martedì 30 marzo 2021

Sul filo del Mondo

Ci si deve lanciare in questa ricerca insensata del riposo senza speranza di alcun risultato. 
Ecco il funambolo allungato sull’antenna gigantesca, all’ascolto del mondo. 
Ode salire fino a sé il rumore di qualche città, distingue i mille richiami di cui è colmo il silenzio della campagna, sussulta al sibilo delle stelle cadenti.
Tutto ciò l’assopisce.
Una respirazione profonda lo pervade.
A ogni inspirazione sente i rumori, a ogni espirazione non sente più nulla, 
allora sopraggiunge un oblio di tutto che dura molti battiti del cuore; 
il dormiente si ascolta russare; ma tra i suoi sospiri, quale silenzio!
Sotto di lui, il nulla. Né cani, né persone. 
Anche la natura riposa per conciliare il sonno al funambolo in equilibrio sul suo diapason gigantesco.
Al risveglio, siete colui che ha perduto il suo tempo su una linea. 
Siete soli, e il più alto sguardo s’annoia.
Ah, no! Mai esser tristi sul filo!
Con un movimento della spalla rimetto in equilibrio i miei pensieri e parto cantando.

Philippe Petit
da 'Trattato di Funambolismo'. 


© Tora Kan Dōjō




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martedì 23 marzo 2021

Il mondo su un tessuto

"O mantello prezioso che liberi ogni essere ed ogni cosa
Giardino fatto di ciò che il mondo getta, diventato giardino di felicità infinita
Possa il mio cuore stringere a se  tutti gli insegnamenti dei mondi
Possa la mia esistenza  proteggere e aiutare tutti gli esseri"

È cantando questi versi che il praticante Zen inizia la sua giornata.
Secondo la tradizione, su una strada dalle alture delle colline, il Buddha fu colto a contemplare questi specchi d'acqua e riso disegnati dalle terre sollevate in rettangoli rassemblati, nei quali si riflettono  il cielo, le nuvole, gli uccelli e i colori del mondo, e nel cuore dei  quali gli uomini vanno e vengono nel lavoro del giorno. Quindi chiese al suo  discepolo Ananda di rilevare il disegno  di queste risaie. Raccolse allora  un gran numero di tessuti usati e abbandonati. Li fece bollire in una miscela di pigmenti  prima di assemblarli secondo il disegno. Così fu confezionato  il "vestito della liberazione", il kesa.
Da allora, è stato trasmesso ininterrottamente da maestro a discepolo, e la sua pratica va ben oltre il semplice fatto di realizzare un indumento religioso. Il Maestro Dogen (13 ° secolo) ha scritto: "In questo momento dell'alba, la gioia mi ha inondato. Ero vicino a questo monaco che venerava  il manto dell’illuminato. Le lacrime mi hanno inondato, ho capito il Tutto".  Cogliere  il Tutto, vestirci non solo dell'insegnamento del Buddha e dei maestri, ma vestirci  del Tutto, rivestire la nostra pelle, la nostra storia.
Cucire  è una pratica lunga e profonda:  la scelta del tessuto giusto, il taglio, la tintura naturale, la preparazione e l'assemblaggio e, punto dopo punto, la realizzazione stessa della nostra Ricerca. La cucitura è fatta da un  punto minuscolo in cui l'ago deve tornare su se stesso per poter avanzare sulla linea di cucitura, migliaia di punti esprimendo  il desiderio, ogni volta che l'ago perfora il tessuto, di diventare rifugio per tutti gli esseri e  di aiutare questo mondo. E il campo di riso del mondo appare nelle nostre mani. Agire senza uno scopo, realizzare la nostra presenza consacrata in ogni momento del mondo. Punto dopo punto, coltiviamo senza attese. Soltanto vivere  e relazionarsi  a ciò che viene  vissuto. Completamente.


