fra i fiori il ciliegio
fra gli uomini il bushi
ad esprimere l'eccellenza e la nobiltà d'entrambi. Ma il detto
sottintende anche molte altre analogie, evidenti al cuore del giapponese, meno
evidenti all'occidentale. Per questo sarà bene soffermarci un poco sulle
caratteristiche di questo fiore e, soprattutto, sul messaggio che comunicava e
comunica ai figli del Sol Levante.
Per chi è spiritualmente desto, l'universo è
un simbolo ed ogni cosa parla il linguaggio dei simboli. Il
"significato" del cosmo è l'Assoluto in quanto l'Assoluto si è fatto
segno e significato (signum factum) nelle cose visibili.
Il ciliegio, in
Giappone, è il simbolo radioso della primavera che annuncia il ritorno alla
vita, il messaggero della vittoria del Sole. Gli alberi esultano nella loro
nuova fioritura. La potenza della terra si rivela come grazia, bellezza,
purezza e fragranza nello splendore del cielo. Ma il fiore di ciliegio, nella
sua bellezza, è quanto di più fragile ed effimero possa immaginarsi, tanto da
essere assunto a simbolo dell'impermanenza (mujò).
Il monaco Ippen, quando
qualcuno gli chiedeva di svelare la verità sulla vita e sulla morte soleva
dire: "Hana mi toe: chiedetelo ai fiori del ciliegio".
Allo stesso
modo, la potenza del bushi, prorompente dalle fonti profonde dello spirito e da
esse alimentata, non si rivela come peso brutale e travolgente ma con le
caratteristiche del fiore di sakura: la purezza e lo splendore, la leggerezza e
l'impermanenza. La fragranza del fiore, delicata ed evocatrice, divenne
allegoria dell'onore del bushi che profuma la primavera della sua vita e la sua
terra oltre il breve cerchio dell'esistenza. Oltre la morte. Nel cuore di
quanti ricorderanno le sue gesta e da esse trarranno linfa per nuove fioriture.
La parola del bushi veniva educata in modo da non essere arrogante.
Essa
rivelava un'aristocratica sensibilità del cuore. La qualità di quel "cor
gentile" che, in Occidente come in Oriente, fu prerogativa e contrassegno
del vero cavaliere.
Benevolenza, cortesia, gentilezza,delicata sensibilità non
solo non tolgono nulla alla potenza del braccio, al contrario: sono
inseparabili dal giusto compimento della Via.
La delicatezza del fiore di
ciliegio, la sua effimera e radiosa fioritura, esprime la virtù del
non-attaccamento. Dopo aver annunciato primavera, il fiore di sakura si lascia
trasportare dal vento. Il bushi paragonò la sua vita a quella effimera e bella
dei fiori di ciliegio.
Disciplina e meditazione, alleggerendo il peso della sua
humanitas, della componente terrestre del suo essere, lo hanno reso lieve e
pronto al distacco.
Gli insegnarono a considerare la morte alla stregua del
vento di primavera in cui non v'è nulla di oscuro: viene dall'azzurro mistero
del cielo a proclamare la vita, petali danzanti nel vuoto ne annunciano la
presenza. Il vento distacca i fiori dai rami per cospargerne i prati e i
cammini degli uomini, le acque dei torrenti, le tombe dimenticate, l'erba
novella, i capelli delle fanciulle ridenti, le aule silenziose dei templi e le
vesti severe dei monaci.
E come vento di primavera, il bushi apprese a considerare la sua vita e
la sua morte;
un viaggio da Mistero a Mistero, da Vita a Vita passando per la
vita terrena.
La sua educazione ebbe lo scopo di renderlo cosciente dì questo
andare, del suo breve passaggio per la terra e della missione dì testimoniarvi
il Sole. Lo rese cosciente del suo essere uomo-fiore in una terra in cui
moltissimi alberi s'abbrancano alla terra con radici tenaci. Ma il vento
d'inverno anch'essi abbatte e sarà tanto più doloroso lo schianto quanto più
forte sarà stato l'attaccamento alla terra.
Per questo il bushi,
nell'impermanenza della vita, come lo scrittore suicida, sceglie il sentiero
dell'eternità.
Un kamikaze dell'ultima guerra, prima di morire, scrisse:
Come
fiori di sakura
a primavera
puri e radiosi
lasciateci cadere
Il bushi non è
prodotto di un'epoca determinata nè di una moda. E’ il risultato di una lunga
educazione impartita per molti secoli da molti maestri che lo trasformarono da
predatore selvaggio a seguace di una Via e da essi apprese a difendere una
Terra, un Signore, una visione del mondo.
Confucio gli insegnò la benevolenza;
lo Shinto l'amore per la natura e la contemplazione del suo mistero;
Lao Tzu e
il Buddha, attraverso lo Zen, gli insegnarono la dottrina del Vuoto (kû),
dell'impermanenza (mujô) e del risveglio (satori).
Lo shinigurui è la cosciente
accettazione che la vita è simile al fiore di sakura. E’ una dottrina
incomprensibile alle anime pavide, o a quelle attaccate al vivere ad ogni
costo. Oggi siamo propensi a tacciar di fanatismo chiunque muoia per una fede
diversa da quella ritenuta "giusta" dal nostro sistema culturale.
Sicchè in Occidente kamikaze è divenuto sinonimo di inutile sacrificio, di una
vita gettata via senza scopo. Un esempio da non seguire; un atteggiamento da
sottoporre al vaglio attento degli psichiatri o alle analisi degli ideologi
dell'etica sociale. Tuttavia, giudicandolo dall'ottica del profitto e della
perdita, anche il martire cristiano delle origini è un "fanatico".
E
lo è chiunque reputi il dono della propria esistenza alla propria fede un atto
più degno e più "umano" che conservarla ad ogni costo. Se il pazzo
morire" ricorda dei fiori l'effimero splendore, la concezione del vivere
presso le moderne culture dell'Occidente troppo spesso assomiglia alla lenta
putrefazione delle foglie nelle paludi.
Ogni primavera ha la sua fioritura.
Ogni albero ha molte fioriture, proprio come la Tradizione di un popolo. Ma
oggi la scure è stata posta alle radici della rosa e del ciliegio.
E, proprio
per questo, forse, mai come oggi è valido il messaggio di questo haiku:
Pioggia
di primavera
proprio ora ogni cosa
diventa splendida
(Chiyo Ni 1701-1775, in
Blyth 1950:11,103)
Di Mario Polia
Brano tratto da: "L’Etica
del Bushido"
Ed. Il Cerchio
Articolo tratto dal Notiziario informativo dell' Honbu Dōjō IOGKF Italia Tora Kan
Anno VI N° 18 Inverno
1999/2000© Tora Kan Dōjō
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