domenica 28 aprile 2019

L'Incontro col Maestro


Tempio Soji-ji 

Giunsi davanti al grande portale che sovrastava l’ingresso nella cinta del tempio. 
All’interno si scorgevano dei grandi pini, dietro i quali si ergeva l’edificio principale, immenso e imponente, la cui sommità si tuffava nelle nuvole. 
La pulizia perfetta che vi regnava contrastava con le strade polverose e sporche nei dintorni. Mi tolsi le scarpe all’entrata e chiesi che mi indicassero la via. 
Numerosi monaci con lunghe vesti nere attendevano i visitatori dietro un banco. Timidamente, chiesi loro di poter incontrare il Maestro Sawaki. 
Un giovane monaco silenzioso mi guidò subito attraverso lunghi corridoi fino alla stanza del godo(1). L’atmosfera era serena. Eravamo a metà autunno, dei passeri cinguettavano nel giardino tra gialli crisantemi. 

Kodo Sawaki Roshi
Mi annunciai. Sawaki, che mi aspettava, mi invitò subito, con la sua voce profonda, a entrare. Aprii la parete scorrevole e lo trovai nella postura di Zazen, immobile, calmo e forte, come un drago pronto a balzare. Rimasi a fissarlo, colmo di stupore. 
Non si mosse. 
Imbarazzato, mi annunciai un’altra volta. 
Non fece un movimento, non mi gettò neppure un’occhiata, ma con la stessa voce piena e forte, mi disse: 
<Aspetta! Majima mi ha annunciato la tua visita. 
Ero impaziente di vederti>. 
Finalmente, qualche istante dopo, si volse e mi scrutò dal fondo dei suoi occhi socchiusi, vivi e luminosi. 
Non riuscii a dir nulla, ma lo divoravo anch’io con lo sguardo. 
Aveva la stessa età che ho ora io. L’avevo spesso incontrato a Saga, ma fu soltanto allora che sentii con profonda intensità la comunicazione che si era stabilita tra noi, somigliante a quella descritta da Dogen nello Shobogenzo(2). 

Lasciata la postura, incrociò fermamente le braccia. Era saldo come una montagna, ma da lui emanava una sorta di dolcezza universale. 
Mi chiese notizie del mio lavoro. <Non va come vorrei> gli risposi. 
<Non sei forse troppo orgoglioso?> Le sue parole mi toccarono fin nel profondo. 
Aveva ragione. <Sì, mi sento un po’ come il gallo di Saga!> 
<Ah! Ricordi anche tu quella storia!> disse, scoppiando a ridere. <Ma sai, ho l’impressione che i galli non siano i soli a saltarmi sulla testa>. 
Ebbi l’impressione che l’osservazione fosse rivolta a me e improvvisamente non ebbi più voglia di parlargli di ciò che mi assillava. Mi invitò a fargli visita liberamente, e io accettai con gioia. Poi mi informò che di domenica organizzava una seduta di Zazen, alla quale mi propose di partecipare. <Ma non dimenticare che avrai male alle gambe!> 
<Oh, lo so, ho già fatto zazen all’Enkaku-ji, quand’ero uno studente. 
Un giorno, alla fine di una Sesshin, esasperato dai junko(3) che mi colpivano più del necessario, mi girai verso uno di loro e, strappandogli il kyosaku, gli restituii dei colpi della stessa forza di quelli che mi aveva assestato lui>.  
<Ma che selvaggio!> disse sorpreso. <Un ragazzo terribile come te deve essere stato ben difficile da educare. Ma non preoccuparti, sono io che do il kyosaku, non infierirò su di te. Invece sono estremamente severo riguardo alla postura>. 
<Mi piacerebbe molto che mi mostrasse come bisogna sedersi.> 
Subito il Maestro parve non aver sentito la mia richiesta, ma poco dopo prese uno zafu(4) che posò davanti a me. <Siediti, ti mostrerò>. 
Taisen Deshimaru Roshi
Incominciai a pentirmi della mia richiesta. Avevo l’impressione di sostenere un esame.
Teso e nervoso, non avevo altra scelta che sedermi come mi avevano insegnato all’Enkaku-ji. 
Mi esaminò brevemente e poi osservò: 
<La tua postura è corretta e piena di energia, ma la posizione delle mani è erronea. Devi mettere la destra nella palma sinistra e congiungere i pollici. Devi anche oscillare il bacino in avanti, raddrizzando poi perfettamente la colonna vertebrale>. 
<Capisco!>  
<Non si tratta di capire. Dovrai sederti così innumerevoli volte prima di arrivare naturalmente a questa postura. Scusami, ora devo andare a dirigere lo zazen. 
Per ingannare l’attesa ti lascio questi cachi. Sarò di ritorno tra un’ora o due>. 
Me ne sbucciò uno lui stesso, poi si diresse verso uno scaffale, ne trasse alcuni libri dalle rilegature antiche ai quali aggiunse un quaderno di appunti piuttosto sporco. 
<Credo che tu ami la lettura, ti farà bene leggere questi testi, piuttosto che i tuoi insulsi classici>. 
Per l’appunto avevo appena letto nel Takiguchi Nyudo: 
"La letteratura più conosciuta è quasi sempre noiosa, e spesso una messi indiretti e oscuri per trasmettere un messaggio molto semplice". 
< Durante la mia assenza, cerca  dunque di dare una scorsa a Le Arti Marziali e lo Zen che ho scritto non so più quando, e poi alla storia del mendicante Tosui, un eccentrico che si è fatto monaco alla fine della sua vita. E se ti rimane del tempo, puoi dare un’occhiata anche ai miei appunti sul quaderno>. 
Prima che mi lasciasse, gli chiesi se non potevo partecipare alla seduta di zazen. 
Rifiutò con fermezza, con il pretesto che avrei avuto male alle gambe e che non serviva avere fretta, il che, ovviamente, accrebbe ancor di più la mia voglia di provare. 
Mi ritrovai solo, perfettamente a mio agio in quella stanza in cui erano conservati tanti libri antichi sul Buddhismo. Ero stupito che un uomo in apparenza così modesto avesse letto tanto. Cominciai a tagliare il cachi che mi aveva così gentilmente sbucciato.  
Ma era tanto amaro, tanto aspro che subito le mie papille gustative mi parvero come contratte dal tetano. Mi chiesi se il Maestro non avesse voluto beffarsi di me. 
Ma, ripensando alla sua gentilezza, tentai con il secondo cachi. Mi parve un po’ meno aspro, ma forse la mia lingua si era abituata. Ne scelsi accuratamente un terzo, che sembrava maturo. Era davvero delizioso! 
A forza di cercare avevo trovato! 
Il quarto cachi mi sembrò almeno altrettanto buono. 
Poi rivolsi l’attenzione ai libri che il Maestro mi aveva lasciato e  incominciai con il suo quaderno di appunti. L’occhio mi cadde su alcune osservazioni che mi colpirono per la loro profondità e che cito a memoria: 

