Voglio iniziare l'anno con una breve riflessione che mi piacerebbe condividere con voi, come se foste se non ancora degli amici almeno dei compagni d'arme.
Fino ad adesso il karate mi è servito
nelle situazioni di conflitto. Quando occorreva reagire a un attacco, anche
semplicemente psicologico. Mi è servito in termini strategici non fisici,
beninteso. La vita è una guerra: si vis pacem para bellum. È la stessa ottica
dei samurai. Ma credo che si faccia un lavoro inutile se si arriva a concepire
tutta la vita in questo modo.
Intendo dire che dopo aver sperimentato
per anni quella condizione di perenne allerta che si usa per allenarsi anche
fuori del tatami (la stessa per cui i maestri sono sempre pronti a parare un
attacco improvviso perché non fanno che pensare a quello giorno e notte e
quindi quando arriva se l'aspettano), penso che la mia gatta sia più avanti di
loro.
E' una perfetta macchina da guerra. Ma
solo se serve. Cioè non passa il suo tempo a "prepararsi ad un
attacco". È perfettamente rilassata e non ci pensa proprio. Ma se arriva
il momento, scatta in un nano-secondo e reagisce con assoluta efficienza ed
efficacia. Questo è il più alto livello di maestria che io abbia mai visto.
Mi sento un idiota di fronte a lei. Dopo
aver frequentato Hiroshi Shirai, Taiji Kase, e successivamente Kenji Tokitsu,
dopo essere stato onorato dell'amicizia di Iwao Yoshioka, di Katsutoshi
Mikuriya, e altri maestri, ho fatto mio un metodo di allenamento continuo che
consiste nel pensare costantemente alle direzioni da cui può provenire un attacco,
osservando la posizione delle persone vicine in autobus, di chi incrocio
camminando per strada, perfino degli amici mentre parlo con loro. Visualizzo in
un attimo che tipo di attacco potrebbero portare con le braccia o con le gambe.
E coltivo la consapevolezza della mia posizione, delle possibili contro
reazioni e delle vie d'uscita. Ma non si può andare avanti così. Anche quando
sono diventato un insegnante maturo e questo esercizio è sfumato in sottofondo
mi sono reso conto che in realtà questo lavorio mentale, sia pure in
background, continua sempre. Inconsapevolmente.
Poi, un giorno, in una pausa delle mie
scritture, l'occhio mi è caduto sulla mia gatta. Ho visto come se ne sta tutto
il giorno rilassata e senza alcuna forma di pensiero. Altro che zazen... E
guardandola ho avuto un'illuminazione. Devo proprio aver fatto un'espressione
buffa perché lei ha drizzato le orecchie e mi ha guardato in modo
interrogativo. Poi mi ha strizzato gli occhi (lo fanno con tutti e due gli
occhi a differenza di noi umani che siamo scarsi anche nei sentimenti) con
affetto infinito anche senza bisogno di capire cosa mi passasse per la testa.
In quel momento ho capito che non si può
concepire tutta la vita come una guerra, come un eterno confronto. Io non ho
nulla da dimostrare, non mi interessa confrontarmi con nessuno in termini
agonistici. Dico, nella vita comune. Tantomeno nel karate: so tirare di pugno
ma mi auguro di non doverlo usare mai. Perché non c'è nulla di più orribile
della guerra, del sangue. Di due persone che litigano inutilmente, come accade
la maggior parte delle volte. E lo dico da guerriero non da pacifista. Io non
sono mai stato un pacifista. Perfino la mia Lulù è una "pacifista con le
unghie". Intendo dire che la vita è una cosa troppo breve e delicata per
pensare solo al contrasto, allo scontro. Se è necessario ci si pensa. Ma solo
in quel momento.
Per questo forse da quest'anno diminuirò
drasticamente il mio karate e mi dedicherò con più attenzione agli esercizi per
stare bene. Uno dei miei due maestri di Qi Gong, tanti anni fa, mi ha detto:
"Ma che cos'è quell'espressione ingrugnata? Sorridi! Ti fa bene!". Io
che venivo dalle arti marziali giapponesi mimavo senza rendermene conto il
cipiglio da samurai che hanno tutti i maestri con cui sono stato. Poi ho
incontrato Higa, che sorrideva e mi sembrava assurdo per uno che fa karate. Poi
ho incontrato i maestri cinesi che attribuiscono al sorriso addirittura
l'importanza di una medicina preventiva. E infine ho osservato Lulù ed ho
scoperto che anche lei sorride, sia pure sotto i baffi.
Allora non c'è tempo da perdere. 34 anni
di arte marziale a cosa sono serviti? A prepararsi a cosa? Ad uno scontro che
non avverrà mai? E perché dovrebbe esserci uno scontro? E poi se avverrà siamo
sicuri che tutto l'allenamento che abbiamo fatto servirà a qualcosa in quella
specifica ed imprevista occasione? E poi, è veramente utile saper tirare di
pugno? Non si guadagna di più a non pensare a nulla, a meditare, anzi a
contemplare la vita come fa la mia gatta?
I padri fondatori delle nostre
discipline, alla fine di una vita riconoscevano che il valore più grande è
cercare (o creare) l'armonia nelle cose e fra le persone. Ho passato una vita a
studiare il nemico per sconfiggerlo. C'era sempre qualcosa o qualcuno da
scovare e combattere. Poi improvvisamente ho scoperto che fuori di me non c'era
nessun nemico. Non c'è nessuno che possa farmi del male a meno che io non lo
consenta (o crei le condizioni per cui possa farlo). Quindi se c'è ancora un
nemico da qualche parte, sta dentro di me.
Ma sbirciando la mia gatta, capisco che
in fondo anche questa è un'idea sbagliata. La mia gatta non ha nessun IO
interno da combattere. E' in una condizione naturale e perfetta di vuoto
mentale, Mu. E grazie a questa attitudine è pronta ad accogliere qualunque
cosa, sia bella che brutta. Risparmia le energie. Si allena lo stretto
indispensabile (molto poco, devo dire). Prima di tutto, pensa a star bene, a
non pensare a niente inutilmente, a restare aperta a nuove esperienze e
scoperte.
Ho iniziato l'anno facendo un inchino
alla mia gatta, come si usa fare al cospetto di un Maestro. E ho deciso che da
quest'anno non terrò più il mio pugno chiuso, a simulare un pieno che non c'è.
La mia mano è vuota. Tanto vale aprirla.
Bruno Ballardini
Articolo pubblicato sul numero 47 del giornalino del Tora Kan Dojo - primavera 2010
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Ho adottato una gattina di un anno a Dicembre, presa da un gattile dove era ricoverata dopo essere stata abbandonata. Inutile dire che guardandola ho imparato molto, mi ha "terapizzato" non avendo in precedenza un buon rapporto con i gatti in genere. Anche la mia pratica ha subito un drastico cambiamento, in meglio. Soprattutto, guardando dentro di me, ho provato le stesse sue sensazioni. E mi sono posto lo stesso obiettivo, ovvero una vita semplice e un corpo sano, sorretti da una mente forte e tranquilla
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