Così aveva scritto, nella sua ultima
mail. E così l'ho trovato, quando sono andata a salutarlo per l'ultima volta
nella sua casa di Thompson, nel Connecticut, pochi giorni prima che morisse: il
fantasma di se stesso, ma incredibilmente vitale; il corpo fisico ridotto al
minimo, quasi mummificato, tutto testa, pura volontà pensante. Restare pensante
era la sua scommessa, la sua sfida. Per questo aveva ridotto al minimo la
morfina, a prezzo di un'atroce sofferenza sopportata con quella che gli antichi
stoici chiamavano apatheia: un apparente distacco dalla paura e dal dolore che
traduceva in realtà un calarsi più profondo in quelle emozioni. L'unica cosa
che contava era analizzare istante dopo istante se stesso e quindi la morte
come atto oltre che nella sua essenza. Se Steve Jobs, morendo, ha lasciato
detto «stay hungry, stay foolish», l'ultimo insegnamento di James Hillman può
riassumersi così: «Resta pensante» fino all'ultima soglia dell'essere
Il tempo qui sembra fermo, le lancette puntate sull'essenza ultima.
«Oh, sì. Morire è
l'essenza della vita».Il tempo qui sembra fermo, le lancette puntate sull'essenza ultima.
Com'è morire?
«Uno svuotamento. Si comincia svuotandosi. Ma, si potrebbe chiedere, che cos'è
o dov'è il vuoto? Il vuoto è nella perdita. E che cosa si perde? Io non ho
“perso” nel senso comune di “perdere”. Non c'è perdita in quel senso. C'è la
fine dell'ambizione. La fine di ciò che si chiede a se stessi. E' molto
importante. Non si chiede più niente a se stessi. Si comincia a svuotarsi degli
obblighi e dei vincoli, delle necessità che si pensavano importanti. E quando
queste cose cominciano a sparire, resta un'enorme quantità di tempo. E poi
scivola via anche il tempo. E si vive senza tempo. Che ore sono? Le nove e
mezza. Di mattina o di sera? Non lo so».
E' una condizione perseguita dai mistici.
«Oh sì, dall'induismo per esempio, gli induisti ne scrivono. Ma in questo caso
è tutto unwillkürlich, involontario. E' accidentale».
Comunque non credo non ti sia rimasta nessuna ambizione.«Davvero?» [Apre di
scatto gli occhi finora socchiusi, con un lampo azzurro di sfida.]
Ti resta quella degli antichi romani: lasciare il tuo pensiero ai posteri.
«E' vero. E' molto importante per me che il mio pensiero rimanga. Ma la parola
posteri mi rimanda a postea, a un dopo, a un futuro, in cui non voglio essere
trasportato adesso».
Perché esisti solo al presente.
«Sì, e voglio tenere chiusa la porta con il cartellino “Exitus”. La potrò
aprire a un certo punto, quando capirò come farlo nel modo giusto. [Tenta di
scuotere il capo, ma il dolore lo ferma]. Non saprei ora come aprire quella
porta senza che ne dilaghi una folla di creaturine che vogliono qualcosa. Molti
degli antichi filosofi ne sono stati catturati, probabilmente tu sai chi lo è
stato più degli altri. Io non voglio. Il mio compito è dialogare e tenere il
dialogo aperto su quel che accade momento per momento. Il mio è piuttosto un
reportage. Dal vivo. Dal vero»
Non potrebbe essere altrimenti: o non fai il reportage - come la maggior parte
di chi si trova nella tua condizione - oppure ciò che riferisci è la verità. E
penso che tutti siano affamati di questa verità.
«Tutti sono affamati di morte. La nostra cultura lo è. Io, qui, come vedi, ne
parlo continuamente. Ma non la esprimo. Perché nella morte io sono impegnato.
Non voglio uscirne, per esprimerla, per vederla o guardarla in trasparenza. Non
cerco di formularla. Ogni tanto si realizza qualcosa che mi porta in un altro
luogo dal quale posso osservarla. Magari anche di riflesso. Ogni sorta di cose
si riflettono in questa introspezione, ma non l'attività essenziale di ciò in
cui sono impegnato [ossia l'atto del morire]. Il tempo che mi dò è il qui e
ora».
Capisco
E il dialogo aiuta a trovarle?
«Sì, e mi rende così felice. Sai, da qualche tempo le persone vengono da me
come se avvertissero in me il richiamo di quel vuoto di cui parlavo. Se io non
fossi così vuoto, non verrebbero».
Come un risucchio che attira.
«Dev'essere così».
O una condizione di saggezza?
«No. Una calamita. Cercano qualcosa cui attaccarsi. Vogliono qualcosa, ed è la
mia capacità di cristallizzare e formulare. Due parole che sono usate per una
delle ultime fasi dell'alchimia. Cristallizzazione e formulazione. Le persone
sono in pessima forma di questi tempi, il mondo è in pessima forma. E in
qualche modo il mio avere trovato qualche solidità li attrae.
Ma non parlavi di vuoto?