RIUNIRE LE DIFFERENZE.  
Questo tessuto ci eleva dalle nostre illusioni, ci chiama ad comportarci degnamente  in questo mondo, come un grembiule (nella sua forma a cinque strisce) che ci chiama al servizio. Per renderci servitori  del bene in questo mondo. Inizialmente, scegliere tessuti impuri  era solo una questione di mezzi. Cucire tessuti recuperati, ritagliati, tinti e rimontati è un insegnamento. Fare di ciò che  questo mondo rifiuta l'oggetto stesso della nostra devozione. Amare ciò che agli uomini non piace più. Ridare vita  là dove muore l'esistenza. E non rifiutare più nulla. Quando osservi la forma finita di un kesa, ci vedi davvero una risaia; strisce e pezzi di tessuto di diverse dimensioni assemblati secondo i principi del modello originale. Stracci armoniosi. Riunire  le differenze.
La pratica dello Zen è fondamentalmente la compassione di ogni minimo istante  della nostra vita quotidiana. Le nostre vite sono le vere risaie del mondo in cui la semina è pace, benevolenza, giustizia, amore e libertà, e i raccolti ne sono i frutti. Il praticante buddista Zen si impegna a superare tutte le forme di discriminazione e a costruire in questo mondo l'armonia  riconciliando tutte le differenze e riunendo, con filo dell' Amore sulla stoffa dell'esistenza, tutto ciò che era sparso, diviso, separato e diverso.
Realizziamo l’abito della pratica  nei cosiddetti colori "misti" o "rotti": il colore del kesa è un colore fatto di miscele e  di incontri. All'inizio, questi sono i colori della terra, della notte e delle ceneri. Poi  con gli anni e soprattutto quando iniziamo a insegnare, il  kesa indossato è sempre più chiaro. I kesa delle cerimonie sono  estremamente colorati, ricamati, decorati ed esprimono la gioia di celebrare la vita, la gioia di essere vivi. Il colore scuro ci chiama a tornare alla caverna, al silenzio, all’ annullamento, in una parola per portare la luce dentro di noi e coltivarla nel segreto della pratica umile. Quindi, quando un praticante diventa insegnante e riceve la trasmissione di maestro, i colori sempre più chiari lo chiamano a rigirare la luce verso l’esterno, verso il  mondo e trasmetterla. Dobbiamo attraversare le nostre grotte, le nostre notti e le nostre facce oscure, per amarle allo stesso tempo in cui amiamo la chiarezza e i nostri visi di bontà. Poi andarcene verso  il mondo e amare ombre e luci in ogni essere.

IL FILO DELLA BENEVOLENZA. Portato sulla spalla destra e passato sotto la spalla sinistra per liberare il secondo braccio, il kesa ci ricorda anche che nulla ci appartiene,  neanche il sacro. La spalla e il braccio coperti dal kesa ci dicono quanto riceviamo e quanto siamo protetti e amati; la spalla e il braccio lasciati scoperti dalla kesa ci chiamano a donare, a proteggere e amare questo mondo. Come il palmo verso il cielo e il palmo verso la terra nella danza Sufi.
Attraverso la pratica del kesa, il fedele  diventa lui stesso religione: è colui che collega, che raccoglie, che trasmette e che armonizza, colui che libera e protegge in questo mondo. Il kesa è un tutt’uno con la nostra fede e la nostra vita - con la fede (qualunque essa sia) e la vita di tutti gli esseri. Cucendo al filo della nostra benevolenza, sugli stracci sparsi di ciò che sembra separarci, mettendo insieme ciò che è stato rigettato, alla luce dell'esistenza, sul modello della realtà, armonizzando tutte le differenze del mondo e proteggendo tutti gli  esseri, noi diventiamo questo campo di felicità illimitata, dov’è seminata la compassione e si raccoglie la felicità.
Il mondo intero ci ricopre e ci riveste. E siamo noi stessi che diventiamo l'abito del mondo.

tratto da “Le monde des religions” (Nel mondo delle religioni) n ° 99.

(Traduzione a cura di Clara Tendō Candido)


© Tora Kan Dōjō










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sabato 20 marzo 2021

Essere tremendamente seri nell'allenamento.


Vorrei qui solo menzionare sei regole, la cui stretta osservanza è assolutamente essenziale per chiunque sia desideroso di capire la natura dell'arte.

1. Dovete essere tremendamente* seri nell'allenamento.
Quando dico ciò, non intendo che dobbiate essere ragionevolmente diligenti o moderatamente in buona fede. Voglio dire che il vostro avversario deve essere sempre presente nella vostra mente, sia che sediate o siate in piedi o camminiate o solleviate le braccia.
Se dovete portare un colpo di karate in combattimento, non dovrete avere nessun dubbio che quell'unico colpo decida tutto.
Se avete compiuto un errore, sarete voi a cadere.
Dovete sempre essere preparati ad una tale eventualità.
Potreste allenarvi per molto, molto tempo, ma se muovete semplicemente le mani ed i piedi e saltate su e giù come una marionetta, l'imparare il karate non sarà molto diverso dall'imparare a danzare. Non avrete mai raggiunto il nocciolo della faccenda; avrete fallito nell'afferrare la quintessenza del Karate-do.
Essere estremamente seri, allora, non è essenziale soltanto per un seguace del Karate-do; è ugualmente essenziale nella vita quotidiana di ciascuno, poiché la vita è essa stessa una battaglia per sopravvivere. Chiunque sia tanto compiacente da presumere che dopo uno sbaglio avrà un'altra opportunità raramente farà della sua vita un successo**.


