martedì 7 marzo 2017

L'Arte di Insegnare - Commento al Tai Taikō Gogejari Ho di Dōgen Zenji (seconda parte)

Una statua di Dōgen Zenji - Kouan Temple
Pubblichiamo la seconda parte della trascrizione di alcune lezioni tenute nel Dōjō Zen da Sensei Paolo Taigō Spongia a commento del Tai Taikō di Dōgen Zenji. La prima parte è stata pubblicata il 25 novembre 2016 :
http://iogkfitalia.blogspot.it/2016/11/commento-al-tai-taiko-gogejari-ho-di.html
Le lezioni hanno un carattere colloquiale di cui tener conto durante la lettura.
Pubblicheremo a breve anche la terza ed ultima parte.




Il Tai Taikō invita a fare attenzione ai dettagli: al modo in cui si entra in una stanza, come ci si muove nel Dōjō percorrendo le linee tracciate da una millenaria tradizione. E’ un linguaggio che parla profondamente al nostro inconscio e ce ne rendiamo conto, ne percepiamo la potenza, solo quando lo viviamo.

Quando facevo il Jikidō, nel Dōjō del Monastero Zen dove mi sono formato, quando passavo nei pressi del seggio del Maestro e di altri monaci seduti in Zazen percepivo sulla pelle che dovevo tenere una distanza, si attivava un istinto animale.

Il percepire la presenza e l’energia di una persona ti impone una distanza.

