Tutti provano, in modo più o meno confuso, il
bisogno di nascere. Ma ci sono soluzioni che ingannano. Certo è possibile
animare gli uomini rivestendoli di uniformi. Allora canteranno i loro inni di
guerra e spezzeranno il pane tra camerati. Avranno ritrovato ciò che cercano:
il sapore dell’universale. Ma, del pane che ad essi viene offerto, moriranno.
Si possono dissotterrare gli idoli di legno e risuscitare i vecchi miti che,
bene o male, sono stati ampiamente sperimentati; si possono riesumare le mistiche
del pangermanesimo o dell’impero romano.
Si possono inebriare i tedeschi dell’ebbrezza d’essere tedeschi e compatrioti di Beethoven. Si può, ubriacare con questi anche uno stivatore di carbone. È indubbiamente più facile che ricavare un Beethoven da uno stivatore di carbone. Ma simili idoli sono idoli carnivori. Colui che muore per il progresso delle conoscenze o la guarigione delle malattie, serve la vita nell’atto stesso in cui muore. Forse è, bello morire per l’espansione di un territorio, ma la guerra d’oggi distrugge ciò che pretende favorire. Non si tratta più, oggi, di sacrificare un poco di sangue per vivificare tutta la razza. Una guerra, da quando viene curata con l’aereo e l’iprite, non è più che sanguinosa chirurgia. Ognuno si sistema al riparo, dietro un muro di cemento; ognuno, in mancanza di meglio, lancia una notte dopo l’altra delle squadriglie che silurano l’altro nelle sue viscere, fanno saltare in aria i suoi centri vitali, paralizzano la sua produzione ed i suoi scambi. La vittoria è di chi giunge per ultimo alla putrefazione. E i due avversari si putrefanno insieme.
In un mondo divenuto deserto, avevamo sete di ritrovare dei compagni: il sapore
del pane spezzato tra compagni ci ha fatto accettare i valori della guerra. Ma
non abbiamo bisogno della guerra per trovare il calore delle spalle vicine in
una corsa verso il medesimo fine. La guerra c’inganna. L’odio non aggiunge
nulla all’esaltazione della corsa. Perché odiarci? Noi siamo solidali,
trasportati dallo stesso pianeta, equipaggi di una stessa nave. E se è un bene
che delle civiltà si contrappongano per favorire nuove sintesi, è mostruoso che
si divorino a vicenda. Poiché, per liberarci, basta aiutarci a prendere
coscienza di un fine che ci lega gli uni agli altri, tanto vale cercarlo là
dove ci unisce tutti. Il chirurgo che visita un paziente, non ne ascolta i lamenti
mentre lo ausculta: attraverso costui egli cerca di guarire l’uomo.Si possono inebriare i tedeschi dell’ebbrezza d’essere tedeschi e compatrioti di Beethoven. Si può, ubriacare con questi anche uno stivatore di carbone. È indubbiamente più facile che ricavare un Beethoven da uno stivatore di carbone. Ma simili idoli sono idoli carnivori. Colui che muore per il progresso delle conoscenze o la guarigione delle malattie, serve la vita nell’atto stesso in cui muore. Forse è, bello morire per l’espansione di un territorio, ma la guerra d’oggi distrugge ciò che pretende favorire. Non si tratta più, oggi, di sacrificare un poco di sangue per vivificare tutta la razza. Una guerra, da quando viene curata con l’aereo e l’iprite, non è più che sanguinosa chirurgia. Ognuno si sistema al riparo, dietro un muro di cemento; ognuno, in mancanza di meglio, lancia una notte dopo l’altra delle squadriglie che silurano l’altro nelle sue viscere, fanno saltare in aria i suoi centri vitali, paralizzano la sua produzione ed i suoi scambi. La vittoria è di chi giunge per ultimo alla putrefazione. E i due avversari si putrefanno insieme.
Il chirurgo stesso parla una lingua universale. Lo stesso fa il fisico quando medita quelle equazioni quasi divine per mezzo delle quali egli afferra al tempo stesso e l’atomo e la nebulosa. E così via, fino al semplice pastore. Poiché questi, vegliando modestamente alcuni montoni sotto le stelle, se diviene conscio della parte che svolge, scopre di essere qualcosa di più di un servo. È una sentinella. Ed ogni sentinella è responsabile di tutto l’impero.<…>
Quando prenderemo coscienza del nostro compito, per quanto sia poco vistoso, solo allora saremo felici. Solo allora potremo vivere in pace e morire in pace, perché ciò che dà un senso alla vita dà un senso alla morte.
Tratto da ‘Terra degli Uomini’
Di Antoine de Saint-Exupéry
© Tora Kan Dōjō
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