sabato 17 aprile 2021

Vivere nel mondo dei Fini, la saggia follia di Francesco.



"Bisogna vivere nel mondo dei fini!"
per molto tempo non sono riuscito a comprendere questa esortazione del mio Primo Maestro.

Poi, dopo molti anni, un giorno rialzandomi dallo Zazen ho compreso:

Bisogna vivere una vita in cui ogni cosa che incontriamo è un fine ultimo e non un mezzo.

Una vita in cui non ci sia nulla che sia un mezzo per raggiungere altro ma ogni gesto, ogni incontro, sia consacrato in un momento assoluto svincolato da ogni calcolo e dai limiti dello spazio e del tempo.

Francesco ha incarnato, senza alcun dubbio questa vita risvegliata...

Taigō Sensei


(...) Francesco e frate Egidio si trovano (si tratta forse della primissima missione di Francesco) tra la gente della "Marca di Ancona", e se ne vanno, davvero come due pazzi, con atteggiamento di esuberante allegria: «pareva avessero scoperto un tesoro nel podere evangelico della signora Povertà». Come al solito, Francesco a voce alta e chiara cantava in francese le lodi del Signore ». La gente reagisce in modo diverso: alcuni li consideravano dei pazzi e dei fissati», altri dicevano che per essere così allegri con la « vita disperata che fanno » « non mangiare quasi niente, camminano a piedi nudi, hanno dei vestiti miserabili » devono essere « uniti a Dio in modo straordinariamente perfetto ».

Il sentimento dominante, dinanzi a « quel modo vivere così austero eppure lieto » era quello della « trepidazione », cioè della perplessità ansiosa. « Nessuno però osava seguirli ». Ed ecco un suggestivo tocco finale: « Le ragazze, al solo vederli da lontano scappavano spaventate nella paura di restare affascinate dalla loro follia ».

C'era dunque un fascino in quella follia, e il modo migliore per difendersene era la fuga. Chiara non fuggirà e ne rimarrà prigioniera. C'e infatti una follia che deriva da una deficienza di controllo razionale sugli impulsi psichici e anch'essa fa paura, ma perché ci presenta un'immagine di umanità in cui è assente quel lume di ragione che è il tratto specifico della nostra dignità, di una umanità subumana, insomma. 

Ma c'è una follia che si accende al di sopra del livello di razionalità che ci dà sicurezza, in quel punto alto dello spirito nel quale potrebbe avverarsi - e in alcuni si avvera - il possesso immediato delle ragioni ultime del vivere, insomma l'unica felicità degna dell'uomo.

Allora muore il buon senso e muore anche quella forma superiore del buon senso che è la prudenza, la virtù che insegna a disporre in modo giusto i mezzi giusti per raggiungere il fine. Ma se uno il fine lo raggiunge per contatto immediato, spogliandosi di tutto, anche dei mezzi suggeriti dalla prudenza? In rapporto ai criteri normali di saggezza egli è un folle, ma in rapporto al fine in cui la vita trova senso egli è sommamente sapiente. In questo caso l'esistenza soffre, per eccesso di intensità, la scomposizione delle sue forme consuete ed è portata a farsi gioco, perfino ai livelli del vivere quotidiano, delle norme del buon senso. Allora noi constatiamo una stranezza, mentre di fatto siamo venuti a contatto con una prospettiva di vita che obbedisce alle istanze fondamentali dell'esistenza. E' propria di questa sapienza la certezza che la vera ragione delle cose è altrove e che i mezzi per conoscerla sono irrilevanti, dato che essa, una volta che incontri la dovuta trasparenza, si fa conoscere da sé per contatto immediato. E in questa irrilevanza della logica dei mezzi che trova nuovo senso quella fortuita combinazione delle cose che noi chiamiamo 'caso'.

Che fecero gli apostoli quando affidarono alla sorte la scelta del nome da sostituire a quello di Giuda?

Estrassero un nome a sorte, fecero ricorso a quel metodo che nel Medioevo veniva detto sortes apostolorum. Secondo il primo biografo di Francesco (2 Cel, 15) egli insieme al suo primo compagno Bernardo cercò da Dio l'indicazione su quale doveva essere la loro via aprendo tre volte a caso il libro della Scrittura e la risposta ci fu, chiara e univoca. Aveva imparato nella sua bottega un modo ben diverso di far uso del proprio raziocinio, un modo dove niente era lasciato al caso, tutto era soggetto alla regola del calcolo più minuzioso. Rientrava nella sua follia anche la forma di povertà che consiste nella rinuncia ai comportamenti assennati, che fanno velo all'imprevedibile e, al di là dell'imprevedibile, allo stesso 'gioco' di Dio e può trasformare in un mezzo efficace anche l'assenza di ogni preoccupazione di tipo prudenziale, come in questo divertente episodio (Fior, 11)

Un giorno Francesco si trova «a un trivio di via per lo quale si potea andare a Firenze, a Siena e Arezzo ». È con lui frate Masseo, il suo incantevole Sancio Panza:

« Padre, per quale via dobbiamo noi andare?». Risponde santo Francesco: «Per quella che Iddio vorrà ». Disse frate Masseo: «E come potremo noi sapere la volontà di Dio?».

Francesco gli ordina di volteggiare su se stesso « come fanno i fanciulli » finché d'improvviso non gli dica di fermarsi. Così fa il buon frate che cade più volte per le vertigini. Ad un ordine di Francesco, si ferma:

« Inverso che parte tieni la faccia? ». Risponde frate Masseo: « Inverso Siena », Disse santo Francesco: « Quel la è la via per la quale Dio vuole che noi andiamo ».

Giunti a Siena il popolo li trasporta in trionfo fino all'Arcivescovado dove il vescovo li accoglie con grande onore. Ma la città si trova in una guerra intestina che ha già prodotto due morti. La predicazione di Francesco riporta la pace. La mattina per tempo, senza nemmeno farsi vivo col vescovo, egli dà ordine di ripartire. Masseo rimugina in sé le stranezze del padre:

"Che è quello che ha fatto questo buono uomo? Me fece aggirare come un fanciullo e al vescovo che gli ha fatto tanto onore, non ha detto pure una buona parola né ringraziatolo."

Francesco intuisce la segreta mormorazione di Masseo e lo rimprovera con scherzosa severità (« se degno dello 'nferno »): se non fossero andati a Siena, chi avrebbe riportato la pace nella città? Dunque la volontà di Dio si era manifestata attraverso l'espediente del gioco da bambini.

Anche il modo più infantile di ricorrere al caso può essere un gioioso appuntamento con la grazia (la grazia non è spesso l'altra faccia del caso?), può essere le côté humain assottigliato fino all'inesistenza, a cui risponde dall'altra parte le côté divin; può essere una volontaria ironia sulla curiosità umana nella ricerca delle vie giuste per un fine giusto, una pars destruens che prepara la pars construens dello Spirito, i cui movimenti sono per definizione imprevedibili. Alleggerendo la prudenza umana di quel peso interno che è la presuntuosa ricerca dei mezzi, sembra, sì, che si entri nella stoltezza, ma in realtà si toglie ogni diaframma - è questione di fede - ad un impulso di altra origine capace di tessere per conto proprio trame d'amore. In questo caso, la pace della città di Siena.

tratto da 'Francesco d'Assisi'
di Ernesto Balducci


© Tora Kan Dōjō





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