mercoledì 28 aprile 2021

Danzare al Ritmo del Mondo (Ita/Fra)


Quando siamo in zazen, in meditazione, 
non adempiamo a nulla, non realizziamo niente.
Niente di speciale comunque.
E tutto si avvera dentro di noi.
All'improvviso torniamo ad essere testimoni diretti di tutto ciò che si avvera e si compie al di sotto e oltre di noi. Dentro di noi e tutto intorno a noi.
Stiamo assistendo al miracolo del battito della nostra vita.
Ci rendiamo conto di una cosa molto importante: non si tratta di "non aver bisogno di fare nulla", sarebbe ridicolo; ci rendiamo conto dell'importanza di pensare, dire e agire senza esagerare. Perché no?
Perché tutto si avvera naturalmente.
Spesso il nostro agire diventa un ostacolo allo sviluppo del mondo.
Zazen ci sta insegnando a entrare nel ritmo del mondo e non a inventarci danze maldestre e inutili.
La creazione è già una festa. Sontuosa.
Dobbiamo solo unirci agli esseri, ai fenomeni e ciò che siamo.
Serenamente.
E questa è la fonte della gioia.
Diventiamo il trattino tra cielo e terra, visibile e invisibile, uomini e dei.
Nulla è allora né distinto né solitario.
Sì, è proprio questa la fonte della nostra gioia.
Solo questo mi piace praticare e trasmettere... per amore...

Federico Dainin Jôkô Sensei
Foto: Philippe Lissac/Godong Agency
Sesshin nel Deserto di Zagora
Centre Zen "La Montagne Sans Sommet" - Paris
Traduzione dal francese: Davide Kyōgen Sensei


Versione Francese



Lorsque nous sommes en zazen, en méditation, 
nous n’accomplissons rien, nous ne réalisons rien.
Rien de spécial en tout cas.
Et le Tout se réalise en nous.
Nous redevenons soudain les témoins directs de tout ce qui se réalise et s’accomplit en deçà et au delà de nous. En nous et tout autour de nous.
Nous assistons au miracle du battement de notre vie.
Nous réalisons alors une chose très importante : il n’est pas question de « ne rien avoir besoin de faire », ce serait ridicule ; nous réalisons l’importance de penser, dire et agir sans trop en faire. Pourquoi ?
Parce que tout se réalise naturellement .
Souvent notre agir devient un obstacle à l’épanouissement du monde.
Zazen nous réapprend à rentrer dans le rythme du monde et non plus à nous inventer des danses gauches et inutiles.
La création est déjà une fête. Somptueuse.
Nous n’avons qu’à y rejoindre les êtres, les phénomènes et ce que nous sommes.
Sereinement.
Et ça, c’est la source de la joie.
Nous devenons le trait d’union entre ciel et terre, visible et invisible, hommes et dieux.
Rien n’est alors ni distinct ni esseulé.
Oui, c’est bien là la source de notre joie.
C’est seulement cela que j’aime pratiquer et transmettre...par amour...



