sabato 9 gennaio 2021

Il Secchio Incrinato (versione Italiana e Francese)



Nella provincia di Gangwon, c’era un monastero zen perduto nella campagna dove dei monaci vivevano una vita tranquilla lontano dal mondo.
Tutti i giorni, il monaco cuoco prendeva la sua canna di bambù sull'estremità della quale erano appesi due secchi, uno all'estremità destra e l’altro a sinistra, e partiva fino al fiume per cercare dell’acqua.
Camminava per tre ore, raccoglieva l’acqua per il monastero e camminava di nuovo altre tre ore per tornare. Uno dei suoi secchi grandi era molto vecchio.
Era vecchio, fessurato, bucato, il suo legno era stato usurato dal tempo. 
Il secondo secchio invece era tutto nuovo.
Un pomeriggio, mentre il monaco si riposava sotto la tettoia del tempio, sentì il vecchio secchio lamentarsi: “sono vecchio, fragile, fessurato, non servo a niente, o quantomeno servo a poco.
Tu, disse rivolgendosi al secchio più giovane, quando rientriamo al monastero, sei pieno d’acqua fino all’orlo. Io invece, con le mie fessure, le mie perdite, i miei buchi, arrivo appena a metà.
Non sono altro che dispiacere per i monaci, presto si sbarazzeranno di me.” 
All’ascolto di queste parole, il monaco fu preso dalla compassione.
Prese allora il vecchio secchio e si incamminò verso il fiume con lui.
Camminando gli disse: “Guarda il lato opposto del sentiero, quello che prendiamo al ritorno dal fiume, quello che al ritorno dal fiume è dal tuo lato, quello sul quale tu perdi più della metà della tua acqua per la tua fragilità. Osserva bene: quello, è il lato del cammino che è fiorito.
E il secchio si mise allora ad amare le sue fragilità e a esserne felice. 
Non immagini a che punto le tue fragilità possano essere piene di luce, piene di fiorescenze. Non cercare nessuna verità. Diventa giusto ciò che sei.
Queste crepe in noi Dobbiamo amare queste crepe in noi, queste stesse crepe che ci fanno credere che la crepa è nell’altro. L’albero che cade nella foresta, fa rumore se nessuno lo sente?

Estratto dal libro ‘Bere la luna e cavalcare le nuvole




Commento di Taigō Sensei:

In questi giorni difficili, di fronte alla difficoltà ancora più evidenti appaiono le nostre fragilità e le fragilità degli altri.
Osservando gli altri questi giorni diventano lo specchio che riflette e svela le nostre debolezze, le nostre paure, la nostra stessa limitatezza umana.
Quando sediamo in Zazen impariamo ad osservare , diventare consapevoli ed accogliere tutto quello che ci costituisce, quello che amiamo di noi così come quello che detestiamo.
Come nell’arte Giapponese dello Kintsugi si ricostruisce una tazza in frantumi riempiendo d’oro le incrinature e il risultato è un’opera d’arte più bella e preziosa di una tazza nuova e integra. Così noi cuciamo il nostro Kesa con le pezze di stoffa che il mondo rifiuta che cucite insieme danno forma all’Abito più nobile, più puro, l’Abito del Risveglio che veste il nostro Zazen.
Così quando Pratichiamo Zazen, in una pratica di riconciliazione, ricuciamo con l’oro della consapevolezza e della compassione tutte le incrinature, le fragilità che riconosciamo in noi e negli altri e ne facciamo l’opera d’arte della vita che tutto abbraccia e nulla esclude.
In questi giorni vedendo la fragilità e le paure degli altri, riconoscendo che sono le nostre stesse fragilità e paure, le accogliamo e questo ci fa sentire più uniti e possiamo prenderci cura degli altri come una madre o un padre si prendono cura del loro bambino.
Il mio augurio dunque è che vi prendiate cura di voi e gli uni degli altri, anche di chi incontrate per strada sul vostro cammino, perché state incontrando vostro fratello.




Versione Francese 

 Il y avait dans la province de Gangwon, un monastère zen perdu dans la campagne et ou des moines vivaient une vie paisible i l'écart du monde. Tous les jours, le moine cuisiner prenait sa canne de bambou au bout de laquelle étaient accroches deux seaux, une à l'extrémité droite et l'autre a gauche, et il partait jusqu'à la riviere pour chercher de l'eau. Il marchait trois heures durant, puisait l'eau pour le monastère et marchait de nouveau trois heures durant pour revenir. Un de ses grands seaux était très très agé. Il était vieux, felé, troué, son bois avait été mangé par le temps. Le second seau, lui, est tout neuf.
Or, un après-midi, alors que le moine se reposait sous lauvent du temple, il entendit le vieux seau se plaindre:
Je suis vieux, fragile, felé, je ne sers à rien ou, tout du moins, a pas grand-chose. Toi, dit-il en regardant le seau tout neuf, quand nous rentrons au monastère, tu es plein d'eau, à ras bord. Alors que moi avec mes telures, mes fuites, mes trous. J'arrive au mieux à moitié plein. Sans doute ne suis-je que deception pour les moines, bientôt ils se débarrasseront de moi
En entendant ces paroles, le moine fut pris de compassinon. Il prit alors le vieux seau et fit le chemin vers la riviere avec lui. En marchant, il lui dit: “Tu vois le côté opposé du sentier, celui que l'on emprunte lorsque l'on revient de la rivière, celui qui au retour de la rivière est de ton coté, celui sur lequel tu perds plus de la moitié de ton cau, où tu fuis, par ta fragilité. Regarde bien: c'est le côté du chemin qui est fleuri.
Et le seau se mit alors à aimer ses fragilités et à en être heureux.
Tu n'imagines pas à quel point tes fragilités peuvent étre pleines de lumière, pleines de floraisons. Ne cherche aucune vérité.
Deviens juste pleinement ce que tu es.

Extrait du livre «Boire la lune et chevaucher les nuages»



Commenter par Taigō Sensei:

Je veux partager un mot sur les paroles de Federico Dainin Sensei que je viens de lire. 
En ces jours difficiles, dans la difficulté comme en ces jours, nos fragilités, peurs, faiblesses sont encore plus évidentes. Nous les voyons en autrui aussi, elles sont évidentes comme dans un miroir. Nous nous voyons, et nous savons notre fragilité. 
Pourtant en Zazen nous observons nous prenons conscience de tout ce que nous sommes, tels que nous sommes et nous apprenons à accueillir et à accepter, y compris nos faiblesses, peur et fragilités. C'est comme réparer une tasse brisée faisant couler une pate d'or pour rassembler les morceaux brisés. C'est comme quand nous cousons notre habit de moine: nous rassemblons et nous nous revetons de ce que nous avons rassemblé. 
Méditer c'est cela: accueillir et embrasser tout de nous, remplissant d'or nos fractures, les nôtres et celles d'autrui. 
Mon voeu est qu'en ces jours difficiles, nous pussions cueillir l'occasion, comme ne méditant, d'accueillir nos fragilités et celles d'autrui, et réalisant nos fragilités, nous tenir encore plus proches les uns des autres, prenons soin de nous les uns les autres comme un père une mère le font avec leur enfant. Prenez soin de vous et de celui que vous rencontrez.

© Tora Kan Dōjō

















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