Per gli animali dalla loro vigilanza dipende la loro sopravvivenza e difficilmente hanno un comportamento trascurato, disattento. Io vedo tante volte, quando fate kin hin, che qualcuno arriva quasi a camminare sulle gambe di chi è seduto, oppure incombe su chi lo precede non rispettando la debita distanza, c’è gente che ha perso la sensibilità per comprendere il valore e significato della distanza, però magari si riempie la bocca di teorie sul rispetto, sulla compassione… ma cos’è il rispetto se non la capacità innanzitutto di percepire il tempo e lo spazio nella relazione? Come si fa a non percepire che se ‘incombi’ su di una persona gli stai mancando, in maniera aggressiva ed ottusa, di rispetto? Che stai insidiando la sua libertà?
Oggi siamo talmente anestetizzati da aver perso la capacità di percepire queste norme naturali di comportamento, per gli animali sono ovvie e determinano la loro sopravvivenza e non sarebbe male se anche l’uomo si ritrovasse di tanto in tanto a rischiare la vita a seconda di come muove un passo, forse questo lo rieducherebbe alla presenza e alla sensibilità.
Si entra nel Dōjō passando non per il centro della soglia ma da un lato, significa manifestare concretamente, senza intermediazione del pensiero, il proprio rispetto e la propria delicatezza nei confronti del Maestro e di tutti quelli che in quel momento praticano nel Dōjō.
Se ad esempio un insegnante sta seduto non gli si arriva mai camminando da davanti, semmai ci si avvicina camminando in seiza (come nello shikkō dell’Aikido) oppure con dei passi laterali, entrando di lato e poi accosciandosi; è un modo delicato e raffinato, un gesto di profonda educazione e questi modi noi li possiamo utilizzare in tanti momenti della vita quotidiana… quando ti avvicini ad una persona, quando cominci un discorso, anche con le parole infatti si può fare quel gesto di entrare piano nel discorso, senza aggressività, senza incombere sullo spirito del nostro interlocutore.
Sono tutte cose apparentemente molto semplici ma che insegnano una profonda filosofia di vita, lo Zen andrebbe studiato anche solo per questo. Questo è illuminante! Già se la pratica Zen insegnasse a noi, alle persone che frequentano il dōjō, a rivitalizzare la naturale sensibilità nella relazione con gli altri, con le cose, con tutte le esistenze animate ed inanimate sarebbe già una rivoluzione, una conquista eccezionale.
E c’è sempre chi obietta: ‘ma gli altri non lo fanno, non hanno questa sensibilità’ ed io rispondo bruscamente : ‘comincia a farlo tu!’. Le tue maniere influenzano quelle degli altri, perché se tu sei attento, presente, spesso anche la persona più rozza coglie questa cosa e, in qualche modo, anche il suo atteggiamento cambia.
Il Tokonoma, sul lato d’onore della stanza, non ha in genere molte decorazioni. Vi è esposta di solito una calligrafia, al massimo una mensola bassa con un fiore o un ikebana, non c’è altro. E’ molto semplice, molto sobrio ed elegante.
Quest’altra esortazione del Tai Taikō è molto importante: ‘una lieve decorazione non deve attirare troppo lo sguardo proprio come il comportamento in genere.’ E questo ci dovrebbe interrogare su come ci comportiamo solitamente in tante situazioni. Quanto è diffuso un atteggiamento molto rozzo, quello di voler necessariamente dire: “ Eccomi! sono qua, sono così importante!”
Taisen Deshimaru
Riguardo a questo una cosa che mi colpì profondamente nei primi tempi della relazione col mio primo Maestro Zen. Prestava grandissima attenzione quando ti parlava, il suo sguardo ti attraversava, però era anche capace di passarti accanto come se tu fossi un fantasma, come se non ti avesse visto, anche quando magari ti rivedeva dopo un mese. E tu eri lì che dicevi a te stesso: “non mi vede da un mese, mi saluterà…” invece no, lui era preso dal suo lavoro (t’aveva visto benissimo, sapeva benissimo quando eri arrivato, tutto quello che avevi fatto), e ti stava insegnando che non sei poi così importante come credi di essere, di certo non più importante di quel pezzo di legno da tagliare ben diritto.
Non essendo poi io ancora educato ai modi del Tempio, non sapevo che c’è un modo di presentarti di fronte ad un Maestro e se io ancora non ero in grado di comprenderlo era meglio per lui ignorarmi piuttosto che redarguirmi, perché magari non ero ancora in grado di capire. Per esempio una volta mi sgridò perché lo salutai mentre io ero sul pianerottolo e lui in fondo alla scala. Non si saluta mai un Maestro mentre tu sei in una posizione più elevata, in quel caso meglio continuare a fare le tue cose, ignorandolo. E’ una delicatezza.
E sono delicatezze e strategie relazionali ed educative che un vero insegnante deve padroneggiare.
Adesso con la mia esperienza trentennale d’insegnamento tante volte mi capita di far finta di non vedere alcuni errori di allievi e di non correggerli, perché capisco che in quel momento se io correggo quella persona, e non intendo solo principianti, la faccio irrigidire, il mio sguardo la può far irrigidire.
Ho visto l’errore e sarebbe facile correggerlo. Ma il mio compito di insegnante non è solo correggere errori, fare la maestrina con la penna rossa, ma è quello di portare gli allievi pian piano ad acquisire quella sensibilità e capacità di cogliere i propri errori e di accettare e comprendere la correzione, perché arriva al momento giusto.
Anche perché se un allievo non ha sete di apprendere e correggersi puoi offrirgli tutte le correzioni e spiegazioni che vuoi ma non avrà alcuna efficacia.