Federico Isahak Daīnin Jõkõ Sensei
© Tora Kan Dōjō



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sabato 24 aprile 2021

KAIROS : acciuffare l'occasione



dal 'Credo del Samurai

«Non ho capacità: Toi sokumyo (prontezza di spirito) è la mia capacità»,

e ancora,

«Non ho progetti, il mio Kisan (Ciuffo) è il mio progetto»,

"acciuffare ,l'occasione per i capelli",

«Visto che nell'olimpo greco trova posto, se pur marginalmente, la personificazione del momento opportuno, sarà suggestivo renderci conto di che cosa gli antichi intendessero per kairos, attraverso la descrizione del simulacro di Kairos. Da Pausania sappiamo soltanto che tale divinità aveva un altare ad Olimpia nei pressi di un'ara dedicata all'Hermes 'che arbitra le gare' (Graeciae descriptio, V, 14,9). Questa laconica fonte, pur non fornendoci alcuno spunto iconologico, ci induce a riflettere sul carattere ermetico del kairos, nella fattispecie, connettendolo all'elemento agonale: il colpo d'occhio dell'atleta nel saper volgere, al momento opportuno, la competizione a proprio vantaggio. In un epigramma di Posidippo sta racchiuso un interrogatorio a questa divinità, qui rappresentata da una statua di Lisippo. Innanzi tutto Kairos si autodefinisce col medesimo attributo del sonno: 'Colui che tutto doma'. La sua postura è in punta di piedi, impugnante un rasoio, per insegnare agli uomini che l'istante propizio è più aguzzo della più fine lama. La sua capigliatura è riversata sul viso mentre il resto della testa ne è sguarnito, affinché Kairos, una volta che il suo rapido volo l'abbia portato via, non possa più esser afferrato da dietro. Meno asciutto è un testo di Callistrato ... E' qui assente il motivo del rasoio, supplito a meraviglia dall'insistere sulla scattante postura di Kairos: egli non solo è raffigurato in punta di piedi, ma, per di più, in bilico su di una sfera; i suoi piedi, inoltre, sono alati e il suo sfrecciante incedere è un tagliare l'aria ... S'indugia,, poi, parecchio sulla fiorente bellezza di Kairos, rappresentato come un fanciullo nel fiore della pubertà, floridezza che sta a indicare come l'occasione favorevole sia artefice di bellezza».

Maria Tasinato, L'occhio del silenzio (ediz. Esedra)


© Tora Kan Dōjō



















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martedì 20 aprile 2021

Nonna come posso fare?




Nonna, come faccio a superare questo tremendo lutto?"

"La morte, bambina mia, non è da superare. E' da vedere. Quando arriva nelle nostre vite ci fa sperimentare il non visibile. Che tanto allontaniamo nelle nostre giornate. Vogliamo a tutti i costi riempire le mancanze, i vuoti, il silenzio, le assenze. Invece di celebrarli. Per quello che sono e portano. La morte arriva per dare valore a questo mondo nascosto."

"Ma io ho perso una parte di me..."

"Non l'hai persa. Devi solo imparare ad aprire gli occhi dell'anima per poterla vedere ancora. Senza il corpo ora quella parte è ancora più vicina a te, ti è entrata dentro, può battere con il tuo cuore. Ma ti ostini a ricercarla con gli occhi del corpo. E così facendo stai perdendo la vista più importante. Quella che ti permette di vedere l'invisibile..."

"Faccio fatica a credere all'invisibile."

"Anche l'amore non si può toccare, bambina mia. Eppure è il centro di tutta l'esistenza."

"E' diverso, nonna. Io prima potevo abbracciare quella persona, ora non più!"

"Ora dovrai aprire braccia diverse. Più ampie, più sottili, più profonde. Le braccia del tuo cuore. Se la vita ha voluto farti sperimentare questo evento è perché proprio in quell'evento c'è un tesoro solo per te. Che non riuscirai a trovare subito. Ad ogni grande tesoro si giunge dopo un cammino eroico. Il tuo è iniziato ora."

"Come farò a vivere senza?"

"E' nel vuoto che nasce la rivoluzione delle nostre anime. Inizia questo cammino con tutte le lacrime, la rabbia e la disperazione che hai dentro. Ma porta con te anche la fiducia nell'invisibile. E stai ben vigile d'ora in poi: la morte ti ha svegliato e seminerà sulla tua strada sassolini simbolici che dovrai cogliere. Per imparare a celebrare la fine come celebriamo l'inizio. Perché in realtà l'esistenza è un cerchio che non finisce mai e che non inizia mai. La morte è una trasformazione. La nascita è una trasformazione. Siamo chiamati a vivere una trasformazione continua."

"Che difficile, nonna!"

"E' più difficile costringerci a rimanere fermi invece di trasformarci. Richiede un'immensità di energia. Fatti trascinare dal fiume della trasformazione. Ed i tuoi occhi interni si apriranno. Non vedrai più morte allora. Ma metamorfosi continue. Dentro e fuori di te."

Elena Bernabè


© Tora Kan Dōjō










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sabato 17 aprile 2021

Vivere nel mondo dei Fini, la saggia follia di Francesco.



"Bisogna vivere nel mondo dei fini!"
per molto tempo non sono riuscito a comprendere questa esortazione del mio Primo Maestro.

