Così dovrebbe essere, questo si dovrebbe insegnare ai bambini nella scuola e nello sport... sapersi fermare per essere al fianco di qualcun altro, per arrivare insieme, fare a gara a chi è più veloce a portare aiuto. Questa è l'unica cosa che valga davvero la pena insegnare per costruire uomini degni di essere chiamati tali.
Che senso ha essere i 'primi' se questo primato non
torna a beneficio di tutti ?
Lo sport inteso come in questa storia lo intendono l’istruttore e il padre di
Marco (e rappresentano la maggioranza degli istruttori e dei genitori…) non
insegna nulla e genera mostri...
La Pandemia ha dimostrato che nemmeno chi ci governa sa quale sia il vero
valore e significato dello sport.
Davvero vogliamo che lo sport invece di essere un potente strumento di sana
formazione ed educazione continui ad essere la ricerca di una egoistica performance
riservata a pochi e non un prezioso tesoro per tutti?
Taigō Kōnin Sensei
"A volte la bellezza delle cose ama
sorprenderti"
di Antonio Musa
Questa è una storia decisamente fuori dalle mie corde
ma ho deciso di fare uno sforzo e raccontarla lo stesso. Qualche giorno fa
accompagno mio figlio Michele di nove anni in piscina, come sempre lo lascio
negli spogliatoi e vado sugli spalti con il mio Kindle a ritagliarmi un’oretta
di lettura tra i fischietti implacabili degli istruttori e il bel suono
dell’acqua nuotata dai bambini.
Ma ecco il mio amico G. in arrivo! Oh no! Mi ha visto
e si avvicina! Chiudo il Kindle e mi rassegno. Mi azzanna subito, spiegandomi
in pochi minuti come Renzi cambierà radicalmente le sorti dell’Italia e
dell’intero mondo occidentale, Stati Uniti compresi.
“Ok va bene, ma ora siediti che i bambini stanno
entrando in acqua”.
Per fortuna non se lo fa ripetere due volte ed
entrambi, con i gomiti poggiati sulla ringhiera, osserviamo i nostri bambini
scivolare in acqua e iniziare le vasche di riscaldamento.
Ecco arrivare Chiara, la mia preferita. Ci mette molto
ad arrivare Chiara con la sua camminata a scatti, asimmetrica, che ogni passo è
una conquista. Arriva da sola, senza carrozzella, senza aiuto di nessuno, con
la testa alta, ciondolante, e il sorriso più bello del mondo. Si ferma sempre
sul bordo vicino alla scaletta e prima di entrare saluta tutti i bambini. Il
nuoto è uno sport piuttosto autistico, non è uno sport di squadra e non è
nemmeno uno sport individuale che stimoli l’interazione con l’avversario o gli
altri praticanti. In realtà ogni nuotatore vive in solitudine il suo rapporto
intimo con l’acqua, così che spesso gli istruttori fanno una fatica immane per
ottenere un saluto dai bambini. Tuttavia, quando arriva Chiara e agita la sua
manina a bordo vasca, tutti i bambini si fermano e rispondono al saluto. Solo
allora lei entra in acqua e si dirige sorridente verso la terza corsia tra
quelli della sua età (tredici/quattordici anni). Durante il percorso attraversa
la prima e la seconda corsia, dove ci sono quelli più piccoli, come mio figlio,
e lo fa sorridendo e accarezzando il viso di ogni bambino che incontra.
L’entrata in acqua di Chiara non è solo un attestato
di riconoscimento di cui lei ha evidentemente bisogno ma è anche uno
straordinario evento di squadra, forte, condiviso, affettuoso, un lampo di
spensierata socialità, giusto un attimo prima che ognuno si dissolva,
risucchiato nelle accattivanti solitudini del nuoto.
Una volta raggiunta la corsia Chiara inizia a nuotare
con vigore senza fermarsi mai. È una meraviglia da vedere: nuota tutti e
quattro gli stili anche se nessuno stile somiglia minimamente a quelli
codificati. Lei li ha rielaborati adattandoli alle sue peculiari abilità
motorie, reinventando il nuoto, reinventando la bellezza di stare in acqua. Non
credo di aver mai visto tanta straripante felicità. Se le medaglie del nuoto si
conquistassero misurando il piacere di stare in acqua, Chiara meriterebbe di
diritto un posto nei blocchi di partenza al fianco di Phelps, Thorpe, Popov,
Sullivan e tutti i più grandi.
