domenica 22 marzo 2020

Diventare come il vasto cielo



Un Maestro tibetano disegnò un giorno per i suoi studenti, sul bianco di una lavagna, il segno stilizzato di un piccolo uccello e chiese: «Cos’è?» Nacquero tante diverse risposte. Tutte decifravano il piccolo segno. In molti risposero: «Un uccello». E il Maestro, continuando a scuotere sorridendo la testa, rispose: «È un cielo vasto e in questo momento sta passando un uccello». Siamo cieli vasti e restare connessi alla vastità ci permette di vedere i fenomeni che ci attraversano, di riconoscerli, sentirli e guardarli svanire. E se c’è malinconia, nostalgia, disperazione nel vederli spuntare o nel vederli scomparire, sono altrettanti uccelli, uccelli disperati, malinconici, struggenti, e guardiamo anche loro, li sentiamo, li lasciamo sostare tutto il tempo che vogliono e poi li guardiamo volare via quando il loro tempo è venuto. Non è facile, si tratta di spiazzarsi, non essere più un centro, ma una grande periferia sconfinata, e veder sorgere e tramontare i fenomeni e accorgerci dell’amorevole sfondo che rimane e che non è di nessuno.


tratto da: Candiani, Chandra Livia
Il silenzio è cosa viva: L'arte della meditazione. Einaudi.




© Tora Kan Dōjō

















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