Pubblichiamo l'estratto di una lezione tenuta da Sensei Paolo Taigō Spongia presso il Tora Kan Dōjō durante la Pratica Zen. Le lezioni hanno un carattere colloquiale del quale tener conto durante la lettura.
Voglio spendere due parole su un aspetto molto importante dell’esercizio Zen, che è la pratica “dell’inchinarsi”.
Forse la forma dell’inchinarsi in Gasshō è una delle prime cose che viene insegnata entrando nel
Dōjō. Inchinarsi varcando la soglia del Dōjō, inchinarsi verso i propri insegnanti, inchinarsi
verso i compagni di pratica… nel Dōjō Zen ci si inchina continuamente.
Ci si inchina in Gasshō con le mani unite davanti al
viso a rappresentare l’unità tra noi e l’oggetto del nostro inchino; ci si
inchina in Sanpai, fino ad arrivare a terra con una prosternazione profonda,
fino ad arrivare a poggiare la fronte al suolo sollevando le mani con il palmo
verso l’alto, come a voler accogliere nelle nostre mani i piedi di chi è
oggetto della nostra riverente prosternazione.
Nel Dōjō Zen ci
inchiniamo continuamente.
Ci inchiniamo al nostro Maestro, ci inchiniamo ai
nostri compagni di pratica, ci inchiniamo ad ogni oggetto che ci troviamo ad
utilizzare.
Si narra che un Maestro Zen cinese avesse un callo
sulla fronte per la frequenza delle sue prosternazioni.
Ho notato che quando vengono introdotte per la prima
volta alla pratica dell’inchino, quando viene suggerito di inchinarsi per la
prima volta, le persone si irrigidiscono, e questo ogni volta mi conferma
ancora di più l’efficacia e la potenza di questo gesto, di questa pratica, proprio
perché tocca qualcosa nel profondo di ognuno di noi.
Sanpai di Taisen Deshimaru Roshi |
Lo stesso Zazen a volte è vissuto con meno
smarrimento, che non il gesto di prosternarsi o di inchinarsi in Gasshō, e quindi considero questa pratica una vera e propria
terapia,
straordinariamente efficace per curare l’arroganza e
l’ignoranza dell’uomo che dimentica il suo debito di gratitudine, la sua interdipendenza,
il suo legame con ogni altra esistenza.
Ci inchiniamo continuamente, perché in ogni esistenza
animata ed inanimata riconosciamo la stessa Natura di Buddha che ci appartiene
e alla quale apparteniamo, in ogni manifestazione della Grande Vita
riconosciamo la nostra stessa vita e autentica natura: in ogni persona, in ogni
oggetto che utilizziamo, in ogni spazio che ci ospita. Quindi la capacità di
inchinarsi riconduce l’uomo alla sua più autentica natura, alla sua piena
umanità.
Lo aiuta a prendere coscienza che la sua vita è il risultato
di milioni di vite ed è costantemente nutrita e mantenuta da milioni di vite.
Che cosa c’è di più importante per un uomo da
raggiungere che non questa profonda consapevolezza che non c’è nulla che non ci
riguardi direttamente, nulla verso cui noi non si sia debitori in qualche modo?
Non c’è alcun elemento della natura che non contribuisca
al nostro essere qui in questo momento, non c’è nessuna esistenza che rimane
fuori di noi e questa comprensione noi la esprimiamo inchinandoci.
Inchinarci ci fa abbandonare quell’arroganza che ci fa
credere di poter essere autosufficienti, tanto autosufficienti da abbandonare il
sentimento di gratitudine.
Dobbiamo essere disposti a perdere la nostra posizione
per andare verso l'altro. Infatti l’inchino è in qualche modo uno sbilanciarsi
in avanti verso l’altro, non è rimanere fermi sui propri piedi (e le proprie
convinzioni).
Ieri sera ho coniato una definizione proprio riflettendo
sull’inchinarsi:
“Ogni passo che muoviamo nella nostra vita dovrebbe
scaturire dallo sbilanciamento che viene da un profondo inchino.”
Ogni nostra giornata dovrebbe iniziare con un profondo
senso di gratitudine e con un profondo inchino atto ad esprimere questa
gratitudine: gratitudine verso chi ci ha preceduto e ci accompagna nel nostro
cammino in forma umana: i nostri antenati, i familiari, gli amici, ogni esistenza
che ci sostiene e che fa sì che un nuovo giorno ci possa essere donato.
Io credo che la perdita della capacità di provare
gratitudine riconoscendo la propria connessione con il Tutto sia la più grave
malattia della nostra civiltà e l’origine di molti mali che minacciano
l’esistenza dell’uomo.
Se guardiamo alle culture arcaiche, non possiamo non
constatare che vivevano manifestando costantemente la propria gratitudine,
anche nell’uccidere. Si cacciava e subito dopo si celebrava un rito con cui in
qualche modo ci si scusava con quella creatura che per nutrirsi si era stati
costretti ad uccidere.
Nel Dōjō Zen anche mangiando una foglia di insalata
recitiamo le strofe: “riconosciamo che in questo nostro nutrirci la vita nutre
la vita, ne siamo grati e pratichiamo per essere degni di questo dono”.
Ogni volta che mangio mi chiedo se sono veramente
degno di questo dono, di questo sacrificio. Quindi mi impegno perché il
sacrificio di una vita per nutrire la mia vita sia degnamente riconosciuto e
onorato attraverso la mia azione: questo è il senso delle strofe che recitiamo
prima di mangiare.
Costruire una casa, spesso con le proprie mani, nelle
culture arcaiche richiamava una forma di riconoscenza. Prima si costruiva il
centro che era dedicato agli antenati e poi intorno a quello la casa, e questo
in tante culture. Oggi noi, obesi, colmi di ogni comodità e abbondanza non
siamo più in grado di essere riconoscenti, di esprimere gratitudine, e allora
ecco che la prima cosa che si impara nel Dōjō Zen è inchinarsi, perché è la
prima vera Pratica, la prima vera terapia per l’uomo moderno.
Mettiamo da parte la nostra abitudine a reclamare
diritti e proprietà e ci ricordiamo che in realtà nulla ci appartiene. Tutto è
un dono, anche il semplice fatto di poter essere qui stasera vivi a respirare
insieme è un dono. Non è affatto scontato.
Allora vi invito a fare di questa pratica il centro
della vostra azione quotidiana.
Trovate un momento al mattino per inchinarvi, per
offrire un incenso ed esprimere la vostra riconoscenza e continuate durante la
giornata a richiamare alla mente ed al cuore questo sentimento di gratitudine.
Gasshô di Taigô Sensei al Tora Kan Dôjô |
Allora ogni cosa ci verrà in soccorso, ci sosterrà, ci consiglierà.
Non c’è passo che muoviamo su questa terra che non sia
un dono frutto del nostro legame con ogni altra esistenza e risvegliarsi a
questa comprensione non può essere espresso altrimenti che con un profondo
inchino.
Gasshō
Alcune foto sono tratte dal sito: http://global.sotozen-net.or.jp/eng/index.html che ringraziamo
Alcune foto sono tratte dal sito: http://global.sotozen-net.or.jp/eng/index.html che ringraziamo
© Tora Kan Dōjō
Meraviglioso come ogni frase ci riporta la mente a qualche nostro errato comportamento quotidiano.
RispondiEliminaGassho
Meraviglioso come ogni frase di questo scritto ci riporta la mente a qualche nostro comportamento errato nel quotidiano.
RispondiEliminaGassho