Questa è una strategia pedagogica per la quale ho una mia personale sensibilità e che vedo molto carente in altri insegnanti, anche con una discreta esperienza, in genere subito pronti ad offrire lunghe spiegazioni, atte più ad esibire sé stessi che ad offrire un sostegno all’allievo.
Uno degli errori che in genere fa un insegnante alle prime armi (e spesso purtroppo anche insegnanti ormai attempati) è quello di esibire sé stesso, l’opposto di quello che serve agli allievi. Proporre durante le lezioni quello che lo diverte di più, o in cui è più ferrato, ostentare la sua conoscenza con lunghe spiegazioni quando non ce ne sarebbe bisogno, perché non è il momento opportuno, l’allievo non ha ancora acquisito gli strumenti per comprendere tali spiegazioni. La risposta non deve mai andare oltre la qualità di una domanda.
Cerco di instillare questa sensibilità nei miei allievi che si muovono nella prospettiva di diventare degli insegnanti a loro volta.
Qualcuno sentendo queste parole potrebbe pensare che siano esagerate, però in realtà tutta l’educazione Zen si fonda su questo, e questa raffinata, essenziale educazione permette un certo tipo di sviluppo, di crescita, di maturazione.
All’inizio è dura perché ci sono tante regole, e ti sembra di camminare in un campo minato, ma questo amplifica la tua percezione, potenzia la tua concentrazione e sensibilità e infine ti accorgi effettivamente quanto siano potenti queste piccole delicatezze, queste attenzioni nei confronti di un insegnante, dei compagni di pratica, di un oggetto che stai maneggiando…
Ormai noi viviamo, anche le relazioni familiari, in una grande distrazione, noncuranza, sciatteria, soprattutto quando poi le relazioni sono acquisite (naturalmente queste esortazioni valgono anche per il sottoscritto).
Quando esci con la fidanzata la prima volta dimostri il meglio di te, hai tante attenzioni, poi, una volta che il rapporto è consolidato, si dimenticano questi piccoli gesti, queste delicatezze, questa cura, questo modo di parlare, di essere interessati all’altro. Diamo tutto per scontato, pensiamo di aver capito tutto. E’ l’inizio della fine, la morte di una relazione. Ci sono quelli che hanno il coraggio di capire che è finita, che la loro distrazione ha ucciso la relazione e quelli che portano avanti relazioni così tutta la vita.
Sono le piccole cose, i gesti quotidiani che fanno la differenza.
Offrire qualcosa di cui l’altro ha bisogno al momento giusto, prima che te la chieda è qualcosa di potentissimo ed è alla base dell’educazione che un Maestro Zen impartisce ai suoi più diretti discepoli. Ti fa comprendere il cuore di una persona, quanto sia attenta nella relazione. In Giappone si ricerca molto questo e nello Zen è fondamentale, soprattutto nella relazione con un Maestro. Perché in genere il modo migliore per apprendere lo spirito di un Maestro, per ricevere la sua trasmissione di conoscenza e sapienza è fargli da attendente, che vuol dire disponibilità totale in modo da stargli vicino il più possibile e penetrarne profondamente il carattere.
Una cosa impensabile per un occidentale allevato a base di rivendicazioni sindacali.
Mi ricordo che una volta invitai il mio Maestro a Roma a tenere una conferenza. Pioveva e quando uscimmo mi fu naturale aprire l’ombrello e proteggerlo dalla pioggia rimanendo io esposto. E mi ricordo ci furono persone, tra le quali un maestro di karate che quindi dovrebbe avere questa cultura, che dissero: ‘eh però è dimostrazione di arroganza, permettere a qualcuno di tenerti l’ombrello …’. Io risposi: ‘Ma tu per tuo padre non l’avresti fatto?’
A me sembra normale, non c’è niente di scandaloso. Un Maestro è come un padre, forse anche di più, quindi qual è il problema? Eppure c’è gente che si scandalizza di questo a causa della loro idea malata di democrazia, di uguaglianza.
Io ed il mio Maestro non siamo uguali, e da questa differenza e disparità nasce tutta la ricchezza della nostra relazione. Non mi sento da meno ma non mi sento uguale, e gli devo tutto il rispetto e fiducia che mi è possibile perché da quel rispetto e fiducia nasce tutto il resto .
E invece c’è questa mentalità diffusa di mal compresa democrazia e finché si ragiona in questi termini come si può pensare di comprendere la relazione con un insegnante o la pratica stessa? Sarai sempre portato a pensare: ‘e chi è quello che  pretende da me queste cose?’ e a dettare le tue condizioni. Ma non è lui che lo pretende, è piuttosto il tuo modo di esprimere gratitudine, la tua predisposizione ad accogliere quello che può arrivare da lui, che lui ne sia consapevole o meno.
Nell’insegnamento, scolastico, universitario, tanto più in un insegnamento di questo genere, ci deve essere una situazione di disparità perché possa passare qualcosa. E invece no, è diventato scandaloso per la mentalità sessantottina che abbiamo ereditato e che ha generato fenomeni umani imbarazzanti. Un insegnante deve sapersi porre su di un ‘piano rialzato’ rispetto all’allievo, assumersene il rischio e la responsabilità,  perché lui non parla per sé ma sta facendo passare qualcosa attraverso di sé e deve creare tutti i presupposti perché questa misteriosa e irripetibile alchimia abbia luogo. E non si tratta di arroganza ma senso di grande responsabilità.
‘Quando indosserete questo Abito (il Kesa) e vi disporrete a parlare del Dharma, vi manderò auditori e le mie parole passeranno attraverso di voi’ così insegnava il Buddha ai suoi discepoli. L’ho sperimentato mille volte nella mia vita.
Senza la capacità di mettere da parte sé stessi, il proprio orgoglio ed egoismo non può esistere nessuna vera relazione maestro-discepolo né, a mio parere, nessuna autentica relazione in generale.

