è offensivo suggerire a
un adulto
che la sua educazione è
incompleta
Educazione è insegnare
ad affrontare la realtà.
Guardavo una gatta
indipendente (in ogni senso non accasata) nel parco dell’ospedale di Volterra.
Aveva un gattino di due mesi. Nella giornata di sole lei indulgeva alla
toeletta in una radura tra l’erba; lui strisciava attorno mimando un agguato.
Aggirava la mamma e balzava repentino alle spalle ad afferrarne la coda. Che
lei spostava con perfetto tempismo dall’altra parte. E continuava a
rassettarsi. Lui riprendeva a strisciare quatto, un quarto di cerchio nell’erba
che rappresentava la foresta. Nuovo balzo e nuovo spostamento di coda mentre
alle leccate si aggiungeva una mordicchiatina sotto l’ascella. Lui giocava; lei
serenamente oziava, mentre lo addestrava all’agguato.

Andò a finire che il
cucciolo fu trasferito a Biella col nome di Calimero e il titolo di Conte di
Volterra e svegliò il padrone quando la casa prese fuoco. In questo caso l’insegnamento
di caccia attinto dall’esperienza della genitrice si rivelò inutile alla
sopravvivenza del micio; ma tornò la buona l’attenzione, la capacità di
analizzare i fatti e la sensibilità ai rapporti sociali che, dietro quell’insegnamento,
costituivano la proposta educativa.
Quelle immagini non mi
lasciano, legate come sono alle riflessioni che hanno prodotto. Il bimbo cresce
giocando, ma occorre che il gioco lo introduca all’Universo, lo addestri alla
vita, perché questa possa trascorrere piena e degna. Non so da dove vengano i
bambini, anime da sempre in fieri, (immortali…?) o antenati incarnati. Certo
nulla mostrano di sapere circa questo universo (fatto di
terra-acqua-fuoco-aria, o: materia-tempo-energia-spazio come dicono i moderni)
ed è necessario istruirli (alle nostre latitudini tempo-spaziali la causa prima
di mortalità infantile è l’incidente stradale, strettamente legato alla
percezione degli elementi, richiesta nell’azione fisica)

