Una stanza della meditazione è un luogo poetico, in
senso letterale, il luogo di un fare, un particolare tipo di fare che in un
certo senso consiste nello smettere di fare alcunché, nel disimparare. Nella
stanza ci si siede con attenzione, con cura, cura per il cuscino, la sedia, lo
spazio, lo spazio proprio e altrui, per il corpo. Ci si raggiunge, ci si
accorge di essere seduti lí in quel momento. Si porta l’attenzione al respiro
cosí com’è, si riceve il respiro. L’attenzione è morbida, tenera, eppure salda
e determinata, simile a quella che avremmo per una farfalla: se la
stringessimo, la uccideremmo, se non la tenessimo con attenzione, sfuggirebbe.
Si smette dunque di affaccendarsi in azioni, pensieri, preoccupazioni per il
futuro, ricordi del passato. Ci si acquieta, lasciando che i pensieri sorgano e
passino come uccelli in un cielo vasto. E si disimpara a prendere parte e
posizione, a essere a favore o contro questo e quello, a fare di sensazioni,
memorie, desideri, pensieri dei concetti a cui credere indiscutibilmente e di
cui poi convincere gli altri. È un luogo che si fa insieme, di per sé è solo
una stanza vuota, né brutta né bella, piena di spazio, di possibilità. E quel
che ne nasce assomiglia al luogo stesso, sono miracoli del noto, del cosí già tanto
visto che lo si dà per scontato: sedersi, osservare l’ambiente senza essere
rapiti dal commentatore interno che ce lo descrive e ce lo spiega, respirare,
sentire il corpo e le sue sensazioni, chiedersi come sto, restare in attesa
della risposta. Lasciare spazio intorno a questi gesti tanto ordinari, dargli
una stanza, li fa brillare, permette che aprano un varco nell’oscurità in cui
di solito viviamo, nel nostro quotidiano sonno. Allora, pian piano, si ricevono
le visite della consapevolezza. La consapevolezza del piccolo esercitata con
pazienza e continuità apre la porta a una consapevolezza sempre piú costante e
piú profonda, non piú solo del corpo, ma anche del nostro funzionamento
mentale, del nostro modo di ricevere e reagire al mondo, agli altri, agli
eventi della vita, alla morte. Stare fermi fa conoscere i movimenti della
mente. Ci apriamo. Ad accogliere. A non subire. A non interferire. Ad
accogliere con fiducia qualsiasi cosa ci capiti. E questo non interferire, che
permette il rivelarsi, apre la possibilità della comprensione e dello
scioglimento.
Candiani, Chandra Livia. Il silenzio è cosa viva:
L'arte della meditazione (Vele Vol. 143) Einaudi.
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© Tora Kan Dōjō
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