tratto da Karate Do il mio stile di vita di Gichin Fumakoshi Edizioni Mediterranee


*la traduzione italiana "eccezionalmente seri" non rende bene il senso di quanto Gichin Funakoshi vuole comunicare. In inglese troviamo tradotto Be deadly serious in training. Eccezionalmente seri lascia intendere che la serietà va riservata all'allenamento, come se l'atteggiamento di chi pratica debba essere diverso da quello che riserva alla vita quotidiana, che è proprio il contrario di quanto ci vuol dire l'Autore. ( nota del curatore ).




© Tora Kan Dōjō





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martedì 16 marzo 2021

Diventa quello che sei (Ita/Fra)

Estratto dal libro: "Bere la luna e cavalcare le nuvole" 
di Federico Dainin-Jôkô Sensei
Centre Zen "La Montagne Sans Sommet" - Paris 


Ogni giorno della sua vita, 
il maestro Seong Am interrogava sé stesso:

"Maestro!"
E si rispondeva:
"Sì?"
- "Proteggi la tua mente chiara e serena!"
"Sì!"
- "Non lasciare che nulla ti abusi, ti cambi o ti incateni!"
"!"

Chi è il vero maestro tra la mente interrogante e la mente che risponde?

*******************************

Vieni a sederti armoniosamente senza irrigidirti.
Ad ogni corpo corrisponde la sua "drittura", la sua postura. A forza di praticare lo zazen, riuscirai a trovare la tua. È come nella vita. Ogni vita ha la sua felicità, la sua storia, la sua verità e le sue prove.

Abbiamo paura dell'età. Alcune persone si vergognano di essere troppo giovani, altre non osano parlare della loro età avanzata ...

Ma la giovinezza non è sinonimo di immaturità, né la vecchiaia è sinonimo di saggezza: neanche il contrario. Ciò che è importante non è né la nostra erudizione né i nostri diplomi. Eppure, tutte le nostre esperienze e le conoscenze che ne abbiamo tratto sono lezioni preziose. No, l'importante è rivolgersi al centro della nostra stessa sofferenza. Là si trova il vero apprendimento. Il nostro vero maestro, l'unico maestro che può insegnarci la felicità, la vita e la nostra verità.

Lasciamo che tutti i tradimenti, le delusioni, le sofferenze che abbiamo sperimentato ci aprano invece di chiuderci nella paura. L'importante è non lasciarsi imprigionare né dal ricordo delle ferite del passato, né dalla paura delle ferite che verranno.

Riesci a vivere con il dolore? Tuo e quello degli altri? Senza agitarti invano per cercare di nasconderlo o diminuirlo. Sai vivere con gioia? La tua e quella degli altri? Senza rubarla o impedirla per gelosia? Oseresti rendere la tua vita una danza, lasciarti invadere dall'estasi fino alla più piccola cellula di ciò che sei, senza essere diffidente o troppo pragmatico, senza essere schiavo delle condizioni umane, dei dogmi intellettuali o degli stereotipi del nostro mondo?
Ciò che conta non sono le storie che raccontiamo a noi stessi. Sei pronto a rimanere te stesso, anche se significa deludere gli altri? Sei in grado di sopportare la calunnia, il tradimento, senza diventare infedele a quello che sei?
E se dovessi interrogarti come il maestro Seong Am, cosa diresti a te stesso di così importante?

Diventa ciò che sei veramente, vale a dire una domanda, quindi una risposta ...

Segui il respiro. Diventa quello che sei.

(Traduzione dal francese Davide Kudai Colombu)



Versione Francese:

Chaque jour de sa vie, le maître Seong Am s'interrogeait lui-même :
« Maître ! »

Et se répondait:
"Oui?"
-« Protége ton esprit clair et serein ! »
"Oui!"
-« Ne laisse rien t'abuser, te changer, ni t'enchaîner ! »

"Oui !"

Lequel est le vrai maître entre l'esprit qui questionne et celui qui répond ?


*******************************


Viens t'asseoir harmonieusement sans te crisper.