«Sì. Il mio stato di svuotamento esprime qualcosa che non avevo finora
realizzato e che può riassumersi nella parola coagulatio. Due princìpi
governano tutti i processi alchemici: la coagulatio e la dissolutio. Coagulatio
in alchimia significa rapprendersi in un punto, diventare più solidi, più
definiti, formati, dotati di morphe. Ora l'intero processo che sto
attraversando è la coagulazione della mia vita nel tempo. Ma la coagulatio è
sempre seguita dalla dissolutio. Che è esattamente il contrario: dissoluzione,
le cose che si separano, si sciolgono, perdono la loro capacità di definirsi.
La cosa interessante è che improvvisamente questo spiega i miei sintomi. Non
faccio che pensare, morbosamente, che sto affondando sempre di più, che mi sto
dissolvendo. Ma le due cose, dissoluzione e coagulazione, sono inscindibili. Non
è fantastico? Non ci avevo riflettuto finché non mi è venuta per la prima volta
in mente la coagulatio. E la rubefactio, che permette alla bellezza di
mostrarsi. Così ora sono una persona diversa. Non avevo mai percepito queste
cose dentro di me. O non le avevo mai riconosciute. Prima, non avevo mai saputo
chi ero».
Da dove viene questa consapevolezza?
«Oh, decisamente dal morire».
Ti dici «impegnato nel morire». Vuoi arrivare alla morte in piena
consapevolezza. Ma, come diceva Epicuro cercando di spiegare perché non bisogna
averne paura, «se ci sei tu non c'è la morte, e se c'è la morte non ci sei
tu». «Esatto».
Mi sto domandando se allora questo tuo morire non sia un'intensificazione del
vivere. «Assolutamente sì, non c'è il minimo dubbio. Quando la morte è
così vicina la vita cresce, si esalta. Ne sono certo. Ma non vorrei essere
presuntuoso».
In che senso?«Orgoglio, arroganza, hybris: attenzione a non peccare contro gli
dèi. Mai, in nessuna occasione».
Certo, ma non credo che la tua sia hybris. Credo sia puro coraggio affrontare
la morte a occhi aperti. E' raro, ed è per questo che il tuo reportage è così
prezioso.«E' prezioso, sì. Mi sto rendendo conto di qualcosa che non avevo mai
realizzato prima. Ha a che fare con un certo argomento di cui Margot ed io
dovremo parlare prima, una certa decisione che io potrei prendere. Sai, nel
mondo di oggi mi è consentito, come lo sarebbe stato nel mondo greco».
Capisco a cosa alludi.
«Ma il punto è che dovrei mettermi nelle loro mani, e sarebbero loro a
decidere. In qualche modo io sarei il loro strumento, non loro il mio.
Intendiamoci, lo spero. Ma sarebbero loro a informarmi quand'è il mio momento.
Oppure potrei prenderlo nelle mie mani, che sono lo strumento classico: la mano
[Hillman fa il gesto di trafiggersi il petto], o la vasca da bagno, come
Petronio. Ma il fatto è che l'intera cerimonia - perché la definirei così - non
è ancora lontanamente immaginabile. O meglio, l'idea è immaginabile, dato che
ne sto parlando ora. Ma c'è un'altra idea, sempre antica, che in qualche modo
contrasta. Primum nil nocere. Primo, non fare del male. [Si tratta del
giuramento di Ippocrate.]
E allora, qual è la decisione migliore? che ne pensi?
Gli antichi stoici dicevano, a proposito del suicidio: “C'è del fumo in casa?
Se non è troppo resto, se è troppo esco. Bisogna ricordarsi che la porta è
sempre aperta”. Evidentemente, la tua casa non è ancora piena di fumo. Quando
lo sarà, lo sentirai.
«Riuscirò a sentirlo?»
Forse ti sentirai confuso. Quello che so è che ora stai respirando, non c'è
fumo nel tuo cervello, nella tua psiche, nella tua anima. Quando ci sarà, forse
prenderai in considerazione il suggerimento degli stoici. Non sei forse un
pagano? non hai allenato per tutta la vita il tuo istinto a percepire le
epifanie degli dèi?
«Oh sì che sono un pagano. E' questo il punto».
E' pagana anche la tua percezione della bellezza, del grande teatro verde della
natura che hai scelto per questa tua ars moriendi, questa tua arte pagana del
morire che è anche, o anzi è soprattutto un'arte estrema del vivere.«Non mi
piace definirla un'ars moriendi. E' piuttosto un'arte dello stare in prossimità
dell'essere, tenersi più stretti possibili a ciò che è».
James Hillman
(fonte Tuttolibri, in edicola sabato 29 ottobre)
#karatedo #okinawagoju #artimarziali #torakandojo #torakan #taigospongia #iogkf #moriohigaonna #karateantico #karatetradizionale #zen #zazen #zensoto #karate #artimarziali #budo #kenzenichinyo #bushido #asdtorakan #taigosensei #hillman
Nessun commento:
Posta un commento