Fine seconda parte




lunedì 6 marzo 2017

Schegge Budo e Zen - 6 marzo 2017










"Fin troppo spesso viviamo aggrappati a qualche meta futura senza pensare al nostro orientamento presente, o all'orientamento complessivo della nostra vita. Quando smettiamo di proiettare nel futuro mete e speranze, e ci rifiutiamo di lasciarci guidare da loro, pur sforzandoci di purificare la nostra vita, scopriamo una pratica viva e dinamica."

Uchiyama Roshi,
Istruzioni a un cuoco Zen



"Nel karate non si inizia con un attacco. Ogni kata inizia con un movimento di difesa, che ne incarna lo spirito. Non solo non si inizia con un attacco, ma per di più la miglior difesa è evitare il combattimento. Per questo si dice che il karate è la pratica di un uomo saggio."


Morio Higaonna Sensei,
Traditional Karate-dō, Vol.2





"Come la bontà d'una spada viene provata pienamente solo in battaglia, così la tempra interiore del
bushi soltanto nelle difficoltà e nei frangenti in cui i più restano atterriti e sconvolti mostra le sue reali possibilità."

Mario Polia,
L'etica del bushidō



"Quando riusciamo a vivere al di là dei nostri calcoli, delle nostre paure, del nostro piccolo io, allora, inconsciamente percepiamo il respiro della vita, il suo fluire, dentro e fuori di noi, e questa è una rivelazione, un risveglio, un satori. Così di risveglio in risveglio la nostra vita diviene piena e compiuta."


P. Taigō Spongia Sensei







"Lo Zen è 'l'arte del relazionarsi'... con le persone, le cose, le situazioni, lo spazio e il tempo... Praticando non può non cambiare il nostro modo di relazionarci al mondo."

Alessandro della Ventura











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lunedì 27 febbraio 2017

Schegge Budo e Zen - 27 febbraio 2017






"Il bene si fa in silenzio. Tutto il resto è palcoscenico..."

Detto Zen



“Generalmente si pensa che una foglia sia nata a primavera, ma Gautama vide che esisteva già da tanto, tanto tempo nella luce del sole, nelle nuvole, nell’albero, in se stesso. Comprendendo che quella foglia non era mai nata, comprese che anche lui non era mai nato.
Entrambi, la foglia e lui stesso, si erano semplicemente manifestati. Poiché non erano mai nati, non potevano morire. Questa visione profonda dissolse le idee di nascita e morte, di comparsa e scomparsa; e il vero volto della foglia assieme al suo stesso volto, divennero manifesti. Vide che è l’esistenza di ciascun fenomeno a rendere possibile l’esistenza di tutti gli altri fenomeni. L’uno contiene il tutto, e il tutto è contenuto nell’uno. La foglia e il suo corpo erano una cosa sola. Nessuno dei due possedeva un sé permanente e separato, nessuno dei due poteva esistere indipendentemente dal resto dell’universo…”

Thich Nhat Hanh





"Paradossalmente, l'uomo che ha fallito e quello che è all'apice del successo sono nella stessa situazione. Ognuno deve prendere una decisione su cosa fare dopo."

