martedì 23 marzo 2021

Il mondo su un tessuto

"O mantello prezioso che liberi ogni essere ed ogni cosa
Giardino fatto di ciò che il mondo getta, diventato giardino di felicità infinita
Possa il mio cuore stringere a se  tutti gli insegnamenti dei mondi
Possa la mia esistenza  proteggere e aiutare tutti gli esseri"

È cantando questi versi che il praticante Zen inizia la sua giornata.
Secondo la tradizione, su una strada dalle alture delle colline, il Buddha fu colto a contemplare questi specchi d'acqua e riso disegnati dalle terre sollevate in rettangoli rassemblati, nei quali si riflettono  il cielo, le nuvole, gli uccelli e i colori del mondo, e nel cuore dei  quali gli uomini vanno e vengono nel lavoro del giorno. Quindi chiese al suo  discepolo Ananda di rilevare il disegno  di queste risaie. Raccolse allora  un gran numero di tessuti usati e abbandonati. Li fece bollire in una miscela di pigmenti  prima di assemblarli secondo il disegno. Così fu confezionato  il "vestito della liberazione", il kesa.
Da allora, è stato trasmesso ininterrottamente da maestro a discepolo, e la sua pratica va ben oltre il semplice fatto di realizzare un indumento religioso. Il Maestro Dogen (13 ° secolo) ha scritto: "In questo momento dell'alba, la gioia mi ha inondato. Ero vicino a questo monaco che venerava  il manto dell’illuminato. Le lacrime mi hanno inondato, ho capito il Tutto".  Cogliere  il Tutto, vestirci non solo dell'insegnamento del Buddha e dei maestri, ma vestirci  del Tutto, rivestire la nostra pelle, la nostra storia.
Cucire  è una pratica lunga e profonda:  la scelta del tessuto giusto, il taglio, la tintura naturale, la preparazione e l'assemblaggio e, punto dopo punto, la realizzazione stessa della nostra Ricerca. La cucitura è fatta da un  punto minuscolo in cui l'ago deve tornare su se stesso per poter avanzare sulla linea di cucitura, migliaia di punti esprimendo  il desiderio, ogni volta che l'ago perfora il tessuto, di diventare rifugio per tutti gli esseri e  di aiutare questo mondo. E il campo di riso del mondo appare nelle nostre mani. Agire senza uno scopo, realizzare la nostra presenza consacrata in ogni momento del mondo. Punto dopo punto, coltiviamo senza attese. Soltanto vivere  e relazionarsi  a ciò che viene  vissuto. Completamente.


RIUNIRE LE DIFFERENZE.  
Questo tessuto ci eleva dalle nostre illusioni, ci chiama ad comportarci degnamente  in questo mondo, come un grembiule (nella sua forma a cinque strisce) che ci chiama al servizio. Per renderci servitori  del bene in questo mondo. Inizialmente, scegliere tessuti impuri  era solo una questione di mezzi. Cucire tessuti recuperati, ritagliati, tinti e rimontati è un insegnamento. Fare di ciò che  questo mondo rifiuta l'oggetto stesso della nostra devozione. Amare ciò che agli uomini non piace più. Ridare vita  là dove muore l'esistenza. E non rifiutare più nulla. Quando osservi la forma finita di un kesa, ci vedi davvero una risaia; strisce e pezzi di tessuto di diverse dimensioni assemblati secondo i principi del modello originale. Stracci armoniosi. Riunire  le differenze.
La pratica dello Zen è fondamentalmente la compassione di ogni minimo istante  della nostra vita quotidiana. Le nostre vite sono le vere risaie del mondo in cui la semina è pace, benevolenza, giustizia, amore e libertà, e i raccolti ne sono i frutti. Il praticante buddista Zen si impegna a superare tutte le forme di discriminazione e a costruire in questo mondo l'armonia  riconciliando tutte le differenze e riunendo, con filo dell' Amore sulla stoffa dell'esistenza, tutto ciò che era sparso, diviso, separato e diverso.
Realizziamo l’abito della pratica  nei cosiddetti colori "misti" o "rotti": il colore del kesa è un colore fatto di miscele e  di incontri. All'inizio, questi sono i colori della terra, della notte e delle ceneri. Poi  con gli anni e soprattutto quando iniziamo a insegnare, il  kesa indossato è sempre più chiaro. I kesa delle cerimonie sono  estremamente colorati, ricamati, decorati ed esprimono la gioia di celebrare la vita, la gioia di essere vivi. Il colore scuro ci chiama a tornare alla caverna, al silenzio, all’ annullamento, in una parola per portare la luce dentro di noi e coltivarla nel segreto della pratica umile. Quindi, quando un praticante diventa insegnante e riceve la trasmissione di maestro, i colori sempre più chiari lo chiamano a rigirare la luce verso l’esterno, verso il  mondo e trasmetterla. Dobbiamo attraversare le nostre grotte, le nostre notti e le nostre facce oscure, per amarle allo stesso tempo in cui amiamo la chiarezza e i nostri visi di bontà. Poi andarcene verso  il mondo e amare ombre e luci in ogni essere.

IL FILO DELLA BENEVOLENZA. Portato sulla spalla destra e passato sotto la spalla sinistra per liberare il secondo braccio, il kesa ci ricorda anche che nulla ci appartiene,  neanche il sacro. La spalla e il braccio coperti dal kesa ci dicono quanto riceviamo e quanto siamo protetti e amati; la spalla e il braccio lasciati scoperti dalla kesa ci chiamano a donare, a proteggere e amare questo mondo. Come il palmo verso il cielo e il palmo verso la terra nella danza Sufi.
Attraverso la pratica del kesa, il fedele  diventa lui stesso religione: è colui che collega, che raccoglie, che trasmette e che armonizza, colui che libera e protegge in questo mondo. Il kesa è un tutt’uno con la nostra fede e la nostra vita - con la fede (qualunque essa sia) e la vita di tutti gli esseri. Cucendo al filo della nostra benevolenza, sugli stracci sparsi di ciò che sembra separarci, mettendo insieme ciò che è stato rigettato, alla luce dell'esistenza, sul modello della realtà, armonizzando tutte le differenze del mondo e proteggendo tutti gli  esseri, noi diventiamo questo campo di felicità illimitata, dov’è seminata la compassione e si raccoglie la felicità.
Il mondo intero ci ricopre e ci riveste. E siamo noi stessi che diventiamo l'abito del mondo.

tratto da “Le monde des religions” (Nel mondo delle religioni) n ° 99.

(Traduzione a cura di Clara Tendō Candido)


© Tora Kan Dōjō










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