A chaque corps correspond sa propre droiture, sa propre posture. A force de pratiquer zazen, tu réussiras à trouver la tienne. C'est connme dans la vie. A chaque vie son bonheur, son histoire, sa vérité et ses épreuves.
On a peur de l'âge. Certaines personnes ont honte d'être trop jeunes, d'autres n'osent pas parler de leur âge avancé... Mais la jeunesse n'est pas synonyme d'immaturité, ni la vieillesse synonyme de sagesse : l'inverse non plus. Ce qui est important, ce n'est ni notre érudition ni nos diplômes. Et pourtant, toutes nos expériences et les savoirs que nous en avons tirés sont des ensevnements précieux. Non, ce qui est important, c'est de se tourner vers le centre de notre propre souffrance. Là se trouve le véritable apprentissage. Notre véritable maître, le seul maître qui peut nous apprendre le bonheur, la vie et notre vérité.
Laissons toutes les trahisons, les déceptions, les souffrances que nous avons vécues nous ouvrir au lieu de nous enfermer dans la peur. Ce qui est important, c'est de ne se laisser enserrer ni par le souvenir des blessures du passé, ni par la crainte des blessures à venir.

Peux-tu vivre avec la douleur? la tienne celle d'autrui? Sans t'agiter en vain pour chercher à la cacher ou à l'amoindir. Peux-tu vivre avec la joie? La tienne et celle d'autrui ? Sans la voler ni l'empêcher par jalousie ? Oerais-tu faire de ta vie une danse, te laisser envahir par l'extase Jusqu'a la moindre ccllulc de ce que tu es, sans êtrc méfiant ni trop pragmatique, sans être esclave des conditions humaines, des dogmes intcllcctucls ou des stéréotypes de notre monde ?
Ce qui compte ce ne sont pas les histoires qu'on se raconte. Es-tu prêt à rester toi-même, quitte à décevoir les autres ? Es-tu capable de supporter la calomnie, la trahison, sans pour autant devenir infidèle à ce que tu es ?
Et si tu devais te questionner comme maitre Seong Am, que te dirais-tu de si important ?

Deviens ce que tu es vraiment, c'est-à-dire une question, puis une réponse...

Suis le souffle. Deviens ce que tu es.

Illustration et Extrait de "Boire la lune et chevaucher les nuages"

Federico Daīnin Jõkõ Sensei
Centre Zen "La Montagne Sans Sommet"


© Tora Kan Dōjō


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sabato 13 marzo 2021

Il Karate del mio gatto


Voglio iniziare l'anno con una breve riflessione che mi piacerebbe condividere con voi, come se foste se non ancora degli amici almeno dei compagni d'arme.

Fino ad adesso il karate mi è servito nelle situazioni di conflitto. Quando occorreva reagire a un attacco, anche semplicemente psicologico. Mi è servito in termini strategici non fisici, beninteso. La vita è una guerra: si vis pacem para bellum. È la stessa ottica dei samurai. Ma credo che si faccia un lavoro inutile se si arriva a concepire tutta la vita in questo modo.
Intendo dire che dopo aver sperimentato per anni quella condizione di perenne allerta che si usa per allenarsi anche fuori del tatami (la stessa per cui i maestri sono sempre pronti a parare un attacco improvviso perché non fanno che pensare a quello giorno e notte e quindi quando arriva se l'aspettano), penso che la mia gatta sia più avanti di loro.
E' una perfetta macchina da guerra. Ma solo se serve. Cioè non passa il suo tempo a "prepararsi ad un attacco". È perfettamente rilassata e non ci pensa proprio. Ma se arriva il momento, scatta in un nano-secondo e reagisce con assoluta efficienza ed efficacia. Questo è il più alto livello di maestria che io abbia mai visto.
Mi sento un idiota di fronte a lei. Dopo aver frequentato Hiroshi Shirai, Taiji Kase, e successivamente Kenji Tokitsu, dopo essere stato onorato dell'amicizia di Iwao Yoshioka, di Katsutoshi Mikuriya, e altri maestri, ho fatto mio un metodo di allenamento continuo che consiste nel pensare costantemente alle direzioni da cui può provenire un attacco, osservando la posizione delle persone vicine in autobus, di chi incrocio camminando per strada, perfino degli amici mentre parlo con loro. Visualizzo in un attimo che tipo di attacco potrebbero portare con le braccia o con le gambe. E coltivo la consapevolezza della mia posizione, delle possibili contro reazioni e delle vie d'uscita. Ma non si può andare avanti così. Anche quando sono diventato un insegnante maturo e questo esercizio è sfumato in sottofondo mi sono reso conto che in realtà questo lavorio mentale, sia pure in background, continua sempre. Inconsapevolmente.
Poi, un giorno, in una pausa delle mie scritture, l'occhio mi è caduto sulla mia gatta. Ho visto come se ne sta tutto il giorno rilassata e senza alcuna forma di pensiero. Altro che zazen... E guardandola ho avuto un'illuminazione. Devo proprio aver fatto un'espressione buffa perché lei ha drizzato le orecchie e mi ha guardato in modo interrogativo. Poi mi ha strizzato gli occhi (lo fanno con tutti e due gli occhi a differenza di noi umani che siamo scarsi anche nei sentimenti) con affetto infinito anche senza bisogno di capire cosa mi passasse per la testa.
In quel momento ho capito che non si può concepire tutta la vita come una guerra, come un eterno confronto. Io non ho nulla da dimostrare, non mi interessa confrontarmi con nessuno in termini agonistici. Dico, nella vita comune. Tantomeno nel karate: so tirare di pugno ma mi auguro di non doverlo usare mai. Perché non c'è nulla di più orribile della guerra, del sangue. Di due persone che litigano inutilmente, come accade la maggior parte delle volte. E lo dico da guerriero non da pacifista. Io non sono mai stato un pacifista. Perfino la mia Lulù è una "pacifista con le unghie". Intendo dire che la vita è una cosa troppo breve e delicata per pensare solo al contrasto, allo scontro. Se è necessario ci si pensa. Ma solo in quel momento.
Per questo forse da quest'anno diminuirò drasticamente il mio karate e mi dedicherò con più attenzione agli esercizi per stare bene. Uno dei miei due maestri di Qi Gong, tanti anni fa, mi ha detto: "Ma che cos'è quell'espressione ingrugnata? Sorridi! Ti fa bene!". Io che venivo dalle arti marziali giapponesi mimavo senza rendermene conto il cipiglio da samurai che hanno tutti i maestri con cui sono stato. Poi ho incontrato Higa, che sorrideva e mi sembrava assurdo per uno che fa karate. Poi ho incontrato i maestri cinesi che attribuiscono al sorriso addirittura l'importanza di una medicina preventiva. E infine ho osservato Lulù ed ho scoperto che anche lei sorride, sia pure sotto i baffi.