Jigoro Kano Sensei



"Durante Zazen tornano alla mente parole non dette, quando andavano dette, cose non fatte quando andavano fatte.
Così noi conduciamo la nostra vita. Sempre, o quasi, fuori tempo.
Lo Zazen ci insegna ad essere lì, sempre, senza rammarico e senza aspettativa, offrendoci ad ogni istante con tutto noi stessi e a non trattenere né respingere quel che incontriamo."

P. Taigō Spongia Sensei



Lungo il viale
profumo di resina.
Tracce di vita.

Alessandro della Ventura













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lunedì 20 febbraio 2017

Schegge Budo e Zen - 20 febbraio 2017




"Yoshida Yenko scrisse: 'Voi vedete i fiori soltanto quando sono all'apice della loro fioritura, e la luna soltanto quando è piena.' Lo trovo molto interessante. Significa che dovremmo ammirare anche i germogli, i petali che cadono portati via dal vento e anche i rami spogli d'inverno. Possiamo imparare ad apprezzare la luna quando è velata dalle nuvole. quando è luna nuova o calante. Ovvero, possiamo imparare ad accettare l'impermanenza della vita senza escludere nulla- le gioie, i dolori, i successi e i fallimenti- e ad amare qualsiasi cosa la vita ci offra."

Shundo Aoyama Roshi




"La sensibilità verso il dolore altrui è la radice della benevolenza [...]. La benevolenza (jin) vince con la propria potenza ogni cosa che le si opponga. Come l'acqua prevale sul fuoco. Solo coloro che tentano di spegnere una catasta di legna in fiamme con una piccola tazza d'acqua dubitano di poter aver ragione del fuoco con l'acqua."

Mencio



"L'Arte della Pace si basa sul principio della non resistenza. Dal momento che non resiste, è vincente fin dall'inizio. Quelli con intenzioni malevole o pensieri controversi sono sconfitti.
L'Arte della Pace è invincibile perchè non combatte contro nulla."

Morihei Ueshiba Sensei


Morihei Ueshiba Sensei


"A volte la strada della pratica, quella vera, può essere una strada arida e fredda, dove anche le migliori compagnie sono di troppo. Poi, incidentalmente, si incontrano dei buoni compagni, dei buoni amici, ma solo chi sa apprezzare la solitudine trova veramente compagnia."

P. Taigō Spongia Sensei





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venerdì 17 febbraio 2017

La condivisione di un sogno. (Kangeiko 2017)

Si è concluso oggi presso il Tora Kan Dōjō il Kangeiko 2017. Una settimana di pratica condivisa nei giorni che dovrebbero essere i più freddi dell'anno, di mattina presto con le finestre aperte (o all'aperto) per accogliere il freddo dell'inverno. Riceviamo il ringraziamento di Emilio, uno dei partecipanti.

