
Tutti i giorni, il
monaco cuoco prendeva la sua canna di bambù sull'estremità della quale erano
appesi due secchi, uno all'estremità destra e l’altro a sinistra, e partiva
fino al fiume per cercare dell’acqua.
Camminava per tre ore,
raccoglieva l’acqua per il monastero e camminava di nuovo altre tre ore per
tornare. Uno dei suoi secchi grandi era molto vecchio.
Era vecchio, fessurato,
bucato, il suo legno era stato usurato dal tempo.
Il secondo secchio invece era
tutto nuovo.
Un pomeriggio, mentre
il monaco si riposava sotto la tettoia del tempio, sentì il vecchio secchio
lamentarsi: “sono vecchio, fragile, fessurato, non servo a niente, o quantomeno
servo a poco.
Tu, disse rivolgendosi
al secchio più giovane, quando rientriamo al monastero, sei pieno d’acqua fino
all’orlo. Io invece, con le mie fessure, le mie perdite, i miei buchi, arrivo
appena a metà.
Non sono altro che
dispiacere per i monaci, presto si sbarazzeranno di me.”
All’ascolto di queste
parole, il monaco fu preso dalla compassione.
Prese allora il vecchio
secchio e si incamminò verso il fiume con lui.
Camminando gli disse:
“Guarda il lato opposto del sentiero, quello che prendiamo al ritorno dal
fiume, quello che al ritorno dal fiume è dal tuo lato, quello sul quale tu
perdi più della metà della tua acqua per la tua fragilità. Osserva bene: quello, è
il lato del cammino che è fiorito.”
E il secchio si mise
allora ad amare le sue fragilità e a esserne felice.
Non immagini a che punto
le tue fragilità possano essere piene di luce, piene di fiorescenze. Non
cercare nessuna verità. Diventa giusto ciò che sei.
Queste crepe in noi
Dobbiamo amare queste crepe in noi, queste stesse crepe che ci fanno credere
che la crepa è nell’altro. L’albero che cade nella foresta, fa rumore se
nessuno lo sente?
Estratto dal libro ‘Bere
la luna e cavalcare le nuvole’
Commento di Taigō
Sensei:

Osservando gli altri
questi giorni diventano lo specchio che riflette e svela le nostre debolezze,
le nostre paure, la nostra stessa limitatezza umana.
Quando sediamo in Zazen
impariamo ad osservare , diventare consapevoli ed accogliere tutto quello che
ci costituisce, quello che amiamo di noi così come quello che detestiamo.
Come nell’arte Giapponese dello Kintsugi si
ricostruisce una tazza in frantumi riempiendo d’oro le incrinature e il
risultato è un’opera d’arte più bella e preziosa di una tazza nuova e integra.
Così noi cuciamo il nostro Kesa con le pezze di stoffa che il mondo rifiuta che
cucite insieme danno forma all’Abito più nobile, più puro, l’Abito del
Risveglio che veste il nostro Zazen.
Così quando Pratichiamo
Zazen, in una pratica di riconciliazione, ricuciamo con l’oro della
consapevolezza e della compassione tutte le incrinature, le fragilità che
riconosciamo in noi e negli altri e ne facciamo l’opera d’arte della vita che
tutto abbraccia e nulla esclude.
In questi giorni
vedendo la fragilità e le paure degli altri, riconoscendo che sono le nostre
stesse fragilità e paure, le accogliamo e questo ci fa sentire più uniti e
possiamo prenderci cura degli altri come una madre o un padre si prendono cura
del loro bambino.
Il mio augurio dunque è
che vi prendiate cura di voi e gli uni degli altri, anche di chi incontrate per
strada sul vostro cammino, perché state incontrando vostro fratello.
Versione Francese
Il y avait dans la province de Gangwon, un
monastère zen perdu dans la campagne et ou des moines vivaient une vie paisible
i l'écart du monde. Tous les jours, le moine cuisiner prenait sa canne de
bambou au bout de laquelle étaient accroches deux seaux, une à l'extrémité
droite et l'autre a gauche, et il partait jusqu'à la riviere pour chercher de
l'eau. Il marchait trois heures durant, puisait l'eau pour le monastère et
marchait de nouveau trois heures durant pour revenir. Un de ses grands seaux
était très très agé. Il était vieux, felé, troué, son bois avait été mangé par
le temps. Le second seau, lui, est tout neuf.
Or, un après-midi,
alors que le moine se reposait sous lauvent du temple, il entendit le vieux
seau se plaindre:
“Je suis vieux,
fragile, felé, je ne sers à rien ou, tout du moins, a pas grand-chose. Toi,
dit-il en regardant le seau tout neuf, quand nous rentrons au monastère, tu es
plein d'eau, à ras bord. Alors que moi avec mes telures, mes fuites, mes trous.
J'arrive au mieux à moitié plein. Sans doute ne suis-je que deception pour les
moines, bientôt ils se débarrasseront de moi”
En entendant ces paroles,
le moine fut pris de compassinon. Il prit alors le vieux seau et fit le chemin
vers la riviere avec lui. En marchant, il lui dit: “Tu vois le côté opposé du
sentier, celui que l'on emprunte lorsque l'on revient de la rivière, celui qui
au retour de la rivière est de ton coté, celui sur lequel tu perds plus de la
moitié de ton cau, où tu fuis, par ta fragilité. Regarde bien: c'est le côté du
chemin qui est fleuri.”
Et le seau se mit alors
à aimer ses fragilités et à en être heureux.
Tu n'imagines pas à quel point tes
fragilités peuvent étre pleines de lumière, pleines de floraisons. Ne cherche
aucune vérité.
Deviens juste pleinement ce que tu es.
Extrait du livre «Boire
la lune et chevaucher les nuages»
Commenter par Taigō Sensei:
Je veux partager un mot
sur les paroles de Federico Dainin Sensei que je viens de lire.
En ces jours difficiles, dans la difficulté comme en
ces jours, nos fragilités, peurs, faiblesses sont encore plus évidentes. Nous
les voyons en autrui aussi, elles sont évidentes comme dans un miroir. Nous
nous voyons, et nous savons notre fragilité.
Pourtant en Zazen nous observons
nous prenons conscience de tout ce que nous sommes, tels que nous sommes et
nous apprenons à accueillir et à accepter, y compris nos faiblesses, peur et
fragilités. C'est comme réparer une tasse brisée faisant couler une pate d'or
pour rassembler les morceaux brisés. C'est comme quand nous cousons notre habit
de moine: nous rassemblons et nous nous revetons de ce que nous avons
rassemblé.
Méditer c'est cela: accueillir et embrasser tout de nous,
remplissant d'or nos fractures, les nôtres et celles d'autrui.
Mon voeu est
qu'en ces jours difficiles, nous pussions cueillir l'occasion, comme ne
méditant, d'accueillir nos fragilités et celles d'autrui, et réalisant nos
fragilités, nous tenir encore plus proches les uns des autres, prenons soin de
nous les uns les autres comme un père une mère le font avec leur enfant. Prenez
soin de vous et de celui que vous rencontrez.
© Tora Kan Dōjō
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