martedì 1 giugno 2021

Del solo Zazen



Traduzione e trasposizione del Fukanzazengi di Dōgen Zenji ad opera del Maestro F.Taiten Guareschi

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Del Solo Zazen


"Noi, la realtà possiamo solo fingerla.
Finta la realtà è chiamata a rivelarsi.
Ma non è mai finita
e continua a richiamarci."

 

Adorante silenzio, abitato, vuoto silenzio, gesto agito[1] che, ancorando alla terra, solleva nello spazio, panorama dipinto ove tutto procede da sempre in pace ed in armonia, Zazen postura del non rifiuto, non di colui che respinge l’altro di fronte a sé, ma di colui che diventa uno - dove la vita non rifiuta la morte, la morte la vita, me il noi, il noi il me, il prima il dopo, l’ora il sempre, l’umanità la divinità, l’immanenza la trascendenza, la ragione la fede, il finito l’infinito.

 

Quando si accetta in sé come un solo corpo tutto quel che appare opporsi e si diventa uno con quello, senza ignorare la differenza, altro non può esserci che non sia noi stessi, poiché a quel punto se stessi diventa la pienezza dell’universo in ogni tempo, un solo corpo col tutto che sente il dolore dell’altro come il proprio dolore, la gioia dell’altro come la propria vera gioia. Nirvana senza dimora. In virtù della grande sapienza non indugiamo nella vita e nella morte, travolti da quel mondo ch’è breve sogno e grazie alla grande compassione non dimoriamo nel nirvana, ma ritorniamo costantemente trasfigurati nel qui ed ora, grande sogno e vita del Buddha, al di là dell’aldilà, verso e oltre il Buddha.

 

Zazen virginale stato di sforzo genuino e soddisfazione spirituale, consumata libertà, candido ardere senza tracce ed artifici ove tace la misura del mondo.

Esito ed inizio d’ogni istante Zazen non ha durata, niente da fare.

Impronta d’innata sapienza, d’ogni giorno sigillo dello spirito che d’età in età si tramanda, risorti al respiro dello splendor del vero.

Passo indietro, pronto trasfigurar di corpo e mente, d’una prima originale immagine che a sua somiglianza così ci vuole. Inevitabile sequela del così ove si può quel che si vuole.

 

Per Zazen è propizio un luogo quieto, fresco e in penombra; il cibo e il bere moderati; nell’ascolto e nel silenzio, senza darsi pensiero del bene, male, giusto, ingiusto; ferme le coscienze alaya, mana e le coscienze dei sei sensi ed ogni altra attività volontaria o cosciente. Senza curarsi della beatitudine e dell’infelicità e senza figurarsi alcuna idea di Buddha. Zazen nulla ha da vedere con lo star seduti, distesi, in piedi, in movimento.

 

A terra su un cuscino tondo e spesso, posato su un cuscino ampio, piatto e quadrato, sediamo nella postura del loto o del mezzo loto. Nella postura del loto il piede destro è sulla coscia sinistra, piede sinistro sulla coscia destra, pianta dei piedi girata verso l’alto. Nel mezzo loto solo il piede sinistro è sulla coscia destra. L’abito s’indossa lento, ma in ordine e pulito. La mano destra, palmo girato verso l’alto, sul piede sinistro, le dita della mano sinistra sulle dita della mano destra; lieve, ma continuo il contatto dei pollici, tenuti orizzontali. Ben eretto è il corpo e dritto, senza che penda a destra, a sinistra, avanti, indietro: le orecchie, le spalle, il naso, l’ombelico in linea. La bocca chiusa, la punta della lingua tocca il palato alla radice dei denti, si toccano i denti, sempre gli occhi semi-chiusi.

 

Quieto (e) sottile il respiro attraverso il naso e presa la postura corretta una volta si respira profondo, s’inspira ed espira quietamente, oscillando poi il corpo a destra e a sinistra fino a sedere fermi, solidi come una montagna che pensa senza darsi pensiero. Ma com’è che si pensa senza darsi pensiero? Pensando senza pensare. Proprio questa è l’arte essenziale dello zazen, questo pensiero senza limiti, illimitato, immediata intuizione che ogni scopo è falso.

 

In questo zazen non si procede per gradi, ma è fin da subito porta del Dharma di pace e gioia, pratica realizzazione di un risveglio pienamente consumato, azione manifesta della verità a cui tutti, senza impedimenti, appartengono lo vogliano o meno. Di ritorno, inconsciamente, naturalmente alla condizione originale del corpo e della mente siamo come il drago che ritrova l’acqua, come la tigre che rientra nella montagna. Poiché è in potere della realtà dello zazen il rivelarsi del giusto Dharma dall’inizio siamo affrancati da sonno e distrazione.

 

Per finire lo zazen si giungono le mani palmo contro palmo davanti al viso, si inclina il corpo reverenti; poi si posano le mani sulle ginocchia, pollice ripiegato nel centro del palmo rivolto verso l’alto; si espira fondo attraverso la bocca e si oscilla il corpo a destra e a sinistra senza fretta, ma senza indugio con movimenti sempre più ampi, sei o sette volte.

 

L’esempio antico, andare oltre le distinzioni sacro-profano, il distacco della vita e della morte, sempre è dipeso dalla forza dello zazen.  Inoltre l’apertura al risveglio offerta da un’occasione qualsiasi non è mai sorta dalla ragione che discrimina né da un potere sovrannaturale.

 

La maestosa e splendida condotta che celebra e risponde al voler del vero, come potrebbe limitare quel che si vede e si ascolta? Non è quindi questione di erudizione o insipienza perché chiunque si doni senza riserve con tutto se stesso, indifferente alle circostanze, là dove si affacciano supplica e risposta, incontra misteriosamente quel che si dona sempre e comunque. Incorruttibile, immacolato è ogni sforzo che non cerchi soddisfazione altrove che nel proprio e semplice compimento. Progredire a questo punto è questione ordinaria e quotidiana.

 

Nella varietà dei doni, tutti, solo sedendo fermi come montagne, danno voce alla verità dell’unico spirito, impronta del Buddha sua grande misericordia. Perché lasciarsi tentare errando invano ingannati dalle distrazioni di vie traverse? Un solo passo falso e sarà facile sentirsi perduti malgrado la semplice povertà del cammino a noi dischiuso. Anche se la vita si consuma in un istante è pur vero che questa sorte umana è una rara fortuna e la sua preziosa fragilità gloria e mantiene la vera via della vita del Buddha. Verità e illusione, rugiada su un filo d’erba, lampi nel cielo, vane stille che però l’umana cura gloria ed onora. Usi all’indugio temiamo il vero drago, l’evidenza splendente e misteriosa della realtà nel suo rivelarsi, ma anche un drago dipinto ha il potere delle nubi e della pioggia.

 

Insieme e vigorosi andiamo quindi per la via serena di chi al sapere e all’agire più non s’affida, la via del satori del Buddha, l’antico eterno samadhi, lo zazen, ritorno alle condizioni normali originali del corpo e della mente, lieti e pronti a quel che così ci vuole e che a volontà potrà di noi disporre.

 

 «com' a lo re che ' n suo voler ne ' nvoglia.
E ' n la sua volontade è nostra pace:
ell' è quel mare al qual tutto si move
ciò ch' ella cria o che natura face ».

(Dante, Paradiso, III 84-87)

 



[1] Violazione, infrazione simbolica propria d’ogni gesto rituale. “Alcuni pensano che zazen… ma zazen è la suprema cerimonia…” vedere La pratica della concentrazione di T. Deshimaru


© Tora Kan Dōjō




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