Non è che la follia sia meno folle se viene condivisa. Potrebbe sembrare che un azione perda del suo valore eccentrico se a compierla non è un pazzo isolato ma piuttosto una schiera di pazzi.
E potrebbe anche risultare più confortevole sapere di non essere soli nel cammino. E realizzare che quanto abbiamo creato con la nostra sana follia si concretizza anche per altri e che il sogno acquisisce peso e sostanza perché respirato e incarnato anche da altri compagni di viaggio.
Ma il gesto folle rimane comunque azione straordinaria, senza appigli, senza sicurezze, aperta ad ogni esito.
Ora non è che il Kangeiko di per se sia questa grande azione folle, alla fine si tratta di cinque giorni di pratica con orari sballati che ci costringe a fare pace e ad accettare quello che la temperatura esterna ci offre, che ci scuote dalle abitudini confortanti della vita quotidiana, che ci crea qualche fastidio nella simpatica routine che ci siamo apparecchiati, ciascuno a proprio modo. Ma è comunque l'espressione di un sogno. Risvegliati prima dell'alba, immersi nel sogno.
Sogno appassionato, immaginare una vita dedicata alla pratica e alla creazione di un Dojo, luogo di ritrovo e illuminazione per generazioni di viandanti, che sedimenta una serie di buone abitudini che lasciano il segno nella vita di molte persone. Lascia un eredità tangibile, lascia le solide mura di un Dojo, che è la casa, o la via, di quelli che quel sogno vivificano, ognuno a proprio modo. Persone molto diverse l'una dall’altra, che probabilmente non si sarebbero neanche mai incontrate altrove. Sogno che si fa sudore, sveglie all’alba, vesti imbrattate di sabbia o sporcate del verde dei prati. Il Dojo che vive fuori dal Dojo, che ce lo portiamo a spasso in vacanza, a casa nei giorni felici, e soprattutto in quelli difficili. Bussola e timone di un cammino impegnativo e gratificante.
Il Sogno di un pazzo, che si fa vivere da altri pazzi “tutti insieme, insieme a Tutto in cammino sulla Grande Via”. Per questo oggi, ultimo giorno di Kangeiko, mi sento di dover ringraziare dal profondo del cuore la sana follia di un ragazzo che qualche annetto fa decise di intraprendere il primo passo, al quale ha aggiunto mille altri passi (e mille altri pugni) con incredibile e magnifica costanza.  Grazie giovane Sensei!


lunedì 13 febbraio 2017

Schegge Budo e Zen - 13 febbraio 2017



"[...] shin, lo spirito, va considerato l'elemento decisivo. Poi vengono la tecnica e il corpo. Negli sport, soprattutto in Occidente, viene sviluppata principalmente la forza del corpo...
L'allenamento non deve tendere unicamente allo sviluppo del corpo. Evidentemente nelle moderne competizioni non si lotta per la vita o per la morte, ma per un punteggio: dunque, la forza del corpo e la tecnica possono bastare. Ma nei tempi antichi la posta in gioco era la vita: allora l'intuizione era decisiva, in ultima istanza.
Si dovrebbe ritrovare questo spirito: comportarsi sempre come se la vita stessa fosse in gioco, anche quando si combatte con una spada di legno. Le arti marziali, allora, ritroverebbero il loro vero senso: la pratica della Via."

Taisen Deshimaru Roshi, Lo Zen e le arti marziali



"Il fiore chiama la farfalla spontaneamente,
la farfalla si posa sul fiore spontaneamente.
Quando il fiore si apre viene la farfalla;
quando viene la farfalla il fiore si apre.
Io non so niente degli altri;
gli altri non sanno niente di me.
Senza conoscerla, seguiamo tutti la Via."

Daigu Ryōkan




"Senza dubbio, le cose andrebbero fatte in un certo modo; eppure tutti i modi vanno bene. Non c'è una regola fissa da seguire, dovremmo agire nel migliore modo possibile per ciascuna situazione."

Kōdō Sawaki Roshi



"Uno degli obiettivi primari del nostro esercizio è quello di rivitalizzare i nostri istinti primordiali.
Oggi, per lo più, gli uomini e le donne sono anestetizzati.
Incapaci di percepire con il corpo le perturbazioni dell'ambiente.
Abitano un corpo che non sente, che non risponde...
Riscoprire il pensiero del corpo, rivitalizzare la nostra natura animale.
Ascoltare la profonda saggezza dell'istinto.
Ritornare ad ascoltare la voce delle cose che ci indica chiaramente la direzione da seguire."

