Ho
notato che lo spazio della stanza è molto simile allo spazio del cuore.
Per noi
occidentali, il cuore è il luogo delle emozioni, dei sentimenti, delle
passioni. Nel Buddhismo si dice invece che un Buddha, un essere risvegliato,
abbia il cuore vuoto, che significa spazioso, ampio, un cielo in cui le
emozioni, gli affetti, i pensieri, le opinioni (in sanscrito cuore e mente sono
un termine solo: citta) passano, ma non permangono, sorgono e svaniscono.
La
non-identificazione con le inaffidabili emozioni, i discontinui pensieri,
illumina la fondamentale vacuità dello sfondo, della coscienza, la vivezza di
uno spazio che riceve con freschezza l’esperienza senza interpretarla, né
evitarla, senza aggiungere, senza togliere, nudamente. Una stanza vuota insegna
a essere contenitore vuoto, ma pronto, capace, accogliente.
L’abilità di stare
in una stanza vuota è quella di rendere altrettanto vuoto il proprio cuore,
lasciar cadere le proprie opinioni, deduzioni, pregiudizi, lasciar scivolare
quelle degli altri su di noi, lasciare che si riveli lo spazio vuoto di
abitudini, un’altra possibilità. In una stanza della meditazione, si impara a
stare soli insieme.
Si viene invitati a stare con noi stessi, a lasciare che il
corpo e il cuore-mente rivelino da sé come stiamo, ma anche a percepire
l’altro, a non ritirarsi, a non separarsi, a lasciar essere. E quello di cui ci
si accorge allora, stando soli in compagnia, è che non esiste la mia
consapevolezza, la mia pratica, ma un procedere insieme, un risvegliarsi
insieme che è tutta una scoperta. È un modo d’incontrarsi senza perdersi né in
sé né nell’altro.
Chi sono gli altri nella stanza di meditazione? Talvolta, si
conosce appena il loro nome, si intravedono le facce e il corpo, di sera la
stanza è quasi tutto il tempo illuminata solo dalle candele; è vero che c’è un
tempo prima e dopo per incontrarsi informalmente, ma chiunque sente che non è
quello il cuore dell’incontro.
Nella stanza, non conta il nome, l’aspetto, il genere,
la provenienza, la professione, lo stato civile e sociale, eppure c’è un
incontro profondo. Spesso vedo nascere tra le persone un affetto originale e
autentico, simile a quello fraterno.
Quello che degli altri conosco di piú
nell’esperienza della stanza è il loro silenzio. Il silenzio è un po’ come la
luce, bisogna affinare i sensi per accorgersi di quante diverse sfumature di
luce in una giornata incontriamo. E cosí per il silenzio. Ci sono infinite
varietà di silenzio. Ogni silenzio dice qualcosa. Nello stesso tempo, il
silenzio è solo silenzio. Non esiste il silenzio mio o tuo. Fare silenzio
insieme è una profondissima comunione.
Le diverse esperienze di vita, i diversi
stati d’animo possono creare complicità o avversione, il silenzio consapevole unisce.
Il silenzio sa. Nel silenzio s’impara.
tratto da: Candiani, Chandra Livia. Il silenzio è cosa viva: L'arte della meditazione. Einaudi.
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tratto da: Candiani, Chandra Livia. Il silenzio è cosa viva: L'arte della meditazione. Einaudi.
© Tora Kan Dōjō
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