Poi, dopo molti anni, un giorno rialzandomi dallo Zazen ho compreso:

Bisogna vivere una vita in cui ogni cosa che incontriamo è un fine ultimo e non un mezzo.

Una vita in cui non ci sia nulla che sia un mezzo per raggiungere altro ma ogni gesto, ogni incontro, sia consacrato in un momento assoluto svincolato da ogni calcolo e dai limiti dello spazio e del tempo.

Francesco ha incarnato, senza alcun dubbio questa vita risvegliata...

Taigō Sensei


(...) Francesco e frate Egidio si trovano (si tratta forse della primissima missione di Francesco) tra la gente della "Marca di Ancona", e se ne vanno, davvero come due pazzi, con atteggiamento di esuberante allegria: «pareva avessero scoperto un tesoro nel podere evangelico della signora Povertà». Come al solito, Francesco a voce alta e chiara cantava in francese le lodi del Signore ». La gente reagisce in modo diverso: alcuni li consideravano dei pazzi e dei fissati», altri dicevano che per essere così allegri con la « vita disperata che fanno » « non mangiare quasi niente, camminano a piedi nudi, hanno dei vestiti miserabili » devono essere « uniti a Dio in modo straordinariamente perfetto ».

Il sentimento dominante, dinanzi a « quel modo vivere così austero eppure lieto » era quello della « trepidazione », cioè della perplessità ansiosa. « Nessuno però osava seguirli ». Ed ecco un suggestivo tocco finale: « Le ragazze, al solo vederli da lontano scappavano spaventate nella paura di restare affascinate dalla loro follia ».

C'era dunque un fascino in quella follia, e il modo migliore per difendersene era la fuga. Chiara non fuggirà e ne rimarrà prigioniera. C'e infatti una follia che deriva da una deficienza di controllo razionale sugli impulsi psichici e anch'essa fa paura, ma perché ci presenta un'immagine di umanità in cui è assente quel lume di ragione che è il tratto specifico della nostra dignità, di una umanità subumana, insomma. 

Ma c'è una follia che si accende al di sopra del livello di razionalità che ci dà sicurezza, in quel punto alto dello spirito nel quale potrebbe avverarsi - e in alcuni si avvera - il possesso immediato delle ragioni ultime del vivere, insomma l'unica felicità degna dell'uomo.

Allora muore il buon senso e muore anche quella forma superiore del buon senso che è la prudenza, la virtù che insegna a disporre in modo giusto i mezzi giusti per raggiungere il fine. Ma se uno il fine lo raggiunge per contatto immediato, spogliandosi di tutto, anche dei mezzi suggeriti dalla prudenza? In rapporto ai criteri normali di saggezza egli è un folle, ma in rapporto al fine in cui la vita trova senso egli è sommamente sapiente. In questo caso l'esistenza soffre, per eccesso di intensità, la scomposizione delle sue forme consuete ed è portata a farsi gioco, perfino ai livelli del vivere quotidiano, delle norme del buon senso. Allora noi constatiamo una stranezza, mentre di fatto siamo venuti a contatto con una prospettiva di vita che obbedisce alle istanze fondamentali dell'esistenza. E' propria di questa sapienza la certezza che la vera ragione delle cose è altrove e che i mezzi per conoscerla sono irrilevanti, dato che essa, una volta che incontri la dovuta trasparenza, si fa conoscere da sé per contatto immediato. E in questa irrilevanza della logica dei mezzi che trova nuovo senso quella fortuita combinazione delle cose che noi chiamiamo 'caso'.

Che fecero gli apostoli quando affidarono alla sorte la scelta del nome da sostituire a quello di Giuda?

