Nelle scritture della
tradizione Zen (Samyuktagana Sutra) si dice che ci sono quattro tipi di
cavalli: eccellenti, buoni, mediocri e cattivi.
Il migliore correrà piano o
forte, a destra o a sinistra, secondo la volontà del cavaliere, ancor prima di
vedere l’ombra della frusta; il secondo miglior cavallo farà tutto bene come il
primo, ma un attimo prima che la frusta lo raggiunga; il terzo correrà quando
avvertirà dolore sul corpo; il quarto correrà solo dopo che il dolore gli sarà
penetrato fin nel midollo delle ossa.
Immaginate un po’ quanto è difficile per
il quarto cavallo imparare a correre!
Ascoltando questa storia, quasi tutti
vorremmo essere il cavallo migliore.
Se non è possibile essere il migliore,
vogliamo essere il secondo dopo di lui. È questo, credo, il modo consueto di
intendere questa storia e lo Zen.
Può darsi che pensiate che, sedendo in zazen,
scoprirete se siete tra i migliori cavalli o tra i peggiori. Qui, tuttavia, ci
troviamo di fronte a un fraintendimento dello Zen.
Se pensate che scopo della Pratica Zen sia addestrarvi a diventare uno dei cavalli migliori, allora avrete
veramente un grosso problema. Ma non è questo il retto intendimento.
Se
praticate lo Zen nel modo giusto non ha alcuna importanza che voi siate il
cavallo migliore o peggiore.
Proprio nelle vostre imperfezioni troverete la
base per la vostra mente ferma, la mente che cerca la via.
Shunryu Suzuki Roshi
Tratto da "Mente Zen, Mente di Principiante",
Astrolabio Ubaldini, 1978.
© Tora Kan Dōjō
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