Un grande maestro Zen della dinastia Tang (618-907), Chao-chou, abitava in un tempio di nome Kannon-in. Per raggiungerlo, si doveva passare per forza su un ponte.
Una volta
un monaco domandò:“Com’è il ponte di Chao-chou?”.
Non voleva intendere come
fosse realmente il ponte che portava che portava al tempio, bensì conoscere il
suo insegnamento sulla pratica buddhista.
La risposta di Chao-chou fu:“Il ponte
fa passare sia asini che cavalli”.
Leggendo questo episodio, fui molto
sorpresa. Voleva dire che un ponte non fa distinzione tra amici e nemici, tra
santi e peccatori. (…)
Riflettendo su me
stessa, devo ammettere che scelgo le persone secondo il mio gusto, mediocre e
volubile. Faccio passare i cavalli, ma anche gli asini. Aiuto i miei amici,
poco i miei nemici. Non solo opero questa selezione, ma mi aspetto anche che la
gente mi ringrazi dicendo: “Il suo ponte è proprio utile. Grazie!”
In questo modo impongo
delle condizioni. Inoltre il mio ego tiene il broncio e borbotta se qualcuno
critica il mio ponte, o fa il dispetto di urinarvi sopra: in questi casi decido
di non aiutarlo a passare.
L’espressione “aiutare
sia gli asini che i cavalli” è diventata per me come un sutra.
Ricevendo
credenti e novizi, ho sempre recitato questo verso tra me e me. Ma un giorno mi
è venuto in mente all’improvviso: “Non basta essere un ponte. Devo diventare un
traghettatore!”
Chi vuole passare sul
ponte chiamato buddhismo sa, in modo consapevole o no, che l’altro mondo, di
Buddha, è meglio di questo mondo secolarizzato e illusorio e che per
raggiungerlo occorre oltrepassare questo ponte. Per informare però le persone
che soffrono senza conoscere l’altra sponda non è sufficiente essere un ponte
fermo: bisogna muoversi.
Questo è il ruolo del traghettatore. (…)
Noi monaci dobbiamo
buttar via l’abito religioso per stare sullo stesso piano degli altri: e così
piangere, soffrire, ridere con loro, essere coinvolti dalle loro stesse
situazioni.
Gradualmente le persone si accorgeranno così della vera Via e
saranno guidate in alto, verso il mondo di Buddha. Questa nostra pratica, che
esprime il voto e la disciplina dell’idea che Kannon, il Buddha della
compassione (ndr.: Avalokitesvara), salva tutti gli esseri umani, compresi gli
animali, ci fa aprire gli occhi del cuore.
Possiamo così comprendere che la
malattia, il fallimento oppure la separazione da qualcuno che amiamo, sono i
mezzi con cui Buddha ci fa capire che dobbiamo smetterla di soddisfare i nostri
desideri e risvegliarci alla verità della vita. Siamo avvolti dai piani di
Buddha solo per essere aiutati.
Quando ho capito
questo, mi sono accorta che la mia idea di diventare un ponte per condurre la
gente sull’altra sponda era presuntuosa.
Ho compreso dunque che, lungi
dall’essere ponte o traghettatore, sono io stessa, in realtà, ad essere sempre
aiutata a passare oltre.
Shundō
Tratto da: 'La voce del fiume'
Ed. San Paolo 1994
Ed. San Paolo 1994
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