Estrassero un nome a sorte, fecero ricorso a quel metodo che nel Medioevo veniva detto sortes apostolorum. Secondo il primo biografo di Francesco (2 Cel, 15) egli insieme al suo primo compagno Bernardo cercò da Dio l'indicazione su quale doveva essere la loro via aprendo tre volte a caso il libro della Scrittura e la risposta ci fu, chiara e univoca. Aveva imparato nella sua bottega un modo ben diverso di far uso del proprio raziocinio, un modo dove niente era lasciato al caso, tutto era soggetto alla regola del calcolo più minuzioso. Rientrava nella sua follia anche la forma di povertà che consiste nella rinuncia ai comportamenti assennati, che fanno velo all'imprevedibile e, al di là dell'imprevedibile, allo stesso 'gioco' di Dio e può trasformare in un mezzo efficace anche l'assenza di ogni preoccupazione di tipo prudenziale, come in questo divertente episodio (Fior, 11)

Un giorno Francesco si trova «a un trivio di via per lo quale si potea andare a Firenze, a Siena e Arezzo ». È con lui frate Masseo, il suo incantevole Sancio Panza:

« Padre, per quale via dobbiamo noi andare?». Risponde santo Francesco: «Per quella che Iddio vorrà ». Disse frate Masseo: «E come potremo noi sapere la volontà di Dio?».

Francesco gli ordina di volteggiare su se stesso « come fanno i fanciulli » finché d'improvviso non gli dica di fermarsi. Così fa il buon frate che cade più volte per le vertigini. Ad un ordine di Francesco, si ferma:

« Inverso che parte tieni la faccia? ». Risponde frate Masseo: « Inverso Siena », Disse santo Francesco: « Quel la è la via per la quale Dio vuole che noi andiamo ».

Giunti a Siena il popolo li trasporta in trionfo fino all'Arcivescovado dove il vescovo li accoglie con grande onore. Ma la città si trova in una guerra intestina che ha già prodotto due morti. La predicazione di Francesco riporta la pace. La mattina per tempo, senza nemmeno farsi vivo col vescovo, egli dà ordine di ripartire. Masseo rimugina in sé le stranezze del padre:

"Che è quello che ha fatto questo buono uomo? Me fece aggirare come un fanciullo e al vescovo che gli ha fatto tanto onore, non ha detto pure una buona parola né ringraziatolo."

Francesco intuisce la segreta mormorazione di Masseo e lo rimprovera con scherzosa severità (« se degno dello 'nferno »): se non fossero andati a Siena, chi avrebbe riportato la pace nella città? Dunque la volontà di Dio si era manifestata attraverso l'espediente del gioco da bambini.

Anche il modo più infantile di ricorrere al caso può essere un gioioso appuntamento con la grazia (la grazia non è spesso l'altra faccia del caso?), può essere le côté humain assottigliato fino all'inesistenza, a cui risponde dall'altra parte le côté divin; può essere una volontaria ironia sulla curiosità umana nella ricerca delle vie giuste per un fine giusto, una pars destruens che prepara la pars construens dello Spirito, i cui movimenti sono per definizione imprevedibili. Alleggerendo la prudenza umana di quel peso interno che è la presuntuosa ricerca dei mezzi, sembra, sì, che si entri nella stoltezza, ma in realtà si toglie ogni diaframma - è questione di fede - ad un impulso di altra origine capace di tessere per conto proprio trame d'amore. In questo caso, la pace della città di Siena.

tratto da 'Francesco d'Assisi'
di Ernesto Balducci


© Tora Kan Dōjō





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martedì 13 aprile 2021

Solo questo e tutto questo è Zazen



L ' uomo solo cammina con gli occhi spalancati,
non dipende da nessuno e resta integro.
Lo Zen è soprattutto saper vivere
e saper morire.
L ' uomo solo è responsabile dei suoi pensieri,
parole e azioni.
Nessuno può respirare al suo posto.
Non c'è nessuno sopra di lui
e nessuno sotto.
Non c'è nessuno o niente da adorare,
nessuna ideologia.
Non cercare né immaginare nessun Buddha, nessuno stato celeste, nessun merito,
nessuna illuminazione o ricompensa
Qualunque essa sia.
Quando si è sinceri nel proprio respiro
e nella propria postura,
si è sinceri in tutte le cose.
Quando respiriamo davvero,
siamo veri nel pensare, parlare, agire.
Inoltre, senza pratica,
ogni spiritualità è solo un sogno,
illusione e proiezione mentale.
Meditare è una postura universale,
propria della nostra natura,
postura del corpo, un po ',
e dello spirito, molto.
Questa postura non è né Zen,
Né buddista, né cristiana né atea,
né che ne so....
E’ la liberazione di tutto ciò che avete rinchiuso, ricevuto, apprezzato, rinnegato, così gelosamente
nelle abitudini di questo corpo.
È una meditazione silenziosa e disinteressata.
E’ la vita amata, ricevuta e restituita;
inspirando, espirando.
La vita, piena. Meravigliosa ed ineffabile.
Siediti. Con tutto quello che sei.
Questo sedersi è il modo di vivere maestoso degli Dei, dei Buddha, degli Uomini.
Questo sedersi siamo noi.
Completamente.
Un miracolo eterno.