Rispetto all’essere
primitivo dovremmo aver sviluppato una personalità più indipendente dal gruppo
e di conseguenza una morale di coesistenza che supera le credenze totemiche
(etniche, religiose e politiche). A questo siamo arrivati soprattutto per la
spinta demografica, che ci costringe a vivere pigiati in una nazione, anziché
stretti nella tribù, e a stabilire quindi opportune relazioni sociali. Il
nostro modello mortale è legato alla convivenza, e anche il “non fare agli
altri quello che non vorresti fosse fatto a te” avrebbe scarso valore per
Robinson Crusoè. Penso che, senza porlo ad esempio, sia utile tener d’occhio
quel grande crogiolo sperimentale che è il Giappone, dove da quindici secoli si
verifica un interessante rapporto tra il massimo numero di abitanti e la minima
disponibilità di risorse naturali. Ecco che diventano interessanti, per
prevedere il futuro nel bene e nel male, le proposte educative, talvolta estreme,
che nascono da tali condizioni.
Qual è dunque la realtà
a cui dovremmo educare i nostri cuccioli?
l’esperienza della precedente. Mio padre aveva viaggiato sui tramway a cavalli e stendeva l’emulsione sulle sue lastre fotografiche. Io campeggiavo dove volevo e avevo accettato la sfida di attraversare qualsiasi fiume mi fossi trovato davanti. Mio figlio guida la macchina dai 18 anni; non ha idea di cosa sia una pellicola fotografica se non che va introdotta nella camera prima di usarla; i tram cavalli nemmeno li sogna; ha rinunciato ai campeggi perché presentano regolamenti troppo impegnativi; e non prova a bagnarsi in un fiume senza solide garanzie dell’azienda di soggiorno circa epatite virale e leptospirosi. Per spaziare in altri campi le statistiche denunciano che negli USA le ragazzine hanno le prime mestruazioni tra gli 8 (quelle di colore) e i 9 (le bianche) e immagino che vivano esperienze diverse da quelle delle nostre madri. Insegnare ad affrontare la realtà non equivale a dare la propria esperienza. O meglio, posso insegnare a mio figlio come usare un trapano elettrico, perché io l’ho imparato una quindicina di anni fa e questi attrezzi sono ancora utili. Ma non posso comunicargli l’esperienza sessuale che ho fatto alla sua età, perché allora non c’era l’AIDS, eravamo meno precoci, e il senso di trasgressività era più remunerante. La tecnica del trapano per fare buchi nel muro rientra nell’insegnamento, che può essere la forma apparente e superficiale dietro a cui si nasconde l’educazione. Se poi il figlio degenere trapana il cranio della zia che gli nega i soldi per la dose, devo riconoscere che se il buco è stato fatto a regola d’arte il mio insegnamento ha avuto successo, ma l’educazione fa difetto, con le conseguenze che io dovrò andare al funerale e il giovane in prigione.
Questo esempio,
brillante o ingenuo secondo i punti di vista, fa sorridere. Ma traduciamolo in
termini d’attualità: se un brillante perito chimico riempie la metropolitana di
sarin, provocando poche centinaia di morti, possiamo andare orgogliosi dell’efficacia
dell’insegnamento scolastico finanziato dalle nostre tasse (nell’analoga
occasione i giapponesi hanno fatto solo mezza dozzina di vittime), ma possiamo
chiederci se la nostra munificenza debba essere elargita a persone che poi ne
fanno uso personale e interessato (d’accordo che le tasse non sono munificenza
e che lo Stato non si interessa di educazione, pressato com’è dal coltivare i
voti controllati dall’industria, dal potere religioso e da quant’altro).
Difatti l’educazione consiste nel proporre un principio morale la cui caratteristica
saliente non risiede nell’essere imposto o rivelato, ma condiviso; perché
rappresenta il miglior modo di vivere in questo tempo, in quest’angolo d’Universo,
con l’energia di cui dispone mediamente l’attuale essere umano. Così non vedo
niente di male nella scienza (scimpanz-uomini, clonazione, inseminazione
artificiale, tecnica nucleare, o anche solo industriale), ma penso che ci possa
essere tutto il male del mondo nel suo maleducato (immorale) uso a fini di
denaro, di potere o di fanatismo. Se poi queste conoscenze ci portano “contro
natura”, mi sembra che a questo ci siamo dedicati fin dalla
Cacciata perché la prima volta un cavernicolo ha acceso una torcia per contemplare il partner (spoglio dalla foglia di fico) durante la quiete notturna, ha violentato l’ordine naturale, dati che la notte era stabilita per vedere al chiaro di luna solo nelle circostanze favorevoli. E da quel momento ci siamo dati da fare a modificare l’ordine naturale.
Cacciata perché la prima volta un cavernicolo ha acceso una torcia per contemplare il partner (spoglio dalla foglia di fico) durante la quiete notturna, ha violentato l’ordine naturale, dati che la notte era stabilita per vedere al chiaro di luna solo nelle circostanze favorevoli. E da quel momento ci siamo dati da fare a modificare l’ordine naturale.
I dotti tirano in ballo
l’etimologia del verbo “educare”; e secondo le circostanze citano il latino “condurre
fuori” o il greco “nutrire”; definizioni che, a uno che fatto il Classico,
insieme propongono un’enigmistica conciliazione degli opposti. Quella greca è
pratica, perché bisogna agire opportunamente “mettendo dentro” istruzione per
giungere a “tirare fuori” personalità, creatività e capacità (che aiutano ad
affrontare la realtà), come somministrando un cibo sano si contribuisce a
ottenere un corpo efficiente. Quella latina sintetizza lo scopo e si presta a
essere fraintesa da chi ha interesse a “tirare fuori” l’ego. Ma per dare
fiducia a questi dotti mi sono perso nell’etimologia delle radici, risalendo a
quelle indoeuropee, che si frammischiano a elementi precedenti, matriarcali e neandertaliani.
Quindi lascio perdere l’etimologia e chiedo di dare un significato attuale ai
nostri concetti, supponendo che siano necessari alla comunicazione.

Cesare Barioli
Marcello Bernardi
Tratto da: ‘Corpo Mente
Cuore, Manifesto per una nuova educazione’,
Luni Editrice
© Tora Kan Dōjō
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