https://glioplitidiaristotele.wordpress.com
Qualche
giorno fa ho lanciato una sfida ai bambini della mia classe. Li avrei chiamati
uno per uno, e dal banco avrebbero dovuto risolvere un’equivalenza scritta
sulla lavagna. Se fossero riusciti a risolverle tutte, mi sarei impegnato a
esaudire un loro desiderio. Sarei uscito dalla classe, loro avrebbero discusso
cosa chiedermi, e al mio rientro la giornata scolastica avrebbe preso la
direzione scelta dai bambini.
A
patto di non chiedermi di evadere da scuola (quel giorno il tempo non sembrava
favorire una nostra fuga nel quartiere) avrei prestato fede al mio impegno, ma,
come una perlina dietro l’altra, avrei dovuto prima infilare nella mia collana
immaginaria tutti i ventidue risultati esatti delle equivalenze.
I
bambini hanno accettato la sfida con entusiasmo e, dopo l’eccitazione iniziale,
in classe è piombato un silenzio irreale. A interromperlo soltanto la voce del
bambino o della bambina chiamati in causa. Così le perline hanno iniziato a
infilarsi nella collana e i bambini hanno cominciato a prendersi sempre più
tempo per pensare, a indicare la crescente responsabilità di chi veniva
coinvolto nel gioco. Sbagliare l’equivalenza quando già molti avevano superato
la prova avrebbe significato vanificare ogni singolo sforzo, determinando la
sconfitta dell’intero gruppo.
Poi
è arrivato l’errore di G. Non serve essere appassionati di calcio per capire
che il suo sguardo a quel punto sembrava quello che aveva Roberto Baggio nella
finale dei campionati mondiali del ‘94, subito dopo aver tirato sulla luna il
suo rigore e aver buttato la vittoria alle ortiche, regalandola al Brasile. G.
aveva negli occhi il dispiacere per l’occasione sprecata e la colpevolezza di
un condannato. Ma poi è successa una cosa bellissima. Dalle mani dei bambini è
venuto fuori un applauso fragoroso e immediato. Come se fosse già una vittoria
il solo averci provato, essersi impegnati e aver cercato di portare ogni nuovo
punto nella speranza del risultato finale. La classe ha spezzato così la
tristezza di G. esprimendo un’assoluzione definitiva e spontanea, che ha
riportato rapidamente il sorriso sul volti di tutti.
Ogni
bambino ha capito bene cosa provasse G. Ognuno aveva sentito o avrebbe provato
le stesse emozioni. Il lavoro fatto in questi anni può far sbocciare un fiore
inatteso. Altro che riuscire a convertire in centilitri una quantità espressa
in litri! Avevamo capito una cosa molto più preziosa. Avevamo vissuto un verso
della poetessa polacca Wisława Szymborska. Quel verso che dice Ascolta come
mi batte forte il tuo cuore.
Bella questa esperienza che umanizza tutti, docenti e discenti.
RispondiElimina:)