 Federico Dainin Jôkô Sensei


Versione Originale Francese

L’homme seul marche les yeux grands ouverts,
ne dépend de personne et reste intègre.
Le Zen, c’est avant tout savoir vivre
et savoir mourir.
L’homme seul est responsable de ses pensées,
de ses paroles et de ses actions.
Personne ne peut respirer à sa place.
Il n’y a personne au-dessus de lui
et personne en-dessous.
Il n’y a personne ni rien à vénérer,
aucune idéologie.
Ne recherchez ni n’imaginez aucun Bouddha, aucun état céleste, aucun mérite,
aucune illumination ni aucune récompense
quelle qu‘elle soit.
Lorsqu’on est sincère dans sa respiration
et dans sa posture,
on est sincère en toutes choses.
Lorsqu’on est vrai respirant,
on est vrai pensant, parlant, agissant.
Aussi, sans pratique,
toute spiritualité n’est que rêve,
illusion et projection mentale.
Méditer est une posture universelle,
propre à notre nature,
posture du corps, un peu,
et de l’esprit , beaucoup.
Cette posture n’est ni Zen,
ni bouddhiste, ni chrétienne, ni athée ,
ni qu’en sais-je....
Elle est la libération de tout ce que vous avez enfermé, reçu, ravi, renié, si précieusement
dans les habitudes de ce corps.
C’est le recueillement silencieux et désintéressé.
C'est la vie aimée , reçue et donnée;
inspirant, expirant.
La vie, Pleinement. Emerveillante et ineffable.
Asseyez-vous. Avec tout ce que vous êtes.
Cette assise est la manière de vivre majestueuse des Dieux, des bouddhas, des hommes.
Cette assise c’est nous.
Pleinement.
Un miracle éternel.

Federico Dainin Jôkô Sensei


© Tora Kan Dōjō




















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sabato 10 aprile 2021

La vera vocazione

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Anticamente in Giappone, la trasmissione del mestiere di padre a figlio era una regola inviolabile, profondamente radicata nelle sue abitudini. Rappresentava la condizione fondamentale che garantiva il valore e il rispetto che meritava una famiglia. Il figlio non poteva nemmeno immaginare di fare qualcosa di diverso da suo padre. Di conseguenza, in alcuni casi, coloro che hanno avuto una destinazione storica, illustre e diversa sono stati costretti a violare queste regole, il che più tardi è stato riconosciuto.

′′ Senza diventare il pescatore
che cattura la balena,
è diventato monaco ′′

Quando si conosce un po ' la storia del buddismo zen, si può osservare che la maggior parte dei grandi maestri e patriarchi che hanno fatto la storia non provengono da mezzi monastici, ma provengono da quei luoghi da cui è molto difficile uscire: appartenevano a grandi famiglie aristocratiche e principesche o strati popolari anche miserabili.
Li muoveva la vocazione autentica, contrariamente a quelli che, a causa della loro nascita, sentivano l'obbligo di vegliare sul buon adempimento dei loro doveri di monaci.
In effetti, la determinazione pura ha guidato questi uomini; persone come Kōdō Sawaki, Dōgen Zenji, Gensha, ecc. ; purezza di spirito, forse con tormenti, preoccupazioni, complicazioni, ma con una grande forza. La vita cosmica è penetrata in loro, naturale, automaticamente, riempiendoli di una decisione totale e incrollabile, svegliandoli allo spirito vero, facendo loro realizzare le più grandi opere senza l'ombra di un dubbio... (...)
In quell'istante di decisione totale, senza pensieri né seconde intenzioni, la grotta dei demoni sulla montagna nera, è diventata luce, per il bagliore di una perla brillante.