P. Taigō Spongia Sensei



"Solo attraverso le regole possiamo educarci e per questo è fondamentale accogliere gli insegnamenti di tutti e in particolar modo quelli di un Maestro, di un Taiko/Senpai... Lo Zen è autentica libertà, in primo luogo dai propri condizionamenti, dal proprio ego, ma spesso viene interpretata come anarchia... Praticare Zazen è la pratica di un Buddha, dell'Uomo in armonia con l'Universo intero, non certo di un individuo separato e isolato dal resto; per questo la pratica non può prescindere da una 'forma' in sintonia con il Dhamma, con l'Ordine cosmico..."

Alessandro della Ventura 






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domenica 12 febbraio 2017

Kangeiko 2017

Domani, Lunedì 13 Febbraio, inizieremo il Kangeiko 2017.
Per una settimana tutte le mattine dalle 6 alle 7 alla temperatura che la natura ci offrirà.
Non si tratta solo di 'temprarsi' nel freddo.
Si tratta di accogliere e farsi accogliere dagli elementi della natura.
Si tratta di offrirsi.
Il nostro esercizio silenzioso, proprio come lo Zazen, o il canto di un Sutra, sarà offerto a beneficio di tutte le esistenze.
Sono quasi vent'anni che ogni anno guido il Kangeiko al Tora Kan Dojo, mai mancata una sola sessione di pratica, sono felice di avere, ancora una volta quest'anno, la possibilità di ascoltare la sinfonia del fruscio dei karategi, del respiro dei partecipanti e del calore dei loro cuori uniti nella pratica.

Paolo Taigō Spongia


giovedì 9 febbraio 2017

Zen: la Via alla semplicità - Zen: the Way to simplicity (ITA - ENG)

"Lo Zen non è così popolare come molti altri complicati e 'antichi' insegnamenti.
Perchè?
Perchè lo Zen non ha nulla da offrire.
E' proprio così com'è, pervade tutto ed è vuoto.
Lo Zen dice 'taci e siedi' e qui inizia la tua pratica...
Tante persone vogliono cercare ma non vogliono trovare.
Lo Zen è molto semplice da spiegare eppure è troppo sottile da esprimere a parole.
Un maestro Zen disse: 'Mille libri non sono abbastanza e una parola è troppo'.
Lo Zen è pratica.
Una pratica sincera è scevra da ogni elemento esotico.
E' insita una bellezza profonda ma per notarla devi lasciar cadere ogni idea, riconoscere la tua ignoranza e sedere...
Alle persone piace parlare dei propri conseguimenti e nello zen non hai nulla di cui parlare.
Viene a te come chiarezza, comprensione... lo Zen dice siedi e guarda..
Non ti dà dei compagni.
Tu sei impaurito.
Devi sedere solo.
In molti altri insegnamenti ti danno un'intera schiera di intattenimenti: energie, chakra, demoni, angeli, dei, mandala, simboli, storie riguardo cosa dovresti vedere e dove andare.
Non sono così solitarie...
Nello Zen siedi con te stesso.
Devi guardare in faccia te stesso.
Devi vedere te stesso forse per la prima volta e per molti di noi è un'esperienza spaventosa.
Lo Zen è per coloro che arrivano a comprendere che la sincerità e la semplicità sono la via autentica per qualsiasi cosa possiamo incontrare al di là del regno delle parole..."