Marco, il figlio del mio amico G., ha dieci anni, la
natura e la frequentazione dell’acqua sin da tenera età gli hanno regalato un
corpo allungato con spalle larghe e fianchi strettissimi, un corpo adatto alla
velocità, e infatti lui è veloce e scivola nell’acqua con movimenti sapienti e
sinuosi. L’allenamento di oggi consiste in partenze a coppie dai blocchi e
scatti di 25 metri. Si parte in due per corsia così Marco, Claudio, Giacomo e
Riccardo che sono i più veloci danno vita ad avvincenti testa a testa giocati
su pochi centimetri. In realtà Claudio e Riccardo toccano quasi sempre per
primi anche se Marco è nettamente il più veloce di tutti. Il problema di Marco
è la partenza dai blocchi. Più che un problema è divenuto oramai un autentico
dramma. Il suo, più che un tuffo di partenza, è una rovinosa caduta in acqua,
che permette agli avversari di trovarsi subito con sei, sette metri di vantaggio,
un’infinità in una distanza di 25 metri. Marco però è talmente veloce che, una
volta in acqua, riesce a recuperare la distanza persa in partenza, toccando a
volte addirittura per primo, ma l’istruttore non si da pace considerando il
problema di Marco un suo fallimento didattico e, in preda a evidenti stati di
frustrazione, perde spesso il controllo e non riesce a far meglio che urlare
frasi del tipo: “Ma è mai possibile che tu non riesca a tirare fuori un tuffo
degno di questo nome?”. Marco è timido, ha lo sguardo impaurito e, sottoposto a
stress, s’incasina ancora di più, ogni tuffo è peggiore del precedente ma una
volta in acqua la sua nuotata è perfetta, elegante, potente. Però, più lui
nuota veloce, più l’istruttore si sente di avere tra le mani un campione da non
farsi sfuggire. Costui è in realtà un autentico coglione. Quando Marco è sul
blocco si avvicina urlando e mimando le varie sequenze del tuffo senza nemmeno
accorgersi che il bambino non lo ascolta più staccandosi continuamente gli
occhialini dal viso per far uscire le lacrime. Anche il padre, in piedi al mio
fianco, esprime il suo disappunto: “Eh, ma se questo bambino non si sveglia…”.
I coglioni sono purtroppo due, povero Marco!
Ad un certo punto, con la tensione a mille, accade che
Marco, a circa metà vasca, colpisce involontariamente Chiara che proveniva in
direzione contraria nell’altra corsia, sfilandole gli occhialini e la
calottina. Tutti e quattro i bambini in gara si fermano e l’allenatore,
stizzito più che mai, urla loro di tornare sui blocchi.
Il mio amico G., il padre di Marco, impreca: “Ma non è
possibile che i disabili nuotino insieme alle persone normali! Perché non la
mettono nella vaschetta come tutti gli altri handiccapati?”
Non gli rispondo nemmeno perché nel frattempo mi rendo
conto che Chiara, a mezza vasca, aggrappata alla corsia, è in grave difficoltà.
Cerca di infilarsi di nuovo la calottina e gli occhialini ma non ci riesce, è
troppo difficile, le sue possibilità motorie non prevedono questa operazione
apparentemente così semplice. S’incasina, è disperata ma nessuno se ne accorge.
Sul bordo c’è Marco, piegato in posizione di partenza
con i piedi e le mani aggrappati sul blocco. L’istruttore continua a
martellarlo con inutili e ossessive nozioni tecniche sul tuffo.
Chiara è sempre lì a ripetere una sequenza di
movimenti che non la portano a nessun risultato, ha gli occhi spaventati ed è
nel panico, ma nessuno se ne accorge.
I drammi paralleli di Marco e Chiara si stavano
consumando nel rumorio di una piscina piena di bambini e sotto gli occhi di
adulti incapaci di vedere e di capire.
Marco in posizione di “grab start”solleva
continuamente la testa mentre l’istruttore urla: “abbassa la testa! Tieni bassa
la testa! Marco non lo ascolta più, è visibilmente nervoso, poi improvvisamente
guarda l'istruttore e urla: “Muoviti! Dai il via! Fischia!”
L’istruttore sconsolato volta le spalle e fischia il
via. I bambini partono, ma questa volta è diverso. Marco si distende in aria
altissimo, spingendo con la punta dei piedini, con ogni suo muscoletto, per poi
ricongiungersi e bucare l’acqua lontanissimo, con tutto il corpo, potente,
elegante, disteso in una linea perfetta. Come d'incanto, dal niente
all'eccellenza: il tuffo perfetto! Una volta in acqua la subacquea è fluida e potente.
Riemerge quasi ai dieci metri con un vantaggio enorme, una bracciata, la
seconda, è già a mezza vasca. L’istruttore è lì a bocca aperta a scrutare il
cronometro ma Marco si ferma. Marco si ferma, si gira verso la terza corsia, ha
di fronte Chiara nel panico, la prende con delicatezza e sistema le sue braccia
sopra la corsia, bloccandole sul suo petto. Si ritrovano a guardarsi negli
occhi, a venti centimetri di distanza, praticamente abbracciati, con una corsia
che li separa e li tiene a galla. Marco accarezza il viso di Chiara, poi con
movimenti lenti e rilassati sistema la calottina e gli occhialini sul suo viso.
Si guardano ancora sorridendo e si accarezzano il viso vicendevolmente. Poi un
guizzo: Chiara riparte col suo bel sorriso e il suo strepitoso stile libero,
mentre Marco si gira verso l’istruttore, toglie gli occhialini e con sguardo
duro e voce ferma:
“Andava bene il tuffo?”
“Ehm… si Marco… era… ehm… praticamente perfetto…”
“Ok, allora vado a far la doccia che sono stanco”
Non arriva nemmeno alle scalette, esce dall’acqua con
un balzo e si dirige verso gli spogliatoi.
Mi giro verso il padre al mio fianco, è impietrito,
immobile, con lo sguardo fisso verso il figlio che si allontana con passo
lento.
Ripenso alla cosa terribile che aveva appena detto su
Chiara e gli do una pappina sulla nuca:
“Ehi, testa di minchia! Corri negli spogliatoi che
forse tuo figlio ha bisogno di un abbraccio!
Negli spogliatoi mi viene incontro Michi, sorridente e
felice perchè per la prima volta non è stato il più lento:
“Hai visto papà che bell’allenamento oggi?”
“Ho visto, amore mio, bellissimo davvero!
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