nella piazza di Assisi Francesco ha
restituito al padre i suoi abiti ed i pochi soldi che aveva con se, si è interpretato
‘addomesticando’ questo potente gesto con una rinuncia ai beni materiali.
In realtà quel momento segnava l’Ordinazione di Francesco, non c’è stato
bisogno di un’istituzione che gli riconoscesse con un diploma la sua Ordinazione.
Francesco si è ordinato il giorno in cui ha restituito gli abiti al padre … ed
ha scelto la sua vita.
È lo stesso gesto che fa il monaco Zen quando viene
ordinato prosternandosi di fronte alla stele che rappresenta la sua famiglia. Restituisce
i suoi abiti ed indossa il Kesa. Questo
significa riscoprire il legame familiare con un’altra profondità, un
altro registro, una maturità che non sia quella della dipendenza.
La povertà di Francesco non era il rinunciare a
qualcosa con sacrificio, ma era la gioia di aver compreso che non si aveva
bisogno di nulla, la gioia di aver tranciato gli attaccamenti che non poteva
che esprimersi con una vita semplice, sobria.
Dante rappresenta la lupa di Francesco come l’immagine
del pericolo che lui ha domato. I pericolo dell’inseguire l’attaccamento,
l’avidità; il lupo che è dentro di noi ingordo ed avido di tutto, anche di
amore, quell’amore che viene soffocato dall’avidità.
La scelta consapevole di non voler più accumulare per sé stessi ma vivere con
un abito ed una ciotola.
Su questo Francesco era radicale; un giorno trovandosi
a Bologna dove si era costituita una piccola comunità di frati che seguivano la
sua “regola” andò a fargli visita e si accorse che questi frati avevano
costruito un edificio in cui vivevano, in cui avevano anche ospitato malati e
bisognosi … si adirò furiosamente, cacciò fuori tutti, compresi i malati.
Intimò ai suoi frati di andare per il mondo: “non dovete fermarvi, dovete
servire muovendovi senza avere una casa fissa”.
Pensate quanto questo sia vicino all’esempio del
Buddha … non dovete fermarvi, esortava il Buddha i suoi discepoli. Ogni giorno
dovevano essere in un luogo diverso ad elemosinare il pane quotidiano senza
conservare nulla per il giorno dopo.
Francesco sapeva che il fermarsi, l’attaccarsi, avrebbe corrotto la vita e la
pratica dei suoi monaci.
Vedete quante coincidenze con l’attualità della
pratica religiosa …
La povertà di Francesco era una scelta, scelta di
vivere sobriamente sapendo che nulla manca, senza alcun bisogno di accumulare …
d’altronde lui giocava a Cristo, imitava Cristo e Cristo lo aveva detto
chiaramente: non c’è bisogno che vi affanniate, ogni giorno ha il suo affanno,
ma guardate gli uccelli nel cielo come sono splendidamente rivestiti senza
dover cucire, non gli manca nulla, perché pensate che a voi possa mancare
qualcosa ?
Anche un povero può essere avido e affamato di desiderio,
o rabbioso perché magari ha perso i suoi beni giocandoli a carte, ma questa non
è la povertà di Francesco.
La povertà di Francesco e del Buddha è scoprire la
propria pienezza ed esserne appagati e soddisfatti. E’ poter dare a pieni mani
perché si è talmente ricchi che non si manca di nulla e si può offrire tutto
agli altri. Ogni giorno svegliandosi, Francesco decideva quella vita.
Sawaki Roshi diceva: “Se voi anche per un momento
siete capaci di rinunciare ad una bella casa o ad un cibo delizioso avrete
offerto un grande dono a tutta l’umanità”. Pensate quanto attuali siano queste
parole, quanto vere …
Ci troviamo oggi nella condizione di essere vicini
all’annientamento della razza umana a causa della nostra avidità. È tutto lì.
Tutti i problemi che viviamo, da quelli politici a quelli di vita quotidiana,
derivano quasi esclusivamente dalla nostra avidità.
Anche se non arrivando alla scelta radicale di
Francesco, diventiamo consapevoli di questo rivoluzionando un po’ la nostra
vita come lo Zen suggerisce di fare, perché se noi non abbiamo capito questo
dello Zen non ha nessun senso sedere in Zazen.
Se lo Zazen non è alla radice delle nostre scelte, se non ci fa diventare più
sobri, più attenti a quello che tocchiamo, all’acqua con cui ci laviamo al
mattino, agli abiti che indossiamo, non ha nessun senso sedere in Zazen e non abbiamo
capito nulla dello Zazen.
Paradossalmente si può anche vivere una vita agiata e
non essere avidi come si può essere privi di ogni mezzo di sostentamento e rimanere
avidi. Dogen Zenji aveva una famiglia ricca e ha scelto di vivere una vita
sobria, Francesco altrettanto, il Buddha era figlio di un Re…
Quindi noi possiamo cominciare ad essere più sobri,
più attenti alla piccole cose; non una goccia d’acqua va sprecata, non un
chicco di riso. Il modo in cui lavoriamo, in cui offriamo il nostro servizio
nel lavoro, può essere improntato a questa consapevolezza. Questo è il valore
della pratica religiosa in generale.