Fugan Genkaku



ENGLISH VERSION

"Zen is not as popular as many other complicated 'ancient' teachings.
Why?
Zen has nothing to offer.
It is as it is, all pervading and empty.
Zen says shut up and sit down and that is when your seeking begins...
So many people want to seek but they do not want to find.
Zen is too simple to explain and yet it is too subtle to put it in words.
One zen master said: 'Thousand books are not enough and one word is too much'.
Zen is practice.
Pure honest practice devoid of nearly all exotic elements.
There is a rare beauty in it but to notice it you have to drop all ideas, recognize your ignorance and sit down...
People like to talk about their achievements and in zen you have nothing to talk about.
It comes to you as clarity, as understanding... Zen says sit down and watch.
It does not give you companions.
You scared.
You have to sit alone.
In many other teachings they give you the whole crowd to entertain you: energy, chakras, demons, angels, gods, mandalas, symbols, tales about what you should see and where to go.
It is not so lonely...
In Zen you sit on your own.
You have to face yourself.
You have to see yourself maybe for the first time and for many of us it is frightening experience.
Zen is for those who come to realize that honesty and simplicity is the true road to whatever we may encounter beyond the realm of words... "

Fugan Genkaku








© Tora Kan Dōjō






lunedì 6 febbraio 2017

Schegge Budo e Zen - 6 febbraio 2017



"Con ogni pensiero tentare di conoscere i propri difetti e correggersi per tutta la vita: questa è la Via."

Yamamoto Tsunetomo, Hagakure



"I pesci nuotano nell’acqua e per quanto a lungo nuotino, non c’è fine all’acqua.
Gli uccelli volano in cielo e per quanto volino, non c’è fine al cielo. Eppure i pesci non lasciano mai l’acqua, gli uccelli non abbandonano mai il cielo.
Quando il loro bisogno è grande, c’è grande attività.
quando il bisogno è piccolo, c’è piccola attività.
In questo modo mai nessuno mancherà d’impiegare sè stesso pienamente, e in nessun posto mai ci sarà mancanza alcuna di muoversi e girare liberamente.
Se un uccello lascia il cielo, presto morirà.
Se un pesce lascia l’acqua, presto morirà."

Dōgen Zenji, Shōbōgenzō - Genjo Koan





"In Giappone quando si vuole esprimere un augurio a qualcuno che deve affrontare una prova si usa dire:
' 頑張ってください!'
Ganbatte Kudasai, Fai del tuo meglio!
La buona o cattiva fortuna deriva in buona parte dall'aver fatto o meno del proprio meglio.
Abbiamo fatto del nostro meglio?
Stiamo facendo del nostro meglio?
Se abbiamo fatto del nostro meglio e alla fine ci coglie la morte o la disgrazia, non sarà un grosso problema, o meglio, l'accoglieremo con serenità.
Nell'esercizio del Randori nell'Arte Marziale questo diventa molto evidente.
Randori non significa combattere per vincere, ma combattere per mettere alla prova le proprie capacità, la propria condizione fisica, tecnica e psicologica, combattere per esprimersi al proprio meglio nelle situazioni più diverse, universali, non solo nel Dōjō.
Poi il risultato può essere qualunque, poco importa: anche se voi 'vincete' non siete migliori di uno che ha 'perso' combattendo con sincerità.
Dal punto di vista della crescita umana, della vostra maturazione, è assolutamente irrilevante una soddisfazione transitoria che viene dall'effimero successo dato dalla superiorità su qualcun'altro. Quello che conta e che arreca la vera profonda soddisfazione è il modo, lo spirito con cui vi cimentate, quello che vi fa essere consapevoli di aver dato il vostro massimo, fatto del vostro meglio, per cui non avete più nessun debito, avete restituito tutto quel che vi è stato offerto.
A quel punto potreste anche morire e sareste comunque soddisfatti.
Questa è la profonda differenza educativa tra l'Arte Marziale e lo sport."

P. Taigō Spongia Sensei



"Il suono tondo sorge laggiù e vuoto tramonta per sempre qui col mio respiro.
Inspiro e sono cielo, espiro e sono pioggia nel vasto mare.
Dono, percezione, principio d'onda che ora si compie,
accarezza e bagna le mie umane radici;
Schiuma bianca o miraggio che mi trovò a danzare senza olfatto tra finti tulipani rossi.
Ma io respiro ancora,
e le onde sono così infinite."

Monica De Marchi















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