Lo Zen di Dōgen
Taisen Deshimaru Roshi



© Tora Kan Dōjō



















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martedì 6 aprile 2021

Il Tempo della Forma


C'è un tempo per vedere ed un tempo per non vedere. Anche se ci sforziamo, per rassicurarci, di rendere con precisione quel che vediamo, quel qualcosa è già altro.
Come un piede che ricalca le proprietà della terra, gli occhi includono la forma, questo è il nostro precetto, quel che chiamiamo il precetto della Buddha-natura. Solo così noi possiamo essere davvero etici, morali.
La paura ci fa vigili e cauti, quindi scattanti, ma c'è una paura che ha paura e che rallenta l'azione e ci fa esitare.
La paura nasce dal vedere, dal pensare...
Quindi: vedere senza vedere, pensare senza pensare. Come un bicchiere sollevato, sospeso nel vuoto, come la postura immobile dello zazen nella sua obiettiva immobilità.
Il soggetto guarda solo se riguardato.
C'è un'obbiettività in quel soggetto proprio nel momento in cui quella coscienza non ha più oggetti. Allora il soggetto vede ancora prima di vedere qualcosa, prima di qualificarlo.
Il nome e la persona coincidono, ma per brevissimo tempo per fortuna, anzi quando non c'è tempo per vedere, per dire...
Dove si intersecano le rette del tempo e dello spazio s'individua un punto senza dimensione, senza peso, totalmente obiettivo, come, tra il bianco e il nero, la persona grigia, di un tangibile grigio assoluto e universale: l'esplosivo sfavillìo del bianco contrapposto al nero.
I nostri occhi includono la forma, non hanno tempo per guardare; è così che noi siamo eretici e morali. Il tempo della forma e degli occhi coincidono. Non si ha un tempo per vedere, né c'è un tempo per vedere.
Così se un pesce nuota, tutta l'acqua degli oceani è il suo nuotare.

Maestro F. Taiten Guareschi 
Tratto da 'Fatti di Terra
Ed. CasadeiLibri

© Tora Kan Dōjō











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sabato 3 aprile 2021

Un vero Guerriero






Ecco, questo era un guerriero, nell'accezione più nobile che può essere data a questa parola.
Un animo nobile e coraggioso che rinunciò a tutto per non imbracciare il fucile ed uccidere e mise la vita e la sua fama al servizio degli altri fino alla fine.




" Non mi sto nascondendo dal reclutamento. Non brucio bandiere. Non fuggo in Canada. Rimango qui. Volete spedirmi in prigione? Bene, fatelo. Sono già stato in prigione per 400 anni. Potrei anche starci per altri 4 o 5 anni, ma mi rifiuto di andare a 10.000 miglia di distanza per aiutare ad uccidere ed assassinare altre povere persone. Se voglio morire, morirò qui, ora, combattendo voi, se volessi morire. Voi siete i miei nemici, non i Cinesi, non i Vietcong, non i Giapponesi. Voi siete quelli che vi opponete a me quando reclamo la mia libertà. Voi siete quelli che vi opponete a me quando chiedo giustizia. Voi siete quelli che vi opponete a me quando chiedo l'uguaglianza. Volete che io vada da qualche parte a combattere per voi? Nemmeno qui in America voi difendete i miei diritti e ciò in cui credo. Non mi difendete nemmeno qui a casa mia."



Muhammad Ali


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" I'm not hiding from recruiting. I don't burn flags. I don't escape to Canada. I'm staying here. Want to send me to jail? Well, go ahead. I've been in jail 400 years. I may be another four or five more, but I'm not going 10.000 miles to help murder and kill other poor people. If I want to die, I will die here, now, fighting you, if I want to die. You are my enemy, not the Chinese, not the Vietcong, not the Japanese. You're the one who opposes me when I want freedom. You're the one who opposes me when I want justice. You're the one who opposes me when I want equality. Do you want me to go somewhere and fight for you? Not even here in America you defend my rights and my beliefs. You don't even defend me here at home "



Muhammad Ali


















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