Allora non c'è tempo da perdere. 34 anni di arte marziale a cosa sono serviti? A prepararsi a cosa? Ad uno scontro che non avverrà mai? E perché dovrebbe esserci uno scontro? E poi se avverrà siamo sicuri che tutto l'allenamento che abbiamo fatto servirà a qualcosa in quella specifica ed imprevista occasione? E poi, è veramente utile saper tirare di pugno? Non si guadagna di più a non pensare a nulla, a meditare, anzi a contemplare la vita come fa la mia gatta?
I padri fondatori delle nostre discipline, alla fine di una vita riconoscevano che il valore più grande è cercare (o creare) l'armonia nelle cose e fra le persone. Ho passato una vita a studiare il nemico per sconfiggerlo. C'era sempre qualcosa o qualcuno da scovare e combattere. Poi improvvisamente ho scoperto che fuori di me non c'era nessun nemico. Non c'è nessuno che possa farmi del male a meno che io non lo consenta (o crei le condizioni per cui possa farlo). Quindi se c'è ancora un nemico da qualche parte, sta dentro di me.
Ma sbirciando la mia gatta, capisco che in fondo anche questa è un'idea sbagliata. La mia gatta non ha nessun IO interno da combattere. E' in una condizione naturale e perfetta di vuoto mentale, Mu. E grazie a questa attitudine è pronta ad accogliere qualunque cosa, sia bella che brutta. Risparmia le energie. Si allena lo stretto indispensabile (molto poco, devo dire). Prima di tutto, pensa a star bene, a non pensare a niente inutilmente, a restare aperta a nuove esperienze e scoperte.
Ho iniziato l'anno facendo un inchino alla mia gatta, come si usa fare al cospetto di un Maestro. E ho deciso che da quest'anno non terrò più il mio pugno chiuso, a simulare un pieno che non c'è. La mia mano è vuota. Tanto vale aprirla.

Bruno Ballardini

Articolo pubblicato sul numero 47 del giornalino del Tora Kan Dojo - primavera 2010


© Tora Kan Dōjō




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martedì 9 marzo 2021

Lascia fluire la vita




"Se costringiamo la vita alle nostre categorie, previsioni, calcoli, se abbiamo la pretesa di controllarla e dominarla... la vita si ribella, come un fiume costretto da argini artificiali e la sua 'ribellione' può essere devastante.
Se invece impariamo ad ascoltare le indicazioni che ci offre la natura morale di ogni cosa e di ogni situazione, se ce ne prendiamo cura con amore e rispetto affidandoci alla sua Saggezza allora tutte le cose si organizzeranno armoniosamente davanti a noi accogliendoci e proteggendoci nell'abbraccio del loro fluire."


Taigō Sensei
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