E' in uscita il 2 Dicembre 2022 per le edizioni Mediterranee in tutte le librerie e sulle piattaforme online, il libro: La Forma del Vuoto - Riflessioni su Zen e Arti Marziali che raccoglie una serie di scritti, pensieri e insegnamenti del Maestro Paolo Taigō Spongia trascritti da alcuni suoi volenterosi allievi.
Pubblichiamo la Prefazione scritta dal curatore della collana il prof. Bruno Ballardini.
La disciplina Zen non è mai una passeggiata. Tutt’altro. La pratica sincera assedia il tuo Ego senza lasciargli scampo. Se cerchi una stampella su cui appoggiarti ti viene tolta la possibilità di trovarla, se cerchi una comfort zone in cui ripararti ti viene tolta anche quella. E arriva prima o poi il momento in cui ci si accorge di essere soli a dover affrontare gli insormontabili ostacoli della pratica, nonostante la presenza di un Maestro. C’è chi non capisce questo e si rifugia nel formalismo e chi per carattere arriva prima degli altri ad accettare questa sfida, in cui è in gioco la propria vita, senza reti. Quando penso a Paolo Spongia, mi viene in mente Ikkyū Sōjun (休宗純, 1394-1481), Maestro Zen della scuola Rinzai, calligrafo, pittore e poeta. Un uomo che non sopportava il formalismo dello Zen e rifiutò perfino il certificato di Illuminazione (Inka shōmei) dal suo Maestro, preferendo una vita da vagabondo, e solo verso la fine accettò il ruolo di abate, sia pure con molta riluttanza. Essere sinceri con sé stessi è un prerequisito indispensabile per la Retta Visione, la prima e più importante porta dell’Ottuplice Sentiero. Lo è anche per le porte successive che devono essere aperte e attraversate una per una con rettitudine, cioè sinceramente. Possiamo anche disciplinarci a dire e a dirci sempre la verità in tutte le occasioni ma se questa “autodisciplina” è guidata dal nostro Ego perfino le nostre verità diventano false. E lì non c’è Maestro che tenga. In un commento alla sua opera, Mumōn scriveva: “Ananda era il discepolo del Buddha, ma la sua comprensione non era superiore a quella di un devoto non-buddhista. Vorrei chiedervi, che differenza c’è tra il discepolo del Buddha e un filosofo non-buddhista?”. Nessuna. Si diventa allievi solo quando si è in grado di riconoscere la presenza di un Maestro. Quando cioè si riconosce che qualcosa o qualcuno può insegnarci qualcosa. Si ha la Retta Visione quando si è in grado di comprendere che il mondo intero è nostro Maestro. Paolo Taigō Kōnin Spongia ha avuto i Maestri più duri, primo fra tutti Fausto Taiten Guareschi, e ha impiegato ben 18 anni di disciplina prima di intraprendere, molti anni fa, un nuovo percorso personale in cui combattere in prima persona il formalismo (non la forma, che invece è essenziale nella pratica), errore in cui spesso in Occidente si rischia di cadere rendendo non sincera la pratica e di conseguenza anche l’insegnamento. Perché Paolo è una delle poche persone che conosca capaci di anteporre la sincerità a ogni altra cosa come principio fondante di ogni azione. In questo, ha trovato una solida sponda nel karate, di cui pure è Maestro, perché soltanto questa disciplina dà un infallibile riscontro (infallibile perché fisico, istantaneamente tangibile) nel proprio modo di combattere il nemico interno ed esterno. La maturità dell’insegnamento di questo Maestro italiano traspare tutta in questi scritti raccolti dai suoi allievi sul tatami e fuori dal tatami. Come scriveva Zangetsu (832-912): “Le virtù non cadono dal cielo come le gocce di pioggia o i fiocchi di neve, sono i frutti della vostra disciplina. La modestia è la base di tutte le virtù. Senza essere voi a rivelarvi, fate in modo che siano gli altri a conoscervi per questo”.
E io conosco Paolo Taigō Kōnin Spongia.
BRUNO BALLARDINI
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