La
Pratica dell’Arte Marziale e dello Zen, percorsi necessariamente distinti ma
che si sovrappongono ed integrano potenziando così la loro efficacia, devono
accompagnare il praticante a tornare in contatto con le profondità di sé stesso
attraverso la connessione corpo-mente e attraverso il ritorno alla condizione
originale, naturale del corpo-mente.
Uno dei mezzi utilizzati sia nella pratica marziale che in quella Zen è quello di tornare a confrontarsi con gli elementi della natura e con le proprie paure: il caldo, il freddo, la stanchezza, il disagio…
La nostra civiltà si è ammalata di opulenza e iperprotezione e questo ha inibito molte delle capacità naturali, congenite all’uomo: capacità di intuito, di omeostasi (capacità di autoguarigione che ristabilisce l’equilibrio originario), forza fisica e mentale che permettono di confrontarsi con la realtà.
Una conseguenza di questo sono anche le cosiddette malattie sociali quali la depressione, patologie nervose, tumori.
Uno dei mezzi utilizzati sia nella pratica marziale che in quella Zen è quello di tornare a confrontarsi con gli elementi della natura e con le proprie paure: il caldo, il freddo, la stanchezza, il disagio…
La nostra civiltà si è ammalata di opulenza e iperprotezione e questo ha inibito molte delle capacità naturali, congenite all’uomo: capacità di intuito, di omeostasi (capacità di autoguarigione che ristabilisce l’equilibrio originario), forza fisica e mentale che permettono di confrontarsi con la realtà.
Una conseguenza di questo sono anche le cosiddette malattie sociali quali la depressione, patologie nervose, tumori.
L’uomo
non è più ‘padrone’ del suo corpo-mente e vive condizionato da nevrosi e paure
che fanno il gioco di chi promuove questa tendenza per vendere un prodotto.
Lo
sport, con la sua esasperazione agonistica, è complice di questa tendenza e non
è più sufficiente a fornire adeguati strumenti all’uomo per ritrovarsi.
Vivendo
in un ambiente iperprotetto la mente e il corpo non sono più capaci di
confrontarsi con gli elementi e soccombono di fronte ad ogni difficoltà o
squilibrio.
Ormai
incapace di ascolto ed intuizione l’uomo non è più in grado di riconoscere il
linguaggio del proprio corpo, del corpo degli altri e ‘leggere’ intuitivamente
le situazioni rispondendo adeguatamente e prontamente a quello che ogni
situazione richiede.
Ecco
allora che la pratica dell’Arte Marziale tradizionale (che non si è snaturata
riducendosi a sport) e dello Zen attraverso gli strumenti che offrono per un
profondo lavoro su sé stessi, permettono una straordinaria metamorfosi del
praticante permettendogli di riaccedere a quella saggezza originaria del
corpo-mente unificati che si esprimerà poi in ogni ambito della vita
quotidiana.
Il
Tora Kan Dōjō di Roma, fondato e diretto dal Maestro Paolo Taigō Spongia (7°
dan di Okinawa Goju-Ryu Karate-Dō e Monaco Zen Sōtō), è da 33 anni uno
straordinario laboratorio in cui la Pratica dell’Arte Marziale e dello Zen (Ken
Zen Ichinyo) sapientemente trasmessi favoriscono questa ‘metamorfosi e ritorno alla condizione originale’.
© Tora Kan Dōjō
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