mercoledì 12 dicembre 2018

Le quattro e mezzo

Per un attimo, mentre me ne stavo una mezz’ora al sole sulla nostra terrazzina di pietra, seduta sul bidone dei rifiuti, la testa appoggiata al mastello, con i raggi che cadevano sui rami forti, scuri e ancora senza foglie del castagno, ho sentito nettamente la differenza tra prima e adesso. 
Ora riesco a esprimere in breve ciò che ho provato, laddove stamattina avevo ancora bisogno di molte parole: quel sole sui rami scuri, gli uccelli cinguettanti e io sul bidone, al sole. 
Anche in passato restavo spesso a sedere così, ma non mi sono mai sentita come oggi, tranne qualche rara volta.
Prima osservavo un albero sotto al sole soltanto con la mente: volevo dire a me stessa il motivo per cui lo trovavo tanto bello, volevo trovare le parole e comprendere come l’insieme funzionasse; desideravo scandagliare con la mente quella profonda sensazione, quell’impulso primordiale, almeno credo. Volevo quindi assoggettare la natura, vale a dire il tutto; volevo contenerlo. 
E il bello invece è – ed è davvero semplice – che adesso sono io a sentirmi assoggettata al tutto. Mi aggiro di qua e di là, invasa da questa profonda sensazione, ma essa non mi prosciuga più l’anima: al contrario, mi dà forza.
Nelle mie vene scorre un sano flusso vitale, tanto che, mentre me ne stavo al sole, ho inconsapevolmente piegato la testa, come se potessi assimilare meglio quel nuovo senso di vitalità. 
D’un tratto ho compreso come una persona, il volto nascosto dietro le mani giunte, possa crollare violentemente sulle ginocchia e poi aver pace.

Etty Hillesum

Diario’1941-1943.
(Traduzione di Chiara Passanti, Tina Montone.
Adelphi, La collana dei casi ©2012)

© Tora Kan Dōjō






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