1- Rifletti e analizza i tuoi bisogni spirituali. Volgi l’attenzione alle richieste fondamentali e supreme dell’uomo. 
2- Lo Zen è una nuova via. 
3- Lo Zen ci permette di adattarci al nostro ambiente, ma non di esserne sommersi. 
4- Non dobbiamo farci dominare dalla nostra storia né dalla società in cui viviamo. Non dobbiamo in nessun caso tenerne conto. 
5- Lo Zen ci permette di andare fino in fondo alla nostra solitudine. L’uomo solo deve potersi conoscere fin nel più profondo di se stesso. 
Lo Shodoka(5) spiega tutto questo così bene: 
"Procede solamente chi marcia da solo. L’uomo viaggia solo. Un uomo sano non ha bisogno di niente. Colui che raggiunge il proprio io autentico avanza a grandi passi. Si sente Uno con l’Universo".

Mi sentivo in perfetta sintonia con tutte queste affermazioni. 
Lessi ancora:  
"Che cosa può dare all’uomo la più grande felicità? Forse la scienza, la filosofia, la ricchezza o l’amore? Certamente, l’uomo può trovare la felicità in molti modi. Ma la vera felicità, soltanto la religione può donarla. Essa sola allevia i dolori e calma le angosce. Coloro che bramano gi onori non saranno mai soddisfatti, neppure se raggiungeranno i più alti incarichi. Al contrario, colui che accetta di retrocedere senza rimpianto troverà la gioia nel soffio del vento. 
Alcuni pensano che, quando si ama, la religione non è più necessaria, ma tutto muta, niente mai si ferma. Ogni traccia scompare e nessuno è eterno. 
Sono questi mutamenti che determinano la nostra solitudine. 
Il nostro mondo relativo è infinito". 

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Note al Lavoro:
(1) Godo: Questo termine indica una delle sezioni della sala di meditazione di un tempio Zen, poi, per estensione, il monaco responsabile di quella sezione, che è un incaricato della disciplina del monastero.
(2) Shobogenzo:  L’Occhio e il Tesoro della Vera Legge, opera fondamentale di Dogen e uno dei libri sacri del Buddhismo Zen in Giappone.
(3) Junko: Monaco incaricato di sorvegliare che i partecipanti allo zazen mantengano la dovuta concentrazione.
(4) Zafu: Cuscino duro, sul quale ci si siede per la pratica dello zazen, Buddha si fece fare un cuscino di erbe secche.
(5) Shodoka: Ossia Canto dell’immediato Satori, del Maestro Yoka Daishi (649-713) che fu discepolo di Houei-neng, il sesto patriarca.
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Taisen Deshimaru Roshi
Tratto da "Autobiografia di un Monaco Zen"
Traduzione di Guido Alberti,
Ed. SE 



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